CHICAGO, UNA REAZIONE TROPPO TARDIVA
Una delle parti maggiormente affascinanti della Nfl è rappresentata dal giungere a determinare possibili conclusioni su una squadra o su un singolo giocatore per poi vedersi smentiti dando luogo a quella strana sensazione di non capirci più un granché. Il personaggio che meglio raffigura questo tipo di pensiero all’interno dell’attuale panorama è senza dubbio Mitch Trubisky, sul quale i giudizi sulla possibile rappresentazione di un futuro concreto alla guida dei Bears sono correttamente risultati pesanti se non altro per la difficoltosa posizione in cui la squadra si è posta nei confronti dei playoff, soprattutto per responsabilità da ricondurre all’attacco ed all’inconsistenza del quarterback da North Carolina, dando luogo ad un quadro sicuramente deludente rispetto agli ulteriori progressi attesi per una compagine che la postseason pareva invece valerla stando alla formula dello scorso anno, dove una grandiosa difesa e la creatività offensiva avevano fatto la differenza.
Con un reparto solo è tuttavia assai difficile farsi largo e prima o poi l’avversario in grado di smascherare tutti i limiti lo si trova, e questo è accaduto a ripetizione in una stagione dove Chicago ha letteralmente azzoppato ogni sua speranza perdendo cinque delle sei gare disputate tra ottobre e metà novembre, motivo principale per cui oggi ci si trova a due gare di distanza dalla sesta ed ultima posizione utile alla qualificazione per i playoff e ci si ritrova a pregare per un capitombolo di chi sta davanti. Il giudizio sui Bears è tuttavia cambiato osservando che in realtà il turning point è arrivato in coincidenza del passo falso casalingo contro i Rams, ed ora resta da capire dove porti e perché sia giunto solo così tardi, in un momento dove con tutta probabilità la squadra non riuscirà a riparare il precedente danno. Nonostante difatti le avversarie affrontate nelle ultime tre settimane non siano colossi di alcun genere – parliamo di Giants e Lions, e di una Dallas in pieno disfacimento psicologico – non è la mini-striscia positiva in sé a spiccare più di tanto, ma lo è il fatto che questi successi consecutivi portino chiaramente la firma di Trubisky, che da due gare sta finalmente giocando come l’organizzazione si attendeva eseguendo alcune tra le scelte offensive più determinanti per tale accumulo di vittorie.
C’è sicuramente un insieme di fattori che concorrono a tale maggior successo, tra i quali i miglioramenti del singolo nella precisione sui passaggi – chiaro tallone d’Achille di Mitch per quanto osservato nella prima parte del campionato – ed un’evidente revisione del piano di gioco offensivo, un aggiustamento che sta evidentemente portando beneficio e che sta puntando moltissimo sulla ritrovata efficacia della playaction e del graduale re-inserimento della read-option, un elemento che valorizza le doti atletiche del quarterback dando quel pizzico in più di imprevedibilità. Non guasta inoltre che tanto i ricevitori quanto i tight end stiano realizzando un maggior numero di giocate importanti colmando un vuoto sostanziale – basti pensare agli alti e bassi statistici di giocatori come Anthony Miller – e l’aver compreso che il gioco di corse è una parte determinante per un reparto offensivo altrimenti fermo al 33% di conversioni di terzi down, generando dei risultati positivi dato sia dalle migliori prestazioni della linea offensiva e sia da un più opportuno coinvolgimento di David Montgomery, ammettendo tacitamente l’errore di aver privato il backfield di Jordan Howard senza trovare un altro elemento di rotazione, un fatto che ha scaricato eccessivi pesi sulle spalle del rookie.
Le varie analisi portano agli stessi pensieri dell’anno passato, ovvero che Trubisky possa essere un quarterback efficiente a patto che possa godere di un backfield produttivo a togliergli parte della pressione offensiva. Tuttavia la chiave di lettura corretta non dev’essere questa ma deve orientarsi su quanto ci sia ancora da plasmare per far divenire il ragazzo qualcosa di simile al franchise quarterback atteso dopo quella posizione di scelta così alta e costosa che mai non dobbiamo dimenticare di relazionare alla scarsa esperienza da starter che Mitch aveva accumulato a North Carolina, esponendolo ad inevitabili lungaggini dal punto di vista tecnico. Peccato che quanto visto in questi venti giorni abbia un sapore del tutto tardivo, ma se non altro aumenta la lunghezza dell’audizione che il ragazzo potrà a questo punto traslare nel 2020 a seguito di una offseason dove anche Nagy stesso avrà la possibilità di correggere il tiro, già una bella notizia rispetto alla prospettiva di dover già gettare la spugna su un regista costato quattro scelte per una sola posizione in più.
49ERS, LA VERSATILITA’ DEL SAPER VINCERE
A seguito della fondamentale affermazione contro i Saints crediamo che né le ambizioni da Super Bowl dei 49ers non possano più né essere messe in discussione e né il loro record di 11-2 considerato frutto del caso. La sommatoria di impegni consecutivi che la squadra di Shanahan sta affrontando con mentalità e consistenza tipica dei campioni veri sta esponenzialmente aumentando l’idea che San Francisco stia facendo dannatamente sul serio, il banco di prova poteva essere proibitivo ma nonostante le due sconfitte di misura contro Ravens e Seahawks (un totale di sei punti di scarto) la franchigia non ha fatto altro che cementare ulteriormente l’idea che una volta scelta la relativa rappresentante per la finalissima, la Nfc possa tingersi completamente di rosso ed oro.
L’affermazione contro i Saints, nel proibitivo Superdome con la squadra di casa a caccia del miglior seed di conference a dicembre, ovvero quando le partite pesano più di prima, non è altro che una grandissima affermazione caratteriale e di versatilità tattica. Siamo ripetitivi, lo sappiamo, su queste righe scriviamo sempre che i Niners fanno paura, ma d’altro canto le motivazioni che tengono assieme la tesi escono continuamente allo scoperto, e questa inedita capacità di vincere nonostante la fortissima difesa californiana sia stata trafitta a ripetizione dalle diaboliche invenzioni trasmesse dalla cuffia di Sean Payton deve a nostro parere mettere ulteriormente in agitazione tutte le papabili concorrenti per l’ambito Lombardi Trophy. San Francisco si è ancora una volta confrontata alla grande contro una delle migliori squadre Nfl ma stavolta lo ha fatto reggendo la pressione di vedersi sgretolare dinanzi agli occhi un muro difensivo andato a concedere di gran lunga i peggiori risultati stagionali per yard e punti, tirando fuori quell’innata capacità di non arrendersi nemmeno dinanzi ai fantascientifici numeri messi assieme da Brees (5 touchdown oltre ad una meta su corsa) in una giornata dove Kamara nemmeno è stato un fattore, trovando la forza di rispondere ad ogni singolo drive partendo da uno svantaggio iniziale significativo, gestendo benissimo l’aspetto psicologico della gara, per poi sferrare l’ultimo e decisivo colpo.
L’esperienza che i Niners stanno accumulando in questa regular season è assai preziosa in ottica di dover respirare il clima dei playoff, così differente dalla norma e così spietato nel perdonare meno gli errori di una squadra che magari fino a quel momento ha svolto il suo compito alla perfezione. La prestazione sfoderata in Louisiana non può che essere figlia della volontà di lottare concretamente finché il cronometro non è a zero, una qualità che ci ricorda la Seattle dei miracoli di qualche anno fa, del non scoraggiarsi dinanzi ad una serie di circostanze avverse, dell’audacia di tirare fuori il massimo da un playbook che Shanahan ha spremuto raccogliendone ogni goccia, trasformando Sanders e Juszczyk in improvvisati ed impavidi registi per due azioni di un’importanza di proporzioni gigantesche. Poi c’è Jimmy G, che di settimana in settimana si sta trasformando in una realtà sempre più piacevole facendo sorridere a quei commenti estivi che andavano a monitorarne il numero di intercetti in una sessione di allenamento, e chissà quegli stessi cronisti cosa stanno pensando oggi dopo una prestazione da quattro touchdown in un contesto improbo come quello di domenica, risultato della felice connessione con le innumerevoli armi che Shanahan e Lynch hanno assemblato per rendere questo reparto offensivo costantemente imprevedibile, con Kittle definitivamente consacratosi nel top del ruolo di tight end tanto da risolvere la gara con una singola azione, ed una serie di ricevitori e running back di tale duttilità da poter rivestire ruoli sempre differenti, utili a mascherare le vere intenzioni della chiamata che sta per essere eseguita.
Questa serie di partite consecutive così impegnative dal punto di vista del coefficiente di difficoltà avversario potrebbe seriamente rappresentare lo specchio in cui i 49ers potrebbero ritrovarsi a guardare una volta che i playoff avranno inizio, sicuri di potercela fare anche in quelle occasioni in cui un genio come Payton riuscirà nuovamente ad infliggere danni incalcolabili ad una difesa molto più che rocciosa, di poter gestire uno svantaggio senza cadere nel panico – un fattore che in postseason conta moltissimo – di potercela fare in qualsiasi circostanza e stato morale, che è sostanzialmente il sunto di tutte quelle sensazioni di cui parlava Nick Bosa quando ancora la squadra era imbattuta ed era l’unica a non essere sorpresa di esserlo. Significa che oltre al lavoro tattico e gestionale c’è sotto un’elaborazione motivazionale di prim’ordine, e tutti questi ingredienti mescolati assieme di solito si traducono nel ruolo di favoriti per il titolo. Oggi tutti ritengono i Niners come tali, una situazione molto differente rispetto ad inizio stagione, ma non per questo la squadra sta gestendo la situazione diversamente da prima. E questo, Lamar Jackson o meno, è l’aspetto che fa più paura di tutti gli altri.
DREW LOCK, E’ NATA UNA STELLA?
Proprio in occasione di quello che pareva essere il peggior momento di una stagione già per conto suo disgraziata, i Broncos sono riusciti a mettere in piedi delle interessanti motivazioni per credere che – nonostante l’ennesima deludente stagione per una squadra invece abituata all’eccellenza – vi sia la concreta probabilità di effettuare il tanto atteso salto di qualità. Merito di una ritrovata consistenza difensiva che domenica ha atterrato le velleità dei Texans grazie alle prodezze individuali dei vari Attaochu, Jackson e Davis, i quali hanno fornito un mix di pass rush, puntualità nei big play e nei placcaggi che ha costituito le ragioni per il netto vantaggio accumulato da Denver ad inizio gara. Merito anche della speranza improvvisamente accesa da Drew Lock, giocatore che lo staff non vedeva l’ora di poter finalmente mettere in campo per comprenderne meglio il potenziale e che è oggi detentore di una striscia positiva giunta a due gare consecutive, con in mezzo una lunga fila di risposte a tutti i quesiti che l’organizzazione ha dovuto porsi in tutti questi anni di ricerca di una soluzione a lungo termine per il ruolo di quarterback.
A seguito del fallimento della prova-Flacco e la poco incoraggiante sostituzione con l’inefficace Brandon Allen i Broncos hanno atteso con impazienza l’uscita di Lock dalla injured reserve ritrovandosi – per ora – baciati in fronte dalla fortuna. Dopo l’orrore provato verso le sole 134 yard di total offense racimolate nella magra figura riportata contro Buffalo l’offensive coordinator Rich Scangarello ha adattato il piano di gioco alle differenti caratteristiche portate alla causa dal secondo giro del più recente draft, aprendo il playbook a soluzioni di maggior gittata e permettendo al rookie di uscire dalla tasca producendo personalmente guadagni su corsa se e quando ritenuto necessario, un aggiustamento che ha fornito frutti come le 391 yard complessive ammassate contro Houston, secondo miglior risultato stagionale, ed il 63% di terzi down convertiti, una percentuale che Denver non è mai riuscita ad avvicinare negli ultimi cinque anni di inferno offensivo.
Le migliori capacità atletiche di Lock stanno agevolando il lavoro un po’ a tutti e soprattutto stanno permettendo al quadro offensivo di prendere una forma più chiara, stappando tutto il potenziale rimasto sopito fino a questo momento. Scangarello ha aggiunto degli schemi che prevedono uscite in rollout, un aspetto certamente non percorribile con un regista poco mobile come Flacco, le giocate produttive fioccano come ampiamente dimostrato dai sette passaggi scagliati solo domenica dalla matricola per una guadagno pari o superiore alle 23 yard, ed il tasso di crescita di leve che dovranno costituire un importante pezzo di futuro come Sutton e Fant sta finalmente iniziando a muoversi verso la direzione corretta, eliminando tutta quella sensazione di delusione data semplicemente da un sistema in cui non stava funzionando sostanzialmente nulla.
L’inattesa produttività ha permesso ai Broncos di segnare nei primi cinque drive consecutivi, di coinvolgere ben dieci differenti ricevitori, e di permettere al giovane quarterback di portare a casa due vittorie in altrettante uscite da titolare, un’impresa che in loco non riusciva casualmente dai tempi di John Elway, proprio il maggior indiziato per tutte le problematiche relative al ruolo che Denver ha dovuto patire dopo che Peyton Manning ha appeso l’attrezzatura al chiodo. Ed il tutto non può prendere che una piega ingrandita dal fatto che il palcoscenico ove esibirsi non era certo dei più semplici, dato che si giocava in Texas presso le mura amiche di una squadra che ha appena battuto i Patriots e che sfoggia un franchise quarterback di quelli veri, che mira ad essere tra i protagonisti della prossima edizione dei playoff. Sono segnali d’aria molto interessanti in chiave 2020, motivazione più che sufficiente per chiudere in bellezza quanto offerto dal presente grazie ad un calendario non impossibile (Lions e Raiders nelle ultime due) e cominciare a sviluppare le fondamenta di un futuro che oggi pare aver portato il quarterback che nel Colorado si cercava disperatamente da troppo tempo.
COLTS IRRICONOSCIBILI, I PLAYOFF DIVENTANO UN MIRAGGIO
Una delle storie più interessanti della prima parte della stagione sta diventando solo un parziale e sbiadito ricordo, perso dietro all’enormità del peso delle sconfitte ultimamente accumulate dagli Indianapolis Colts. Allora la squadra gestita da Reich era uno dei motivi di maggior interesse della prima metà del campionato, aveva accumulato un record di 5-2 nonostante l’improvviso ritiro del proprio franchise quarterback ed aveva risposto positivamente a tonnellate di pressione da governare, proponendosi come una compagine tosta, completa, in grado di applicare con sostanza la formula desiderata dal suo head coach mettendo in campo una difesa arcigna, un quarterback affidabile ed un gioco di corse assai produttivo.
I Colts di oggi rappresentano una realtà molto differente, di sapore assai più amaro, dato dal fatto che si sono perse cinque delle ultime sei partite lasciando una vetta divisionale che pareva poter essere condotta in porto con determinate sicurezze, e che oggi si è semplicemente trasformata in una disperata rincorsa all’ultimo posto disponibile per i playoff contro una concorrenza folta ed agguerrita, una situazione che Indianapolis si è creata da sé a causa di molti malfunzionamenti. Nonostante si possa difatti propendere a giustificare l’inizio del crac con la temporanea assenza di Brissett giusto il tempo necessario affinché Hoyer combinasse disastri assortiti, le responsabilità della caduta vanno ricondotte a tutti i settori del roster.
Spiace dirlo ma le prestazioni di Adam Vinatieri rivestono una grossa fetta di tutta la questione, e per quanto rispetto il futuro Hall Of Famer richiami a sé non si può certo evitare di sostenere che senza le sue colpevolezze su calcio le cose sarebbero certamente andate in meglio. L’attacco si è rivelato essere produttivo, certo, ma senza la costanza richiesta, e quando vi è riuscito si è spesso fatto sottomettere dalla dura legge dei turnover, perdendo troppi palloni in momenti delicati. La difesa si è fatta smontare a pezzi da un opponente che ha riportato una frattura alla mano con cui lancia a gara in corso, concedendo a Tampa 542 yard di total offense e 456 yard – career high – all’erroneo Jameis Winston, sprecando la partita da supereroe prodotta di Darius Leonard con l’aggravante di aver raccolto quattro palloni persi ed essere riuscita ugualmente a perdere la contesa a causa degli enormi problemi patiti dalle secondarie, bruciate a dovere nonostante la parziale assenza di Mike Evans, confermando tutte le problematiche patite nel contenere le conversioni di terzo down, spesso con tante yard da prendere.
Non c’è risposta che tenga, la maestria di Reich di certo non si è dissolta nel nulla da un momento all’altro lasciando conseguentemente che la freccia delle responsabilità vada a posarsi sulla fase esecutiva, l’unica passibile di accusa dal momento che questa squadra di carattere e grinta ha dimostrato di possederne da vendere, l’unica che possa giustificare un tracollo impensabile in una division non certo irresistibile, proprio come confermato dagli alti e bassi dei Texans. L’atmosfera depressa raccontata da tanti giornalisti dopo la gara contro Tampa è emblematica della coscienza che si sta lentamente installando dentro ognuno di quei giocatori che così valorosamente avevano lottato da grande gruppo contro l’enorme avversità improvvisa del non poter più contare sul proprio condottiero da un giorno all’altro, ben sapendo che se anche la matematica possa confortare per un’altra settimana o due il danno è oramai fatto, e somiglia tanto ad un qualcosa che, almeno per quest’anno, è destinato a non poter più essere riparato. Affrontare i Saints a New Orleans nella quindicesima settimana di attività non sarà certo d’aiuto.
CHIEFS, LA CRESCITA DELLA DIFESA E LA FLESSIONE OFFENSIVA
In condizioni di normalità ci ritroveremmo a parlare del come ancora una volta il possente attacco dei Chiefs stia oscurando delle prestazioni difensive non sempre all’altezza, ma la vittoria ottenuta domenica contro i Patriots indica senz’altro delle circostanze differenti. La fase offensiva, oggi, è invece quella che pare aver compiuto qualche passo indietro rispetto agli automatismi da personal computer cui Mahomes aveva abituato il grande pubblico trasformando ogni suo ricevitore in un game-breaker d’alta qualità, e l’idea si è concretizzata in particolare modo nelle fasi decisive dello scontro d’alti piani con New England, se non altro perché la normale versione di Kansas City avrebbe senza dubbio chiuso la gara molto più in anticipo rispetto all’arrivare a rischiare di sprecare un vantaggio giunto sul 23-7 a metà del terzo periodo.
Quindi, pur considerati i problemi oggi patiti dall’attacco dei Patriots, spicca con decisione l’efficacia di una difesa capace di tenere un avversario di queste proporzioni ad un solo touchdown fino a quel momento della gara. Un reparto che solo fino a poco tempo fa rappresentava l’unico ostacolo tra i Chiefs ed il Super Bowl pare rivestire un ruolo di primaria importanza a seguito dei progressi fatti riscontrare durante questo cammino, giungendo al paradosso del dover rimediare all’impossibilità offensiva di sfruttare le molteplici occasioni costantemente regalate proprio da quella difesa oggetto di critica, la stessa che ha offerto una resistenza degna di un fortino inespugnabile dinanzi ai numerosi tentativi di New England nel raggiungere il pareggio da una più che comoda posizione per segnare, tutt’altra aria rispetto a quella che tirava solo dodici mesi fa.
Pur considerando il colpo alla mano ricevuto da Mahomes a gara in corso – aspetto di considerevole importanza – è proprio quella già citata situazione di 23-7 con un quarto e mezzo da disputare a fornire i maggiori dubbi. Un’occhiata rapida al tabellino che riassume i drive della gara e ci si rende immediatamente conto dell’improduttività di quattro serie terminate con due three & out, tre punt totali ed un fumble lasciato per strada in una situazione dove l’unico intento era quello di spremere dal cronometro il maggior numero di minuti possibile, riducendo i possessi offensivi di Brady evitandone il sempre letale rientro in gara. Se in un caso Reid ha optato per convertire un quarto e corto anziché tentare un field goal, scelta aggressiva e condivisibile, il blocco si può invece ricondurre ad una serie di fattori che includono alcune penalità commesse dalla linea offensiva, all’eccessiva fretta di Mahomes nello sbarazzarsi del pallone dinanzi alla pressione – altro fattore che in ogni caso coinvolge anche il quintetto frontale – e non ultime alcune decisioni effettuate dal quarterback, che in determinate situazioni ha preferito non rischiare lanci potenzialmente validi per un primo down accontentandosi della soluzione più lontana da un possibile turnover.
L’attualità vede dunque meno movenze da Playstation e più consistenza del difendere, parte del ragionamento di crescita che serve a Kansas City per coltivare seriamente sogni da Super Bowl. Ed ecco che il reparto spesso sotto accusa anche all’inizio di questo campionato si è eretto quale protagonista della mini-serie positiva intrapresa da tre partite, infliggendo quattro intercetti ai Chargers, lasciando a secco i Raiders fino all’ultimo, ininfluente, minuto della gara, e schiaffeggiando il pallone decisivo dello scontro con i Patriots agli sgoccioli del quarto periodo, un momento decisivo, proprio come quelli dove i Chiefs si sono in passato fatti sfuggire le migliori opportunità che il destino abbia riservato loro in questi ultimi anni, guarda caso a causa di quella difesa maligna.
GAME REWIND OF THE WEEK: 49ers @ Saints
Non serve che vi raccontiamo il perché, vero? Una delle partite più belle dell’anno non basta, è uno degli scontri più belli dell’ultima decade di football, peraltro con in palio il primato della Nfc. Period.
STAT LINE OF THE WEEK: 7 rec, 157 yds, 1 TD, 1 TD pass
Nello scontro tra i titani chiamati 49ers e Saints spicca l’inventiva di Kyle Shanahan a contrastare la certificata arte di Sean Payton in un duello a distanza di stupenda bellezza, nel quale Emmanuel Sanders segna un touchdown di 75 yard e ne lancia un altro su un eccellente trick play che ha quale destinatario Raheem Mostert. L’acquisizione del wide receiver prima della trade deadline comincia ad avere tutto il senso del mondo per San Francisco.
ONE LINERS OF THE WEEK:
- Noah Fant comincia a far vedere un potenziale di sensibili proporzioni, oltre alla naturale crescita tipica del rookie gli serviva un quarterback più dinamico di Flacco.
- La Nfl è bella proprio perché i Texans possono battere i Patriots e perdere contro Denver nel giro di pochi giorni.
- Derrius Guice ha proprio una sfortuna indicibile con quelle ginocchia.
- Congratulazioni a Matt Ryan, il decimo giocatore ogni epoca a lanciare per più di 50.000 yard.
- La combinazione tra Tannehill, Brown e Henry in questo momento è proibitiva da affrontare per chiunque.
- I Patriots dovranno utilizzare al meglio le ultime tre settimane di campionato per lavorare sui loro problemi offensivi, o la situazione rischia di scappare di mano.
- Si scrive vittoria degli Eagles, si legge “A Giant Meltdown”.
A LOOK AHEAD:
- Texans @ Titans, lo scontro giusto al momento giusto, ci si gioca non solo la vittoria divisionale, ma anche la possibilità di ospitare una Wild Card in casa propria.
- I Cowboys ospitano dei Rams sulla via della resurrezione, si gioca per tenere accese delle speranze playoff che si assottigliano sempre più per i losangeleni, con Dallas in piena crisi di risultati.
- I Bills affrontano la scampagnata verso l’Heinz Field con serie implicazioni per i playoff della Afc, un Sunday Night tutto da gustare con forti probabilità di partita a basso punteggio, chi perde fa indirettamente un favore ai Titans e/o ai Texans.
- Philadelphia sfida Washington al FedEx Field, non una partita ad alto potenziale di spettacolo ma determinante per rinverdire le speranze playoff di Philadelphia, che per quest’anno sembrava destinata all’oblio.
- Browns contro Cardinals, Mayfield contro Murray in una sfida tra prime scelte assolute.
See ya!
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.