IL NUOVO MURO DIFENSIVO DEI RAVENS
I Ravens hanno attualmente allestito una striscia vincente di sei partite consecutive, un traguardo che non ottenevano dalla leggendaria annata 2000, coincisa con la prima della due vittorie al Super Bowl riportate dalla città di Edgar Allan Poe. L’aspetto numerico della questione impressiona, ovvio, in particolar modo se rapportato ad una stagione di sole 16 partite, tuttavia se l’analisi si sposta alla qualità degli avversari battuti – il varco a cui tutti attendavamo questa sorprendente squadra – applicando a Baltimore una sorta di power ranking collegiale ne emerge un quadro addirittura sbalorditivo, che ha cominciato a prendere forma dall’umiliante sconfitta contro Cleveland in poi elevando i Ravens allo status di favoriti per vincere la Afc.
Una difesa spesso sotto accusa per la sua generosità ha reso impossibili le giornate di Russell Wilson, Tom Brady, Deshaun Watson, elenco che comprende due tra i più seri candidati al titolo di Mvp ed un futuro Hall Of Famer, tutti e tre appartenenti a squadre candidate a fare rumore nei playoff e che ora detengono in comune la caratteristica di essere state non solo sconfitte, ma dominate, dalla compagine guidata da John Harbaugh. Ovvio che la maggior concentrazione si posi su Lamar Jackson, figura catalizzatrice attorno alla quale sta nascendo una stagione ricolma di speranze, tuttavia è lecito puntare l’obiettivo sulle evidenti prestazioni di una difesa che ad un certo punto del cammino aveva concesso più di 500 yard di total offense in due gare consecutive, e che oggi ritroviamo ad aver limitato corazzate offensive come New England, Seattle e Houston a 14.3 punti di media, paragoni senz’altro più congrui rispetto ad avversari divisionali sostanzialmente inesistenti quali sono i Bengals, che vengono a mente solamente perché affrontati per due volte in questo attuale filotto di successi.
Facile fare i bulli contro una squadra senza vittorie e che schiera peraltro un rookie al posto del suo normale quarterback? Certo, ma i discorsi cambiano quando ci si accorge che i Ravens hanno letteralmente eliminato Deshaun Watson dal campo applicando la corretta disciplina schematica al riempimento dei varchi e al contenimento delle corsie esterne impedendo all’atletico regista di evadere dalla tasca o di scalarla in verticale per trovare aria, collezionando sette sack e lasciandolo a 12 misere yard su corsa e 169 su passaggio, statistiche nulla meno che impressionanti. Oltre ciò la difesa di Wink Martindale ha elargito 232 yard ad un attacco che ne produce normalmente 396 di media, segno di un’ascesa difensiva oramai innegabile che lo staff è stato capace di gestire a stagione in corso, eliminando sostanzialmente la parte relativa alle corse di Houston – normalmente un settore più che produttivo – bloccando il fatturato di Hyde a 24 yard totali se detratte le 41 del più che inutile touchdown segnato dal medesimo nel quarto periodo, ovvero quando la slavina si era già abbondantemente abbattuta sui malcapitati texani.
Un calcolo molto interessante proposto lunedì da The Athletic fa notare che il roster difensivo di Baltimore è composto all’attualità da 26 giocatori, dei quali 10 sono stati acquisiti a partire dalla quinta settimana di gioco. Dando un’occhiata approfondita alle statistiche difensive realizzate nelle ultime sette partite, ovvero il momento dove la difesa ha lentamente cominciato a mostrare quei segnali di dominanza oggi fluorescenti, si comprende il come – ancora una volta – la franchigia disponga di una rete manageriale in grado di reperire giocatori in grado di contribuire alla causa inserendosi velocemente in queste filosofie tattiche, un segno che il passaggio da Ozzie Newsome a Eric DeCosta ne ha lasciato intatta l’etica lavorativa.
I VUOTI DIFENSIVI DEI LIONS
Le vicende dei Lions non sono certo proseguite come si pensava quand’ancora in città vigeva un senso di speranza molto differente dal sentimento di rassegnazione ad oggi emerso per l’ennesima volta tra le mura del Ford Field. La squadra che nel primo mese abbondante di campionato aveva battuto Philadelphia, nonché messo Green Bay e Kansas City davanti allo spettro di un clamoroso upset, oggi ha perso sei delle ultime sette gare disputate cancellando ogni possibile segno di progresso, ovvero tutto ciò che era stato accuratamente atteso quale naturale evoluzione del primo anno dell’era Patricia.
Detroit non sembra riuscire ad evadere dal fastidioso involucro della mancanza di sincronia tra prestazioni offensive e difensive, le quali sono risultate sempre opposte le une rispetto alle altre nelle più recenti edizioni proposte rendendo indifferente il fatto che sulla sideline vi fosse Patricia piuttosto che Caldwell o Schwartz. Cambia quindi l’anno ma il copione resta sempre uguale, proponendo una squadra dall’aspetto brillante a livello offensivo nonostante il suo cronico sbilanciamento dato dalla perenne assenza di un gioco di corse degno di tale nome, ma senz’altro inadeguata dalla sponda difensiva addosso alla quale – al di là del logico abbinamento tra la resa ed il fatto che questa dovrebbe essere la specialità di una persona che ha coordinato la difesa dei Patriots – gravitano la maggior parte delle responsabilità per la mancata soddisfazione portata dai risultati.
Il più recente passo falso porta il nome di Dallas ed è stato generato da una partita comunque molto combattuta e certamente non consona nell’esporre valori così differenti rispetto a quello che le rispettive situazioni di classifica parrebbero suggerire, i Lions si sono misurati in maniera più che adeguata contro i Cowboys proprio così com’erano riusciti a fare contro Packers e Chiefs, ma sembra mancare sempre la stessa cosa: quello stop difensivo che ti cambia la vita. Ogni volta che Dallas ha prodotto una corsa o un completo ha generato 7.2 yard, statistica che fa ben comprendere la facilità con la quale Prescott ha accompagnato il reparto più o meno ovunque ed in qualsiasi situazione di down, ma la statistica più interessante riguarda il rapporto tra le circostanze in cui i Lions hanno subìto più di 6 yard a giocata in singola gara, le quali corrispondono ad un eloquente bilancio di 0-5.
Il tutto si traduce nell’ennesimo sforzo gettato al vento in una gara dove i titolari di due dei maggiori ruoli offensivi erano Deff Driskel e Bo Scarbrough, un rimedio sulla carta fallimentare per rimediare alle assenze di Stafford e Johnson ed invece autori di prestazioni ben al di sopra del rispettabile, protagonisti di un attacco finalmente bilanciato grazie alle buonissime decisioni del backup quarterback e delle sua certificata abilità di partire di corsa con l’ovale in mano in situazioni di emergenza. Questo perché la difesa è riuscita a tenere Elliott a 2.8 yard per tentativo ma al prezzo di subire 444 yard su passaggio, creando una situazione esattamente identica a quelle occasioni in cui si sono date più di 500 yard ai Vikings e 445 di media a Raiders, Packers e Chiefs, andando comunque vicini a vincere nonostante tutto. Ci sembra un identikit piuttosto chiaro, che mette però i Lions sotto una luce fastidiosa, la quale in occasione dell’oramai vicino Thanksgiving Day, farà coincidere di nuovo una delle partite più attese della stagione con una squadra non più in competizione per la Division, una storia che i fan locali sono davvero stanchi di continuare a leggere.
RAIDERS, IL GRANDE IMPATTO DEI ROOKIE
Le peripezie estive montate dal caso-Brown avevano appoggiato addosso ai Raiders uno sguardo fin troppo discreto, con possibili conseguenze di distrazione mediatica da trascinarsi ipoteticamente per buona parte della stagione anziché concentrarsi sul football giocato, ovvero ciò che conta più di ogni altro fattore. La capacità ed il carisma dimostrati dall’organizzazione a questo punto non possono più passare sotto il radar, perché qui sul football giocato ci si è concentrati sul serio come dimostrato non solo dalla terza vittoria consecutiva ottenuta dai Silver & Black in occasione dell’affermazione contro i Bengals, ma pure per una posizione di classifica ad oggi favorevole per partecipare ai playoff grazie alla sola partita di distacco vigente nei confronti dei Chiefs.
Viene quindi a mente la serietà con cui Mike Mayock ha gestito le telecamere e le inopportune domande dei giornalisti quand’ancora il sole scottava fortemente, l’accurata selezione delle matricole – ora che è disponibile un campione di undici gare attraverso le quali si sono potute seguire le evoluzioni dei singoli – nonché l’indubbia bravura di Gruden nel gestire un roster atteso ad un salto di qualità che rischia costantemente di essere schiacciato dal peso del contratto decennale firmato dal coach, un evento che di per sé aveva già sparato in alto le attese se non altro per la portata economica dell’investimento. Certo, non è tutto rose e viole perché l’attuale distesa floreale dovrebbe altrimenti tenere conto della qualità delle avversarie nei successi riportati, ed un rapido occhio alle partite perse porta facilmente a considerare che contro squadre di una determinata portata (Vikings, Texans, Chiefs, Packers) i Raiders sono fermi a quota 0-4. Ciò porta a sottolineare quindi che la prossima missione primaria di Gruden, ora che è dimostrato il significativo miglioramento del roster tra un anno e l’altro, è quella di cominciare a sconfiggere le rivali che conta battere, un esercizio quasi riuscito nel confronto con Houston e traiettoria dalla quale è necessario continuare per giungere al dunque.
Non staremmo a disquisire di un tale argomento senza il fondamentale apporto della classe di rookie scelta da Mayock e Gruden. Josh Jacobs ha rispettato appieno le richieste di un capo-allenatore che nelle premesse stagionali aveva posto forte enfasi sul fatto di voler correre il pallone prima di tutto il resto, l’attacco ha forato la muratura delle 100 yard in sei delle undici circostanze sinora disponibili ed il rookie da Alabama ha prodotto 923 yard, cifra equivalente al 71% del fatturato totale. Dopo essersi gradualmente inserito in rotazione Maxx Crosby sta giocando come un indemoniato entrando a far parte di una pass rush inizialmente molto insoddisfacente ma che nelle ultime settimane ha mostrato tratti di ferocia, tanto da permettere a Gruden di effettuare delle decisioni conservative dal punto di vista della gestione offensiva della partita grazie alla fiducia provata nella difesa. I quattro sack forniti alla causa da Crosby contro Cincinnati regalano le giuste soddisfazioni individuali ad un ragazzo giunto dal quarto giro ma che ha dimostrato di possedere un motore di tipologia superiore, arrivato a condizionare le scelte del quarterback molto più spesso di quanto indichino le statistiche ufficiali, e fa parte di una nuova stirpe che comprende pure il cornerback Trayvon Martin, il responsabile dell’intercetto che ha chiuso i conti in una gara contro un avversario senza vittorie e per questo temibile per la trappola che poteva costituire.
Tutto ciò senza nemmeno considerare il contributo di Clelin Ferrell, scelta più alta dell’ultima tornata giunta ad un parziale di 3.5 sack, del tight end Foster Moreau, firmatario di quattro mete, e Hunter Renfrow, che si è preso un discreto numero dei bersagli distribuiti da Carr dimostrando tutta la capacità di questi nuovi arrivi nel crescere a stagione in corso, inserirsi nei meccanismi, e dare ciascuno il proprio contributo pensando al bene collettivo prima di tutto il resto. Se questo esercizio mentale sta riuscendo praticamente alla perfezione, il merito va senza dubbio a Gruden, il quale ci ricorda sempre che oltre al saper organizzare schemi e settori di squadra è necessario creare i presupposti per una sintonia collettiva.
EAGLES, PERSISTE IL PROBLEMA DEI RICEVITORI
Proseguono le disavventure degli Eagles con particolare attenzione alla produzione dei ricevitori, lo stesso problema che un attacco un tempo prolifico si sta trascinando da parecchie settimane senza fornire soluzioni consistenti alla questione. Il tempo corre, la squadra detiene un bilancio in perfetta parità (5-5) ma nel frattempo i Cowboys sono tornati sopra con una vittoria in più ed una sconfitta in meno, ragione per la quale Philadelphia deve ora monitorare attentamente la sua corsa alla Wild Card confidando nei cattivi risultati delle concorrenti senza più poter decidere il destino da sola.
La sconfitta porta con sé un bruciore ancor più ardente se relazionata al fatto che gli Eagles erano riusciti a restare benissimo in partita contro dei Patriots che rappresentano costantemente il metro di paragone per le ambizioni di qualsiasi altra compagine, soprattutto giocando una gara esemplare da parte di una difesa che sta trascinando la squadra con puntuale consistenza ma che per quanto si sia rivelata efficace al cospetto di Tom Brady non è riuscita a nascondere la latente mancanza di giocate decisive da parte della controparte offensiva, con particolare riferimento alla batteria di wide receiver. Il reparto coordinato da Jim Schwartz ha svolto un ottimo lavoro tenendo a 298 yard la produzione offensiva totale di New England, subendo un solo touchdown dall’attuale terzo miglior attacco per punti segnati relegandolo a sei punt consecutivi nelle ultime sei serie giocate da Brady e compagni. Quest’ultima statistica non può che sottolineare la pessima vena offensiva che gli Eagles si trovano di tanto in tanto ad affrontare, perché qualora i meccanismi offensivi avessero funzionato in maniera anche solo pertinente non staremmo parlando di una semplice vittoria contro i Patriots, ma di un’affermazione con tutta probabilità dominante.
Però poi le statistiche parlano chiaro e ci si ritrova a dover effettuare i dovuti conti con un quarterback non capace di superare il 50% di completi ed impreciso nel cercare Ertz in due distinte circostanze nella serie offensiva che ha poi deciso la gara, con l’ennesimo drop di un Agholor apparentemente impossibilitato ad erigersi a protagonista quando la situazione lo richiede in maniera pressante, e che ha concluso una prestazione assai incolore convertendo solo tre dei tredici terzi down tentati, corrispondenti ad un 23% inaccettabile se l’avversario che si ha davanti è quello delle grandissime occasioni. Ancora una volta emerge la a dir poco precaria situazione riguardante il ruolo specifico con i ricevitori responsabili di sole sei prese in tutta la partita, un trend indubbiamente appesantito dalle pesanti assenze di Jeffery e Jackson ma che si estende oramai troppo in profondità se considerato che negli ultimi due mesi di gioco sommati le ricezioni effettuate da running back e tight end corrispondono ai due terzi della produzione complessiva, un dato che non serve nemmeno commentare.
Ne deriva che il management dovrà trarre le dovute conclusioni una volta terminata la stagione, con l’ottica di valutare accuratamente la free agency di un Agholor ad oggi responsabile di 322 yard e tre mete nonostante gli ampi spazi lasciati dagli infortuni dei colleghi mancando totalmente la possibilità di dimostrare qualcosa, aggiungendo polpa ad un settore che si è rivelato essere sin troppo deficitario. Di certo servirà qualcuno in grado di allungare adeguatamente il campo com’è capace di fare Jackson – tutti ricordiamo come questo attacco fosse differente con lui in salute nella prima partita stagionale contro i Redskins – se non altro perché attualmente mancano tutti quei mismatch in grado di rompere gli equilibri di certe marcature, circostanza dovuta al fatto che i big play degli Eagles sembrano nascere solo ed esclusivamente dalle capacità di allungare il gioco messe in mostra da Wentz e non dall’ordinarietà degli schemi.
FALCONS, LA REAZIONE
I Falcons hanno finalmente messo assieme una striscia di due vittorie consecutive durante una campagna decisamente deprimente, e nonostante gli evidenti progressi registrabili soprattutto in difesa la stagione è destinata ad essere ricordata come un treno che è passato, sul quale i ragazzi di Dan Quinn non sono saltati su in tempo. Le prestazioni difensive, che vedono oggi i due coordinatori Raheem Morris e Jeff Ulbrich chiamare i giochi al posto di Quinn, risultano di qualità nettamente superiore rispetto alla precedenza e stanno comodamente in cima alla lista delle motivazioni per cui Atlanta è stata capace di portarsi a casa l’upset contro i Saints ed un’altra vittoria molto solida contro i Panthers, togliendosi se non altro la soddisfazione di infliggere danni a due dirette concorrenti divisionali.
Lo strascico della svolta si trascina sin dalla sconfitta contro i Seahawks prima del bye, in quanto isolandone il solo secondo tempo ed aggiungendo le ultime due gare intere si ottengono dati molto interessanti. Misurando difatti gli ultimi dieci quarti giocati i Falcons hanno limitato l’opposizione a cinque field goal senza concedere nessun touchdown, ottenendo una somma impressionante di undici sack negli ultimi otto quarti quando nelle prime otto gare dell’anno sommate ne avevano registrati solo sette, statistica certamente esemplificativa del fatto che non si riuscisse a fermare con costanza alcun tipo di attacco. Le motivazioni risiedono sicuramente in più settori, primo tra tutti la sempre fondamentale sincronia tra pressione della linea e marcatura dei cornerback, spesso legate a doppio filo tra loro. E qui entra in gioco la capacità di comunicare, di avvertire il compagno che si trova fuori posizione quel tanto da rischiare di generare il big play, e di chiudere la visuale al quarterback quel tanto che serve per permettere al front seven di mettergli le mani addosso.
Tale concetto sta alla base dell’affermazione contro i Panthers, dal momento che Kyle Allen è stato costretto a vivere una giornata da dimenticare facendosi intercettare in quattro distinte occasioni subendo cinque sack, che sommati ai cinque qb hit rimediati danno una precisa idea delle difficoltà patite nel suo pomeriggio. Atlanta ha così rimediato 55 yard negative nel compiuto totale riducendo a un colabrodo la percentuale di tentativi di conversione di terzo down (14%) mostrando d’un tratto la compattezza difensiva che si pensava possedesse in sede di pronostici. Poco importa concedere allora 191 yard a McCaffrey se le stesse risultano essere totalmente infruttifere, come abbondantemente dimostrato dal 29-3 con cui i Falcons hanno raccolto il loro secondo upset consecutivo.
Sempre che di upset si possa realmente parlare, perché la squadra vista in campo negli ultimi quindici giorni paiono aver ben rappresentato ciò che sarebbe potuto essere, un fattore che se aggiustato per tempo vedrebbe di certo Atlanta ancora partecipe alla corsa per i playoff. Ora, la matematica non ha ancora dato sentenze in merito ma il terreno perso è oramai troppo: non resta che ricavare le dovute lezioni in vista del 2020, giocare per salvare il posto a Quinn e cancellare in fretta il disastro rappresentato dalla prima metà di questo campionato.
GAME REWIND OF THE WEEK:
Raro incrocio tra Vikings e Broncos rivelatosi più interessante rispetto alle previsioni, con la squadra di Vic Fangio in grado di tenere il vantaggio per quasi tutta la gara nonostante lo schieramento di un rookie nella posizione di quarterback. Minnesota rimonta tra il chiasso del U.S. Bank Stadium, ma il tutto si chiude con Denver in approccio alla endzone nei minuti decisivi della partita, risolti solamente dall’efficacia dei defensive back in porpora.
STAT LINE OF THE WEEK: 29/46, 444 yard, 3 TD, 116.6 RTG
Al di là dei risultati ondivaghi dei Cowboys, Dak Prescott sta giocando una stagione di altissimo livello, l’attacco aereo di Dallas funziona benissimo anche quando le difese riescono a stringere le viti sulle corsie da concedere a Elliott.
ONE LINERS OF THE WEEK:
- La stagione è andata sin dalla prima giornata, ma veder perdere i Redskins in maniera così netta contro i Jets in casa fa comunque male al cuore di chi li tifa (tra i quali lo scrivente…).
- Se Goodell è una persona seria, Myles Garrett lo rivediamo in campo solo dopo l’ottava settimana di gioco del 2020.
- Le probabilità del rinnovo contrattuale di Jameis Winston sono nuovamente scese.
- Alcuni intercetti di Philip Rivers sono davvero incomprensibili, e stanno affossando troppo i Chargers.
- I 49ers hanno sudato parecchio in entrambi gli scontri contro i Cardinals ma li hanno vinti entrambi, una grande dimostrazione di forza mentale contro un avversario meno attrezzato di talento.
- La vera forza di una squadra si giudica anche dalle capacità di rimonta in una situazione imprevista, sotto nel punteggio contro un ospite di certo non all’altezza, per questo l’affermazione dei Vikings contro Denver dimostra una maturità da non sottovalutare.
A LOOK AHEAD:
- Thursday Night intrigante con Colts e Texans appaiate a quota 6-4 con la testa divisionale in palio in una settimana avara di riposo.
- Gli Eagles sono chiamati a sfoderare una prestazione memorabile contro i Seahawks in una delle gare più difficili dell’anno, pena l’allontanamento dalla strada che conduce alla postseason.
- I Cowboys viaggiano a Foxboro e godranno dell’ennesima occasione di dimostrare di poter battere una delle squadre più forti della Nfl, prova che fino a questo momento non sono riusciti a fornire.
- San Francisco contro Green Bay in un Sunday Night di fuoco tra due rivali Nfc che totalizzano solamente tre sconfitte sommando i rispettivi valori.
- Altro Monday Night che vale la pena vedere (comincia a diventare una piacevole abitudine, occhio…), il Lamar Jackson show si sposta a Los Angeles gettando immediatamente l’occhio sul matchup individuale contro Aaron Donald, oltre all’osservazione di una difesa in forte ascesa contro un attacco in crisi come quello dei Rams.
See ya!
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.