Dopo aver parlato ampiamente di malasorte in relazione agli Steelers, possiamo tranquillamente ripeterci nei confronti dei ragazzi della Motown. Mentre a Pittsburgh l’ovale strizza l’occhio in direzione avversa e infortuni costanti privano il roster di elementi basilari (Tuitt ultimo della lista), da queste parti la luna nera è presente, oltre che per acciacchi importanti, anche nelle decisioni arbitrali e nel risultato delle partite non vinte.

Accantonando i lungodegenti Jermaine Kearse, Austin Bryant e Darius Kilgo, sono Mike Daniels, Rick Wagner, Quandre Diggs (comunque appena approdato a Seattle), Amani Oruwariye e Da’Shawn Hand gli uomini ai box, Nick Bawden e Ty Johnson svolgono lavori individuali e Damon Harrison, Kerryon Johnson (andrà sotto i ferri) e Darius Slay si sono purtroppo fermati nel match contro i Vikings, togliendo a Detroit il miglior defensive back, un top interior e il running back di punta.

Quel che non fa dormire sereno Matt Patricia è un record al ribasso (2-3-1) rispetto a ciò che i suoi giocatori hanno fatto intravedere nel rettangolo di gioco, affrontando a testa alta tutti gli avversari e meritando come minimo un primato sopra la media, lasciando la L al cospetto di Kansas City, Green Bay e Minnesota per un’inezia.

Ovviamente vivere dentro una conference pazzesca accresce il numero di close game, in aggiunta giocare un football di livello e qualità come quello dei Lions non significa automaticamente portare a casa il risultato, visto che l’eccellenza e le individualità dei rivali è superlativa. Una schedule impegnativa inoltre, non ha permesso di trovare avversarie facili nemmeno dall’altra sponda, dove a parte Patriots e Chiefs prima dell’infortunio a Mahomes, nessuno riesce ad avere una parvenza d’elite.

Nella National, oltre alle circa 10 squadre sopra il 50%, si rischia bensì di subire rimonte o highlights anche contro team all’apparenza inferiori, ricchi pure loro di quality player in grado di modificare gli eventi, come accaduto con Murray e Fitzgerald ad Arizona o come potrebbe avvenire di fronte a gente del calibro di Ryan, Julio Jones, Barkley o Mike Evans. Basti pensare che San Francisco è l’ultima contender inserita in una lista infinita, nella quale rispetto ad inizio anno non c’è più Atlanta, caduta in disgrazia ma stracolma di talento e sempre difficile da affrontare. Packers, Saints, Seahawks, Vikings, i redenti Panthers, Bears, Eagles, Cowboys e Rams, vecchio championship club oggi un po’ a rilento, sono le corazzate attrezzate ad arrivare al traguardo conclusivo.

Dunque ricapitolando, la luna nera c’è stata senza dubbio, ma un raggruppamento così innalzato verso il top, contribuisce e contribuirà allo stesso modo ad aumentare i rimpianti per l’elevato numero di sconfitte punto a punto, sia per i Lions che probabilmente per tutte le abitanti della NFC. Ad essere leali dobbiamo infatti riconoscere che nella vittoria casalinga sui Chargers la W è arrivata in rimonta e a basso punteggio, mentre al cospetto degli Eagles si è controllato il ritorno avversario e vinto poi sempre di misura.

Le polemiche non sono mancate e un uso illegale delle mani di Trey Flowers nettamente opinabile ha deciso gli ultimi istanti della trasferta a Green Bay. Per arrivare a trasmettere in modo quasi costante in tutte le emittenti le azioni incriminate, con social e vecchie star (Barry Sanders) scatenate contro i referees, portando per una settimana molta “italianità” al football americano, evidentemente la situazione imputata era veramente al limite. Persino Troy Vincent, vicepresidente esecutivo NFL, ha dovuto ammettere l’errore in almeno una delle chiamate. Fa ancora più male questa dichiarazione di colpa, che lascia Detroit col bicchiere mezzo pieno ma senza la possibilità di aver agguantato una vittoria verso un competitor da Super Bowl, dopo Kansas City e prima di Minnesota. Gli ululati riversati agli arbitri, con tanto di travestimenti stile Banda Bassotti negli spalti domenica scorsa non sono serviti e una pass interference in endzone ha anzi vanificato un intercetto.

Se c’è uno sport dove l’80% di possibilità di vincita deriva dalla fiducia acquisita strada facendo è il football; trovarsi ad ammirare e specchiarsi in un gioco splendente – anche se a tratti – e sentirsi meritevole di presenziare i vertici di una division tremenda come la NFC North ma poi dover convivere e annacquare nel marasma generale potrebbe contribuire ad un futuro calo psicofisico degli uomini di Darrell Bevell e Paul Pasqualoni: il tempo dirà.

In tale girone i Lions si sono piazzati secondi in tre delle ultime stagioni, non vincono il titolo dal 1993 (allora c’era la NFC Central) e l’ultima volta in cui sono stati avanti nelle primissime settimane è stato il 2016, quando successivamente cedettero il trono agli stessi Packers in week 17. Nel 2014, a seguito dell’ottimo 7-2 iniziale, subirono di nuovo il ritorno degli acerrimi rivali, prima di uscire di scena anche lì per una controversa “non-chiamata” in postseason.

Contro i Chiefs – ancora immuni a sconfitte, lanciati verso il top e con Mahomes sano come un pesce – fu Darrel Williams a deludere i tifosi della Motor City, correndo per la vittoria con 23 secondi sul cronometro.

La sfortuna non è l’unica responsabile di quel che successo in week 1, quando un vantaggio di 18 punti si è sperperato per strada, impedendo una facile vittoria ad Arizona, contro un team non assestato e di fronte al rookie qb atteso da tutti ma all’epoca acerbo.

Luna nera a parte ciò che non sta andando è il gioco di terra e questo sinceramente non coincide con le premesse iniziali. La West Coast offense, con gli attori a roster può dare molte soddisfazioni senza dubbio, ma i miglioramenti del running game con Patricia al secondo anno, pareva potessero essere consistenti, dando quello step ahead necessario per compiere il decisivo passo verso la perfezione del settore. Ovviamente rispetto alla pochezza con Jim Caldwell (76 rushing yard per game nel 2017) le statistiche vanno progredendo, ma dalla presenza contemporanea di due guru come gli ex defensive e offensive coordinator di Patriots e Seahawks ci aspettavamo molto di più.

Che la qualità fosse superiore alle ultime annate d’altronde era lapalissiano, sia per quel che concerne il campo che le stanze di comando. Cooter non aveva demeritato, specialmente nel campionato appena trascorso, ma l’avvento del nuovo OC da Seattle portava con sé una dote necessaria per far salire il livello del running plane: varietà ed eccentricità! Il flop di CJ Anderson ha probabilmente accentuato l’apatia del reparto e scombussolato i piani che vedono ancor oggi la dirigenza attiva in scambi (Tra Carson/Paul Perkins), lasciando a Kerryon Johnson ogni incombenza, viste le ovvie difficoltà del rookie Ty Johnson. L’ex Rams ha steccato lo start e la proverbiale muscle power del piccolo uomo da California College, basilare per un solido e costante iardaggio, non è servita allo scopo e le 2.7 yd per game gli sono costate l’addio, preferendo la 186ma scelta 2019 da Maryland, dalla stazza simile (178 cm per 96 kg).

Il ventesimo posto per portate totali e il ventiquattresimo per touchdown su corsa spiegano meglio i risultati negativi nella red zone, con Matthew Stafford troppo ordinario nelle scelte, se non inferiore alla media; forse più che la cattiva sorte è questo che influisce nei closing game. Le 3.8 yd per game (26mi) sono inoltre la causa del perché i Lions abbiano fallito quasi sempre il raggiungimento di quota 100! Kerryon Johnson ha avuto appena 13 carries per 34 iarde nell’incontro di Green Bay, limitando la conquista di primi down in momenti determinanti.

La linea di Jeff Davidson, cioè fra gli altri Ragnow, Dahl, Decker, Glasgow, Rick Wagner e Tyler Crosby, se da un lato protegge sufficientemente il proprio regista (12mi per sack ricevuti), dall’altro non riesce a far filtro e creare varchi sufficienti per piccoli profitti. Un guadagno facile e sicuro grazie al backfield provoca maggiori certezze in zona rossa, come si vede dalla prolifica produzione avversaria. I Lions hanno circa 20 squadre davanti nella red-zone efficiency e sono fra le ultimissime per situazioni goal-to-go, convertendo circa il 44% di giochi in td. Avere difficoltà a chiudere terzi down (35.3 % a dispetto del 45.3 avversario) e realizzare poche mete vicino il traguardo in rushing mode crea ovviamente maggiore pressione e responsabilità verso Stafford, che perciò in tale fase ha performato un insipido 54% realizzativo, a distanza siderale dai vari Minshew, Ryan, Wilson e Brissett, incassando per di più numerosi delay of game dovuti all’insicurezza latente. L’operazione al ginocchio di Kerryon non ci voleva e accrescerà ulteriori malumori.

Ancora peggiore è la fase difensiva, che dà spesso l’impressione di non poter stoppare nessuno nei giochi on the ground. Ventottesima è la posizione contro le corse, con 5.2 yard per tentativo e il match coi Vikings è stato il quinto consecutivo col minimo di 120 subìte. Le brutte performance di Jarrad Davis, secondo Pro Football Focus il peggior linebacker ad aver partecipato ad almeno 100 snap nelle prime tre uscite, lasciano gli onori della cronaca ai soli Christian Jones e Devon Kennard, titolari del front seven 4-3 assieme ai vari Tavai, Hand (oggi inattivo), Okwara, Robinson, Trey Flowers, l’erede di Ansah, e “Snacks” Harrison, tackle machine inarrivabile dal 2012 per numero di placcaggi, responsabili delle debacle finora discusse (quintultimo posto in rushing yard a incontro).

La secondaria, a picco anch’essa e penultima in NFC nei guadagni al lancio per game, paga l’addio a Quin e l’aver affrontato un calendario terribile che l’ha messa di fronte a sei top passer; Rashaan Melvin, Justin Coleman e Tavon Wilson finora si mantengono integri, mentre pure il leader Darius Slay combatte con acciacchi continui. Le 337 yd lanciate da Cousins nell’ultima delusione in ordine cronologico, confermano la statistica annuale, secondo cui ogni qb palesatosi dinanzi a Detroit abbia superato quota 250: pessimi numeri! La trade coi Seahawks fresca di giornata, con la quale Diggs si accasa nello stato di Washington assieme ad una scelta al settimo giro 2021 in cambio di una al quinto 2020, ci da tanto l’idea di una resa!

Le positività e migliorie stagionali stanno invece nel vincere la battaglia sui turnover e nelle partenze a razzo, che dimostrano forte personalità di squadra ad entrare in partita al cospetto di chiunque. Sono tra le prime sei franchigie sia ad aver recuperato palloni che ad aver salvato situazioni con ovale vacante e si sono trovati avanti 17-0, 10-0 e 13-0 contro Arizona, Chiefs e Packers, grazie a un playbook vario e creativo, compresi flea-flicker spot.

Il quarterback inoltre, non più un ragazzino (31 anni), è però sempre un gran vedere quando libero di lasciar andare il braccio, mantenendo negli anni la performante abilità di creare alchimia coi ricevitori sul profondo, a costo di qualche intercetto che ne ha macchiato la carriera. Contro Minnesota – oltre ad averle lanciato 4 td per la prima volta – è divenuto il più veloce (147 match) a raggiungere quota 40.000 yard e questa variante del gioco pone Detroit paritaria a Chiefs, Packers, Patriots e all’intero gotha del football. Oltre allo stesso Johnson, utilissimo da screen pass receiver, e il sorprendente Marvin Hall quando chiamato in causa, usufruiscono dell’ottimo playcalling su passaggio – sesto posto NFL – i soliti Marvin Jones (4 segnature ai Vikings) e Kenny Golladay, proiettati entrambi ad una breakout season e a sfiorare le 1000 yard stagionali. Danny Amendola, venuto qui a chiudere la carriera sperando di ottenere nuovi successi, si sta adattando al ruolo di terzo violino, partecipando in alternanza ad Agnew anche nei punt return.

Nell’elenco delle positività va messo al primo posto l’impatto di TJ Hockenson, ottava scelta assoluta dell’ultimo Draft, che sta confermando l’importante fisicità sia da bloccatore che da catcher, lasciando alla new entry Jesse James e a Logan Thomas la spartizione dei target da secondo spot.

Tre sconfitte sono un fardello enorme, specialmente per le ottime individualità ammirate in campo; i Lions hanno bisogno di una striscia vincente per rientrare in lotta, cosa alquanto difficile con simili problemi difensivi e il terribile girone di residenza. Il talento è immenso e i prospetti principali possono creare qualcosa di imponente e duraturo, ma perdere in anticipo le speranze per una stagione ancora lunga e nonostante le belle cose intraviste lascia l’amaro in bocca e qualcosa di incompiuto, per l’ennesima volta, anche perché Stafford meriterebbe finalmente di arrivare fino in fondo, prima che sia troppo tardi.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.