I NINERS SONO UNA REALTA’ CRESCIUTA E VINCENTE

Jimmy Ward sta giocando ad altissimi livelli difensivi.

Il trascorrere delle settimane ha posto in evidenza un concetto che nessuno può oramai permettersi di sottovalutare: i San Francisco 49ers, che risiedono a quota 5-0 per la prima volta dal 1990, sono una delle migliori squadre Nfl. Le testimonianze di ciò – al di là dell’apparente poca complessità di un calendario immediatamente fatta notare dai soliti detrattori – sono sostanzialmente ovunque, in quanto la squadra diretta da Kyle Shanahan ha messo a punto dei meccanismi in grado di funzionare in maniera vicina alla perfezione in tutti i settori del gioco, riuscendo finalmente ad applicare la filosofia desiderata dimostrando che nonostante un 2018 contraddistinto dall’infortunio terminale occorso al più recente volto della franchigia nel ruolo di quarterback, la strada intrapresa era proprio quella corretta.

Dal nostro punto di vista non c’è invece molto da additare verso la presunta benevolenza della schedule se non il confronto con i derelitti Bengals. Vero che le avversarie sinora incontrate non detengono bilanci particolarmente alti, vero anche che i Niners hanno saputo vincere sia dominando (Cleveland, Los Angeles) che giocando male (Tampa Bay), scrivendo un punto esclamativo enorme per gli effetti morali proprio grazie alla conquista del Los Angeles Coliseum, ridicolizzando un plenipotenziario attacco acquisendo la consapevolezza di essere passati dall’essere una franchigia in ricostruzione al poter competere per i playoff nel giro di poche lune, proprio come avevano promesso Shanahan e Lynch in coincidenza del loro insediamento in loco.

La prova di domenica prende quindi tutte le sembianze di un ideale passaggio di torcia nell’attuale Nfc West, con i Rams malmenati ed umiliati a casa loro – se così si può dire, visto l’inferno scatenato dai tantissimi viaggianti da San Francisco – e rispediti nel momentaneo dimenticatoio di una Nfl sempre velocissima nel cambiare i volti delle sue protagoniste, incoronando il rosso ed oro con il provvisorio primato di division cementando l’idea che nessuno – con l’eccezione dei Saints – stia giocando con questa efficienza nella Nfc. Questo non significa produrre 500 yard e 50 punti a partita, vuol invece dire massimizzare le prestazioni di attacco e difesa scovando i punti deboli degli avversari per poi annientarli, anteponendo il materiale cementizio alla spettacolarità. Le migliori qualità di squadra, una rocciosa difesa ed un gioco di corse funzionale, permettono per il momento di celare alcuni momenti di non particolare brillantezza mostrati da Garoppolo in varie circostanze, sfidando gli avversari a serrare le trincee per avere una minima speranza di poter competere a pari livello. Finché la barca è direzionata così, è lecito pensare che le cose possano continuare a proseguire così anche dinanzi a prove più dure.

Non che Jimmy G. stia giocando male, i numeri sono abbastanza buoni ma non raccontano la storia nella loro interezza, il quarterback ha sviluppato una chiara tendenza nel forzare troppe conclusioni all’interno delle venti yard con motivazioni che si possono distribuire tra la fretta di liberarsi del pallone a causa dell’occasionale pressione (da ricordare che domenica mancavano entrambi i tackle titolari) e letture insufficienti nella progressione, che contro Los Angeles sono costate un intercetto in area di meta ed un field goal al posto di sette comodi punti per non aver visto un ricevitore completamente libero, anziché fissarsi su un troppo ovvio screen per il running back. Il gioco di corse, al contrario delle settimane precedenti, ha fruttato pochino (solo 2.4 yard di media) ma è stato determinante nel concretizzare un tempo di possesso maggiore di ben diciotto minuti rispetto ai Rams incollandone l’attacco alla sideline, una statistica che ha visto San Francisco primeggiare in tutte le cinque uscite stagionali e che aiuta a superare la sconfitta nella battaglia dei turnover, persa 2 a 1, valore che va normalmente a punire chi di palloni ne perde di più rispetto a chi si ha davanti.

La difesa conta sempre e comunque più di tutto il resto, attualmente a San Francisco si può vantare il secondo reparto Nfl per punti e yard al passivo e ci si può permettere il lusso di lasciare un trio devastante quale il Kupp-Cooks-Woods ad un totale di 35 yard, una cifra che George Kittle ed il suo infortunio all’inguine hanno sostanzialmente triplicato. Se poi si schiera un muro come quello che ha schiantato ogni tentativo di conversione di terzo e quarto down – ben tredici – allora non c’è poi da perdere troppo tempo a chiedersi il perché di quelle misere 78 yard che decretano il career-low di Goff, le motivazioni alla base di questo cambio di leadership divisionale sono assai chiare, ed i Niners non vedono l’ora di confermarle in una seconda parte di stagione dove la differente consistenza degli avversari li metterà costantemente alla prova. Al momento, tuttavia, questa squadra è quanto di più vicino possa essere ad un vero capolavoro.

A KYLE QUELLO CHE E’ DI KYLE

I riflettori sono (giustamente) puntati su McCaffrey, ma è bene accorgersi anche dell’ottimo operato di Kyle Allen.

E’ perfettamente inutile tentare di continuare ad ignorare il fatto che i Panthers stanno vincendo anche senza Cam Newton, la realtà è oramai assodata da un mese ed il recupero fisico del quarterback può per il momento continuare senza eccessiva premura e senza che la squadra ne perda in competitività. Nel frattempo, in un silenzio tanto surreale quanto assordante, Kyle Allen ha scritto la quinta vittoria della sua improbabile carriera e non ha ancora lanciato un intercetto, tutto ciò che serviva a Carolina per continuare in un tragitto transitorio del quale destino ancora non si sa nulla, tanto precarie sono divenute le condizioni del Superman con il numero uno sull’uniforme. Ovvio, il 5-0 di Allen non è tutta farina del suo sacco, ma c’è pur sempre chi nelle sue stesse condizioni ha combinato pasticci non narrabili minando le ambizioni di altre squadre – un dolore atroce vista la distanza che separa una stagione da quella successiva – e l’ex-undrafted già una volta tagliato da Rivera sta assolvendo ai compiti assegnati con ordine e senso della concretezza.

La vita è senz’altro più facile quando ci si può permettere il lusso di consegnare il pallone nelle mani di McCaffrey ed osservare le luccicanti creazioni del running back più produttivo della lega, concetto valido anche per una difesa che ha già confezionato 27 sack in appena sei partite ed ha appena fatto vedere i sorci verdi a Jameis Winston, facendolo crollare sotto i possenti colpi della pressione portata dai defensive linemen interni e guardandolo annaspare con gli innumerevoli tunover, altra chiave interpretativa della disfatta propinata a Tampa sul terreno calcistico degli Hotspur. Tutto ciò che Allen doveva fare era avere cura del pallone, una missione sinora compiuta in maniera impeccabile (7 mete, nessun turnover, 108.8 di rating) e soprattutto compito da non dare così per scontato quando in giro per la Nfl esiste un alto numero di colleghi scelti al primo giro più forniti di talento ma in difficoltà quando si tratta di evitare disastri, permettendo a Kyle di ottenere un risultato elevato al quadrato relazionando il fatto che lui, con il professionismo, nemmeno doveva centrarci.

Bene che la difesa riesca ad accorciare il campo recuperando i possessi in posizioni assai favorevoli od occupandosi personalmente di riportare ovali in meta, specialità già messa a punto dal rookie Brian Burns non più di una decina di giorni fa nell’ennesima partita dove i Panthers parevano risultare sfavoriti per la sola assenza del loro quarterback titolare, poi però capita anche il confronto dove nemmeno McCaffrey riesce a spezzare da solo la gara in due – complice l’ottima difesa sulle corse dei Buccaneers – ed ecco che il 104 di rating totalizzato da Allen non solo fa tornare i conti, ma fa tacere chi sta criminalmente sottovalutando la solidità del suo operato senza comprendere che cosa ciò significhi per il morale di squadra. Non è azione comune l’orchestrare un drive di 99 yard, 68 delle quali aeree, coinvolgendo quattro ricevitori e terminandone il percorso dritto in meta, pur sempre un segno che quel ragazzo arrivato dalla porta di servizio con una storia ancor più incredibile di quella attualmente vissuta dal baffo di Jacksonville, si sia preparato più che adeguatamente alle evenienze.

Spesso il nome abbinato alla endzone è quello di McCaffrey, ma lode ai Panthers ad essersi ripresi il giovane trasformandolo in una risorsa sottovalutata – un backup di qualità – senza liquidarlo quale camp body preferendolo a Heinicke e Grier, con i quali Carolina non godrebbe dei privilegi di cui vive ora. Se questi Panthers con Newton al top valgono il Super Bowl, l’impotante è creare le condizioni per giungervi: riserve del valore di Allen servono proprio a scopi come questo.

SEGNALI DI VITA A PITTSBURGH

Devin Bush sta producendo giocate significative ad ogni ingresso in campo.

La pessima partenza degli Steelers, unita alla perdita di Big Ben, ha inevitabilmente fatto depennare la squadra da tutti i ranking rilevanti nel quadro della Afc. Ciò non significa necessariamente che Mike Tomlin non possa essere nelle condizioni di far trascorrere un campionato comunque dignitoso di fronte ad avversità che avrebbero atterrato un elefante, le ultime tre esibizioni di Pittsburgh portano difatti segnali incoraggianti grazie soprattutto ai big play di una difesa che migliora la qualità di vita di un attacco altrimenti lacunoso, fornendo interessanti segnali di sopravvivenza nonostante il disfacimento delle tre killer B’s. Non sarà la compagine che fu, ma se non altro la capacità di tirare la carretta senza superstar significative è un qualcosa che attira molto rispetto, ed è certamente rappresentativo del corretto metodo conduttivo che questa storica realtà porta avanti praticamente da sempre.

Tirando somme solo parziali ma in ogni caso veritiere, gli Steelers se la sono giocata contro Seattle e San Francisco, due delle migliori rappresentanze della Nfc, hanno se non altro dimostrato di non essere allo sfascio come i rivali Bengals sotterrandoli nell’impietoso confronto diretto ed hanno rischiato di vincere contro Baltimore evidenziando tutti i problemi difensivi della squadra di John Harbaugh, soggiogando infine gli irriconoscibili Chargers di Philip Rivers. Il loro è un 2-4 da valutare diversamente da altri di pari importo, Pittsburgh è un’organizzazione di classe che non lascia perdere una stagione anzitempo, qui si sta lottando per tirare fuori qualcosa di buono utilizzando già due quarterback che hanno assaggiato il campo in maniera ufficiale per la prima volta in carriera, si preparano le partite assecondando la propria mancanza di talento offensivo tirandone fuori il meglio che si può, si è assistiti da una difesa in crescita, che rispetto a dodici mesi fa è capace di produrre giocate determinanti in stretta sequenza.

Il primo mese abbondante di stagione sta dimostrando che l’iniezione di linfa vitale procurata da Devin Bush corrisponde a quanto pubblicizzato in sede pre-Draft, il linebacker possiede difatti istinti superiori alla media, energia e grinta da vendere ed attitudine a provocare tutte quelle situazioni che possono condizionare positivamente la partita, come dimostra la diretta responsabilità dei primi 14 punti segnati domenica da Pittsburgh. Se Bush, con due intercetti, quattro fumble recuperati ed una meta è il simbolo della capacità distruttiva di un reparto che tende comunque a concedere ancora troppo, la situazione generale è ben supportata anche dalle capacità di intervento dei compagni che lo circondano come dimostrano gli otto intercetti sinora totalizzati – cifra esattamente uguale al totale registrato nel 2018 – frutto del senso di posizionamento ma anche delle numerose circostanze in cui il fronte difensivo ha schiacciato la tasca verso il quarterback di turno, effettuando delle deviazioni di lanci assolutamente decisive. Sono situazioni create dalla forte spinta che la linea è in grado di produrre, con Cam Heyward, Stephon Tuitt – purtroppo perso per tutta la stagione – e T.J. Watt, letale nel matchup contro Sam Tevi, a creare ottime dosi di confusione minando la compostezza della tasca avversaria.

Sono fattori essenziali se poi il piano di gioco, in assenza del convalescente Rudolph, costringe a studiare una serie di conclusioni non superiori alle 10 yard permettendo all’acerbo Hodges di gestire con tranquillità una situazione di assoluta emergenza, preservandolo dai classici e gravi errori che i quarterback inesperti tendono a commettere, bene che ci sia Conner sempre pronto a trasformare una ricezione corta in qualcosa di maggiormente sostanzioso e che – seppur grazie alle facilitazioni fornite dalla difesa – permanga il suo buon fiuto per varcare l’area di meta, ed il fatto che gli Steelers possano annoverare qualità nelle seconde linee è una tesi avvalorata non solo dall’aver fatto giocare con costrutto il secondo e terzo regista della stringa, ma pure l’aver ottenuto 4.4 yard di media da matricole poco sospettabili come Benny Snell Jr., una vera provvidenza per un backfield orfano dell’infortunato Samuels e che ha visto proprio Conner arrendersi ad un infortunio al quadricipite a fine terzo quarto.

L’attuale stato delle cose presso la Steel City non è affatto disastroso come il bilancio sinora compilato potrebbe far credere, a maggior ragione quando ci sono squadre che nemmeno con i ranghi al completo possono dimostrare una tale capacità di sopravvivenza. Si critichi pure Tomlin per qualsiasi altro aspetto del suo essere head coach, ma non per le motivazioni che sa trasmettere ai suoi giocatori.

FINE DELLA CORSA?

Marcus Mariota e Jameis Winston hanno nettamente deluso le attese di quel Draft 2015.

Tra queste righe se n’è parlato spesso, d’altro canto l’argomento nel suo sviluppo è assai interessante ed i parallelismi che sono andati creandosi sembrano uno strano scherzo del destino. Sì, siamo ancora qui a discutere della sorte di Jameis Winston e Marcus Mariota, legati con un filo d’acciaio a quel Draft 2015 nel quale furono rispettivamente la prima e seconda scelta assoluta quali nuove speranze di due franchigie all’epoca a terra, cercando segnali di un futuro migliore che nel corso del quinto anno di attività scarseggiano nel farsi vedere. I loro nomi emergono di proposito in questa settimana, partendo dal presupposto che il presente doveva essere il campionato in grado di fornire indicazioni non più provvisorie per cominciare a programmare più seriamente a lungo termine, e le connessioni tra i propositi di rinnovo contrattuale e le prestazioni a dir poco alterne fornite in nemmeno mezza stagione si sono fatte maggiormente fitte proprio in occasione di una Week 6 che potrebbe essere ricordata più in là per aver rappresentato l’esatto punto di rottura tra i due quarterback e le loro relative realtà.

Su Mariota è praticamente impossibile stilare un giudizio definitivo in un senso o nell’altro, a volte è colpa della linea offensiva formato-groviera, altre volte i ricevitori sono inconsistenti, altre ancora il lavoro in regia è plagiato da decisioni incomplete o discutibili. E visto che, in altre esibizioni ancora, l’ex-Oregon parrebbe mostrare interessanti segni di crescita mostrandosi a tratti un giocatore in grado di confezionare partite di buon livello, la confusione sulla sua effettiva pasta è ancora molto alta. Mike Vrabel una decisione l’ha presa ed è una di quelle che fanno intendere di averne avuto abbastanza, resta da stabilire se gli effetti della sostituzione a favore di Ryan Tannehill possano essere duraturi o meno. Di certo l’head coach dei Titans non aveva che un numero ristretto di possibilità dopo aver assistito all’ennesima e frustrante dimostrazione di non congruità nel condurre un attacco professionistico a modo, ed è fin troppo lampante il fatto che non si potesse proseguire la ripresa della gara con un giocatore annebbiato, impreciso, ancora una volta tendente al turnover, capace solo di mettere assieme un rating di 9.5 arrivando a lanciare per la miseria di 63 yard. Per Tennessee è giunta l’ora di capire se continuare ad investire scelte pesanti su ricevitori – e qui il signor A.J. Brown ha potenzialità a dir poco intriganti da vendere, basterebbe un quarterback degno di tale nome – sia la soluzione adatta per aiutare la crescita in regia, ma la risposta temiamo di conoscerla, è non è a favore di un rinnovo contrattuale per chi oggi occupa il ruolo più importante dell’attacco.

Winston è di tutt’altra natura, ma la base del problema rimane comunque la stessa. Anche qui gli interrogativi fioccano ed il tempo corre, costringendo il management ad accelerare delle valutazioni sempre più complesse in vista di una offseason imperniata sulla drastica diversità tra le due possibili strade da intraprendere. Jameis ha la produttività in tasca ed è un regista capace di infilare le 350 yard con facilità, ma il problema che lo affligge da sempre – i turnover – rappresenta un settore statistico che non solo sta sfuggendo di mano, sta pure distruggendo la psicologia dello spogliatoio. Winston non si è dimostrato essere un quarterback in grado di trasportare la squadra ai playoff, di conseguenza le potenzialità di Tampa sono andate puntualmente disattese – si pensi, ad esempio, alla prestazione londinese della difesa contro le corse di Christian McCaffrey – e le premesse di inizio anno sono crollate come un debole castello di carte. La missione primaria, bene ricordarlo, era la maggior cura nei possessi predicata dal guru Arians, mentre la risposta fornita da Winston è stata sempre la stessa, forzatura su forzatura, arrivando a commettere 10 intercetti nello spazio di sei partite, il suo peggior dato personale di sempre in una stagione che doveva invece privilegiarne il progresso. Se la difesa ha concesso oltre 30 punti nell’83% delle esibizioni, molto lo si deve al perseverare in incorrette valutazioni offensive, che spesso accorciano la strada per il successo a favore degli avversari.

La differenza ora sta nelle considerazioni da farsi da parte dei rispettivi staff. Vrabel potrebbe seriamente pensare di inserire Tannehill, che di esperienza pro ne ha, e vedere che accade, conscio che la situazione con Mariota al comando è destinata a rimanere altalenante, mentre non si vede il motivo per cui Arians dovrebbe togliere le redini offensive ad un Winston per proseguire il cammino con Ryan Griffin, una mossa che andrebbe solo a peggiorare la già debole situazione di Tampa. Lo sfondo, invece, è del tutto comune, ed il prossimo settembre potrebbe vedere entrambe le squadre con facce totalmente nuove nel dirigere le operazioni offensive, cancellando per sempre il ricordo di quell’uno-due di cui si è parlato tanto, ma che non ha mai comprovato di valere quelle prime due posizioni assolute. Gli effetti non saranno immediatamente visibili, ma la scorsa domenica potrebbe aver emesso delle sentenze definitive, dimostrando che la corsa al quarterback, oggigiorno, è sin troppo disperata.

A DALLAS SI TORNA CON I PIEDI PER TERRA

Nonostante Zeke Elliott e tutte le altre armi offensive, Dallas non segna più mete nei primi tempi.

Durante le prime tre settimane di gioco i Cowboys erano parsi imbattibili e proiettati verso una stagione potenzialmente dominante. Oggi l’impressione è sostanzialmente svanita nel nulla, la squadra non sta giocando al livello desiderato e nonostante nulla sia compromesso a livello divisionale si sta perdendo consistentemente terreno. Magari ci si è fatti prendere dal soffice calendario che ha opposto alla franchigia di Jerry Jones squadre mediocri come Giants, Dolphins e Redskins, contro le quali il reparto offensivo coordinato per il primo anno da Kellen Moore ha fatto registrare più di 30 punti e 480 yard di total offense facendo sembrare tutto molto facile in fase esecutiva, prima di scontrarsi con una realtà molto più dura che ha ribaltato la percezione dei texani.

Il problema più grave è senza dubbio l’improvvisa incapacità produttiva allegata ai primi trenta minuti delle ultime tre gare sommate, nelle quali Dallas ha segnato la pochezza di nove punti peraltro nati nella loro totalità dal piede di Brett Maher. In secondo luogo la battaglia dei turnover è passata sistematicamente a cifre passive, un fattore letale contro una difesa come quella dei Saints in una gara persa di misura nella quale Sean Payton ha potuto gestire il cronometro quasi a piacimento, nonché nel brutto passo falso commesso in casa contro i Packers, contro i quali l’attacco ha prodotto ben 563 yard di total offense perdendo però tre palloni contro il solo possesso sprecato da Green Bay, sciupando un differenziale di oltre 200 yard a favore nonostante il cronometro sia risultato ancora una volta avverso alla squadra di Jason Garrett in una gara peraltro assai indisciplinata e gravata da 124 yard di penalità complessive.

Contro i Jets si è vinta sia la battaglia del tempo di possesso che quella dei turnover ma si è persa la cosa più importante di tutte, una partita contro una squadra che non aveva mai vinto in precedenza. E qui non possono non emergere anche delle problematiche dal punto di vista difensivo, se non altro perché quanto mostrato da un reparto altrimenti solido stride con le amnesie relative al touchdown di 92 yard concesso a Robbie Anderson, permettendo ai precedentemente derelitti Jets di scappare con il bottino rinnovando gli intoppi già patiti nelle due settimane precedenti. Anderson, il produttivo Crowder ed il resuscitato Demaryius Thomas hanno disputato la partita dell’anno grazie alle generose concessioni di un reparto che ha elargito almeno un completo di 24 yard per ciascun quarto di gioco, andando in particolare difficoltà in coincidenza delle playaction giocate da Darnold, una delle quali – appunto – ha fruttato la lunga ricezione e corsa del veloce Anderson.

Con tutta probabilità l’assenza di entrambi i tackle titolari ha gravato sull’esito di alcune azioni determinanti, i Cowboys hanno difatti perso molte battaglie in trincea faticando a contenere i blitz predisposti da Gregg Williams, ritrovandosi con una perdita di yard in azioni consecutive nelle quali – in particolare nella parte conclusiva del secondo quarto – avrebbero potuto portare negli spogliatoi dei punti incoraggianti, vedendosi invece annullare un terzo ed uno, cosa che Elliott converte normalmente ad occhi chiusi, ed un quarto e due, con una keeper di Prescott per yardaggio addirittura negativo. Da un blitz di Jamal Adams, giunto in faccia a Prescott senza che gli venisse dedicato alcun blocco, è inoltre nata la mancata conversione da due che avrebbe condotto all’overtime.

Ora è necessario fare di nuovo i conti con una pressione mediatica sempre più claustrofobica, la quale si chiede a gran voce se sia il caso di continuare a dare infinite possibilità di successo a Garrett e se sia davvero il caso di considerare i Cowboys quale concorrente di spessore per allungare il proprio percorso invernale. L’occasione di rimettere in ordine il tutto è propizia, arriva giusto in tempo un primetime contro Philadelphia utile a rompere la situazione di pareggio divisionale tra le due rivali, poi seguito da un turno di riposo utilissimo per recuperare dagli acciacchi, sperando che Amari Cooper torni presto in forma completa e cercando di rimettere in sesto la possente linea offensiva. Ciò non toglie che tutti questi segni di discontinuità gravano sul morale generale e generano dubbi che alla squadra proprio non servivano, anche se la corsa-playoff del 2018 aveva preso forma da un bilancio in perdita. Il problema è che a Dallas si desidera molto più del solo approdo alla postseason, ed alla fine i conti li si fanno esclusivamente con i trofei non raggiunti. O almeno questa è l’idea di Jerry Jones.

GAME REWIND: Redskins @Dolphins

Gara decisa all’ultima azione grazie a…no, dai, scherzavamo!

TRUE GAME REWIND OF THE WEEK: Falcons @ Cardinals

Non saranno le migliori squadre in circolazione ma sanno di certo come mettere in piedi una partita eccitante. Arizona infiamma il pubblico di casa con un Kyler Murray finalmente concreto portandosi sul 27-10 a terzo quarto inoltrato, poi entra in scena Matt Ryan che porta i suoi ad un punto dal pareggio. Decide l’extra-point di Matt Bryant.

FUNKY REMEMBER OF THE WEEK: SAINTS @ JAGUARS, WEEK 16, 2003

Grazie alla particolarità del calendario Nfl, raramente i Saints giocano in casa dei Jaguars come accaduto domenica scorsa, ma ecco cosa accadde nella folle partita della penultima settimana del campionato 2003, conosciuta come il “The River City Relay”.

STAT LINE OF THE WEEK: 7 rec, 167 yds, 3 TD, 23.9 yds/catch

L’abbiamo sostenuto una settimana fa, i Vikings dovrebbero lamentarsi pubblicamente più spesso. La settimana scorsa lo show contro i Giants l’aveva acceso Adam Thielen con 130 yard e 2 mete, domenica è invece toccato a Stephon Diggs incendiare le secondarie di Philadelphia, e d’improvviso il gioco aereo di Minnesota sembra rinato dal nulla.

ONE LINERS OF THE WEEK:

  • Scary Terry McLaurin è una gemma preziosa all’interno di un contesto irrimediabilmente perso, viene persino da chiedersi da dove sia nata l’intuizione dei Redskins di effettuare una delle steal più clamorose dell’ultimo Draft.
  • Sam Darnold era tutto ciò di cui i Jets avevano bisogno per riprendere offensivamente a vivere, chiedere alle secondarie dei Cowboys per ulteriori informazioni.
  • Quando rompe i placcaggi, George Kittle somiglia tanto a Rob Gronkowski.
  • D’accordo il voler dimostrare di essere un quarterback vero, ma se Lamar Jackson corre così è meglio lasciarlo fare.
  • Difficile, allo stato attuale delle cose, pensare che a fine stagione Dan Quinn sarà ancora sulla panchina dei Falcons.
  • Deshaun Watson è spettacolare, ma una grossa fetta della vittoria contro i Chiefs va alle corse di Carlos Hyde.
  • …ed anche Peyton Manning va nello specchietto retrovisore…complimenti al sempre immenso Tom Brady.

A LOOK AHEAD:

  • Seattle vs Baltimore, prosegue la campagna dei Seahawks contro la Afc North e qualcosa ci suggerisce che Russell Wilson contro Lamar Jackson non potrà che produrre una partita molto divertente.
  • Indianapolis vs Houston, attenzione massima perché il Lucas Oil Field potrebbe emettere una sentenza che peserà tantissimo sulle economie future dei playoff.
  • San Francisco vola a Washington, Kyle Shanahan torna sul luogo del delitto e se ne andrà mantenendo l’imbattibilità, non serve la matita per scriverlo.
  • Detroit vs Minnesota, l’ennesimo scontro-clou per la Nfc North, dove ogni gara divisionale può valere o meno la postseason.
  • Dallas vs Philadelphia, Sunday Night Football con grandi implicazioni per la supremazia della Nfc East, con entrambe le compagini chiamate a fugare dubbi derivanti dalle ultime tre settimane di gioco.

See ya!

4 thoughts on “Weekly Nfl Thoughts: Round 6

  1. Leggo sempre con piacere i tuoi articoli.
    Volevo però dirti che secondo me il giudizio su Winston è troppo duro, anche perchè di 10 intercetti ben 9 sono stati lanciati in due partite.
    Anche andando a vedere il rating, ovviamente levando le due partite in cui ha fatto 9 intereccetti, è sempre andato sopra il 100.
    Poi come detto anche da te macina yards come pochi tant’è che si trova al quinto posto per yards lanciate.
    In questa stagione ho visto netti progressi da parte sua e ritengo che rispetto ad un Mariota abbia un talento naturale 10 volte superiore.
    Ritengo che il futuro sia già scritto, in negativo, per Mariota mentre per Winston sono abbastanza fiducioso in una sua riconferma come qb di Tampa.

    • Ciao Matteo, grazie per la tua attenzione, ci fa piacere che ci leggi con interesse! Su Winston il giudizio è duro, vero, però personalmente non ho visto tutti questi progressi rispetto all’anno scorso. Purtroppo i numeri non dicono sempre tutto, Winston è già primatista di franchigia in un paio di settori statistici ma al quinto anno avrebbe dovuto mostrare molto di più. Possiamo contare yard e touchdown a piacimento, ma troppo spesso i Bucs perdono la partita per la sua testardaggine nel voler essere per forza l’eroe di giornata, per i turnover, per le forzature. Non aiuta una linea offensiva non sempre impeccabile. Winston ha talento da vendere, sa mettere il pallone in finestre piccole, ma è scostante e frustrante. La sua situazione è senza dubbio meno grave di quella di Mariota, secondo me i Titans ci hanno già messo una croce sopra, tuttavia se Winston è questo e nemmeno Arians è riuscito a sistemarlo non credo che nella seconda parte della sua carriera possa migliorare più di tanto. Ciao e grazie!

  2. Ah, ah, ah…. grandi i miei Dolphins!!! Senza sapere come si sono trovati a rischiare di vincere, sorpassando quindi i Redskins come record stagionale, e allora hanno dovuto inventarsi qualcosa di verosimile per perdere anche questa! Tutto procede bene insomma. I Bengals con il loro record attuale 0-6 non sono comunque un problema: dovranno venire a giocare a Miami, quindi una la vinceranno anche loro! Urrà, urrà…..il primo pick 2020 sarà nostro! Il tutto alla modica cifra di una stagione miserabile e inguardabile….

    • Ciao Deolone, la bella notizia è che i Dolphins avranno munizioni molto interessanti per l’anno prossimo in sede di Draft, e che di certo non sono peggiori dei Redskins a livello di proprietà e management. Ricostruirete prima di noi, garantito! :D

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