Al termine della Week 4 l’upset maggiormente significativo è avvenuto in quel di Baltimore, dove i Browns hanno letteralmente frantumato ogni velleità difensiva degli avversari, contenendoli pure nell’altra fase del gioco grazie alle individualità accertate nelle preview di inizio campionato ma soprattutto – e questo deve far riflettere – anche per merito di meccanismi corali che hanno permesso di capire quali siano le reali potenzialità e massime aspirazioni del team di Freddie Kitchens, nuovo head coach al timone di comando.
La sorpresa di per sé non sta nell’aver battuto i Ravens, club storicamente non dominante in stagione regolare e dai record quasi sempre “democratici”, arrivati spesso in postseason lottando 16 partite ma giocandosela alla pari nei playoff con chiunque, mettendo sul campo una mentalità fatta di sacrificio e coraggio, che negli anni ha permesso loro scalpi eccellenti nonché un Super Bowl inaspettato. Da metà della vecchia annata hanno cambiato pure faccia, sostituendo un silenzioso leader offensivo, glaciale nelle situazioni close e amante dei big play, con un profilo moderno, sia in campo che fuori, running quarterback coraggioso e ricco di personalità, col quale la catena si muove regolarmente e l’ovale rimane in proprio possesso per 38 minuti (primi di lega).
Stavolta invece sono stati i Browns ad avere sempre il pallino in mano, frantumando in maniera intelligente il playbook offensivo e difensivo di Harbaugh, la cui mimica facciale e il linguaggio del corpo si sono depressi dopo il primo top-spot di Cleveland, una combo-crash che ha portato originariamente al portentoso sack di Vernon e nel drive successivo al td di Ricky Seals-Jones, avvenuto in quasi 9 minuti, 13 giochi e ben 84 iarde! Un anticipo di quel che sarebbe stato il prosieguo dell’incontro: pressione infinita su Lamar Jackson, togliendogli fiato, idee e secondi preziosi per decidere se correre o lanciare, e l’abilità di variare ogni tipo di chiamata offensiva, aiutati da 5 muri davanti e mantenendo il possesso del pallone. Saranno difatti 31 a 29 i minuti coi quali i Browns chiuderanno in vantaggio il tempo della contesa.
Basti pensare che Baltimore era saldamente un top ten team per terreno subito precedentemente a questa partita, anche se Cardinals e soprattutto Dolphins non rappresentano un valido metro di paragone e già contro Kansas City qualche crepa si era aperta; comunque guadagnarci contro 530 yd sulle 330 di media è un risultato di prestigio. Ciò che ha fatto riflettere e deve far aprire gli occhi è il modo in cui avvenuto, entrando in campo sapendo letteralmente cosa fare, in quale zona del campo e nel momento più adatto; inoltre la totale assenza di paura nel rapportarsi a dei rivali da sempre aggressivi nel settore difensivo, mantenendo calma glaciale nello scegliere gli step giusti l’ha fatta da padrone, sia da parte di Mayfield che dei vari Tretter, Robinson, Bitonio, Kush e Hubbard, abili ad aprire varchi per l’incontrastabile Chubb e perentori a proteggere il proprio regista!
Il playcalling ha dunque avuto vita facile e il buon Baker si è riscoperto prodigioso grazie alla protezione dei propri scudieri, vivisezionando ogni striscia di terreno e coinvolgendo tutti i suoi compagni di reparto; uno spettacolo per gli occhi che dà – se ce ne fosse ancora bisogno – l’idea di quanto sia importante e basilare una O-Line affidabile per un quarterback di simile talento, ancor di più se sophomore e in cerca di certezze dopo un’ottima stagione di debutto, ma ovviamente più acerbo, inesperto e intimorito di altri suoi colleghi maggiormente navigati. Un solo sack subito da Tyus Bowser dopo gli 11 totali in tre match disputati sono una enorme conquista per Cleveland, riuscita a lasciare con le polvere bagnate belve assatanate come Onwuasor, Young, McPhee e soprattutto Matthew Judon.
Lo stesso brutto intercetto perpetrato da Canady è stato immediatamente dimenticato dal regista, che nel drive successivo ha orchestrato buone trame con le quali si è ripartiti avanti di tre nel secondo quarto, dopo 10 giochi da 81 yard, mantenendo di lì in poi sempre la testa avanti.
Scendere nel vicino Maryland e affrontare i focosi supporter dell’M & T non sembra aver condizionato i Browns, arrivati a questo step già a un bivio, sapendo da un lato che l’AFC North potrebbe aver perso da subito due protagoniste (Pittsburgh e Cincinnati), in netto ritardo l’una per le dipartite a roster, sia sul mercato che a causa di infortuni, l’altra per delle mancanze in organico risapute all’inizio, ma dall’altro immaginando che un’eventuale sconfitta coi Corvi avrebbe permesso a questi ultimi una mini fuga (3-1 a 1-3), difficile da arginare in futuro, e lasciato ulteriori strascichi per i ragazzi di Kitchens.
D’altro canto non vanno dimenticati dei giudizi forse un po’ troppo ottimistici ad inizio anno per il team dell’Ohio, da sempre bistrattato da tutti per scelte fuori luogo, annate da buttare e sfortune al Draft (Manziel). Mai dimenticare per di più ciò che il destino negli anni ha riservato ai tifosi in questa parte d’America prima dell’avvento di LeBron, i clutch moment che nessuno potrà mai rimuovere, come il “The Shot” di Michael Jordan o la rimonta Cubs a World Series in cassaforte, con lo stesso James a piangere in tribuna! Per tutto ciò inserire nelle odds appena dietro Patriots, Chiefs e Rams Mayfield e soci ci è sembrato un azzardo gigantesco, visto che conferme e prove del nove in NFL sono più difficili e impegnative di sorprese o debutti.
Chi sono dunque i Browns? La squadra che ha passeggiato sopra ai Ravens, dimostrando una superiorità in tutti i reparti e dando a vedere che i padroni in AFC North saranno loro o il team fragile al cospetto dei Titans nella primordiale trasferta a Tennessee?
La verità sta certamente nel mezzo e deriva soprattutto dal livello esorbitante che la lega possiede, per colpa del quale un giocatore osannato da tutti come Mayfield può regredire e non riprendersi più!
Sta qui a nostro avviso il segreto affinchè Cleveland acquisisca costanza e sicurezza nelle performance: fare in modo che il proprio regista trovi una stabilità psichica persa nel precoce start stagionale.
La difesa d’altronde può rimproverarsi poco, a parte la già accennata debacle di Week 1, caratterizzata però da tre inguardabili turnover che hanno indirizzato la sfida verso i rivali, prima di sciogliersi anch’essa in un penoso quarto finale. Da lì in avanti, i vari Vernon, Schobert, Ogunjobu e compagnia cantando, assieme ai blitz di Randall, se la sono cavata egregiamente, idem dalle retrovie TJ Carrie, Jermaine Whitehead e Juston Barris, dando a Steve Wilks oggi la soddisfazione di mantenersi vicino al vertici delle maggiori categorie difensive, tipo sack (quarti), intercetti (quinti), passing yard (settimi AFC) e punti a partita (sesti di conference), mentre i vecchi problemi via terra ci sono ancora ma non come in passato (ventunesimi rispetto al quintultimo posto del 2018).
L’attacco invece, dipendendo spesso da quarterback e linea che sappia proteggerlo, ha steccato proprio in questi due ruoli, prima dell’exploit domenicale nel Maryland, tralasciando pure la vittoria contro i Jets, bersagliati da troppa sfortuna!
Quel che abbiamo notato è un crollo a livello di personalità di Mayfield e di freddezza nel dover rincorrere o superare dei momenti delicati, oppure risolvere con clutch performance le ultime azioni, buttando giù se stesso e il resto della truppa. Inoltre entrare a far parte di una franchigia alla perenne ricerca di qualcosa e senza favori dei pronostici agevola il compito, così come essere una matricola alla quale tutto viene perdonato! Ma quando una stagione parte e ti viene dato l’obbligo di portare la tua squadra al vertice e assecondare l’estro e il talento di vecchi e nuovi profili ricchi di personalità del calibro di Beckam Jr, Jarvis Landry, Chubb, Higgins e i sospesi Kareem Hunt e Antonio Callaway, può subentrare qualcosa nella tua testa che ti mette di fronte a tirar fuori ciò che non tutti i quarterback posseggono: la personalità!
Se è lecito come detto aspettarsi una salvaguardia maggiore del ragazzo, è anche vero che rimanere all’asciutto per due volte consecutive nell’ultimo quarto di gioco, subendo tre td scaturiti da propri intercetti e non convertire quattro tentativi sulle 4 yard per pareggiare negli ultimi istanti, indica forse che Baker ha dei limiti mentali!
A Baltimore invece, a parte l’errore che ha provocato l’iniziale pareggio avversario, Mayfield non si è mai trovato sotto nel punteggio e, protetto a dovere per tutta la partita, è riuscito ad organizzare molteplici giochi, nonostante Obj fosse controllato da Humphrey, in modo anche poco ortodosso (solo due prese da 10 yd ognuna).
Nick Chubb, sophomore come il suo direttore d’orchestra, continua pericolosamente per i suoi avversari a progredire, e dopo le quasi 100 yd con Los Angeles ha preso letteralmente a sportellate il front seven a tinte Ravens, finendo con la fantasmagorica cifra di 165 iarde in 20 portate su corsa alle quali aggiungerne 19 in ricezione. Attendendo (?) le otto partite di sospensione di Hunt, la running back room può dormire sonni tranquilli, grazie pure a Hilliard, selezionato dal qb otto volte sia nel gioco di terra che aereo, per 55 yd totali.
I numeri conclusivi parlano di una prestazione stratosferica per Mayfield, da vero leader e grande smistatore di palloni. Ha chiuso col 67% dal campo, 102.4 passer rating e 342 yard lanciate, condividendo la sua vena con Landry (167) e Seals-Jones (82), bypassando un Beckam Jr come detto abbottonato al suo guardiano e “trasferendo” i target a lui destinati a Brown e Ratley, riuscendo così abilmente a generare differenti valvole di sfogo.
Anche Jarvis aveva bisogno di un highlight-day in ricezione, dopo le critiche a seguito del 10 su 23 per 161 yd in tre partite, mentre l’ex Giants si era gasato solo al cospetto dei Jets, non dimostrandosi però costante nelle altre uscite.
La regressione del quarterback, che aveva dato a preoccupare tutto l’ambiente, viene per una settimana accantonata e superata da una splendida giornata di festa dove si è visto il franchise-man atteso da una vita e intravisto nel torneo da rookie.
Il potenziale offensivo, unito ai miglioramenti in copertura, deve essere ora sfruttato a pieno da Todd Monken, anche perché la situazione in classifica come detto è recuperata e un posto ai playoff, a livello tecnico e qualitativo, è nelle corde dei ragazzi di Kitchens.
La doppia personalità che ha invaso Cleveland in questo start di campionato deve trovare una via di mezzo.
Se da un lato Mayfield e soci hanno fatto vedere carenze psicologiche nell’inseguire il risultato o nel monetizzare situazioni punto a punto, gettandole via con errori individuali, dall’altro va apprezzato un approccio coraggioso e sicuro di sé nel primo vero esame stagionale, un match da vincere a tutti i costi contro la principale division front-runner e storica saracinesca difensiva, partendo da subito col piede giusto e non mollando mai la presa!
Se i Browns e il loro regista riusciranno ad unire queste due anime, potranno ambire alla prossima postseason.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.
Ma scrivi un articolo su Cleveland e ti dimentichi Garrett, è uno scherzo?
Hai detto bene, ho scritto di Cleveland e non di Garrett, x questo non lo nomino..se leggi bene parlo (a mio avviso ovvio) delle cose che non sono andate fino a domenica e i motivi x cui invece si è dominata una così dura trasferta..e lui non rientra in nessuno dei due casi, visto che – sempre secondo me – ha performato al top ma alla fine in modo ininfluente a Tennessee mentre a Baltimore ha lasciato gli onori ad altri.
Arrampicata sugli specchi estrema. Ragionamento della risposta non regge. Ogunjobu ad esempio, ha giocato sempre bene pure nelle sconfitte portando a casa sempre un sack, e lo nomini. Hunt e Callaway non hanno mai giocato e li nomini.
Comunque a parte questo grande stima.
Ogu è alla stagione della vita e a Baltimore è stato il migliore della linea, mentre Hunt e Calloway non sono proprio tipi “tranquilli” x cui la pressione che sta dimostrando (x me e secondo il format del pezzo) spesso di non reggere Mayfield potrebbe dipendere dal dover convivere con loro e gli altri fumantini a roster (come spiegato)..x questo li nomino..come vedi mantengo la mia linea ahahahahahah ciao un abbraccio
Complimenti per l’articolo, mi é molto piaciuta l’analisi. Cleveland giocava in casa contro Tennessee. Di fatto ne ha perse due in casa e vinte due in trasferta. Garrett é stato meno appariscente per stare agli schemi assegnati, credo, contenere Jackson.
grazie Fabio..hai ragione su Tennessee pardon ciao
Rispetto alle prime tre partite con Baltimora la O-line ha tenuto bene…
personalmente da tifoso di Cleveland perso che questo abbia tatto la differenza.
Poi avere avuto un Chubb cosi’ ha aiutato e non poco ma x la prestazione di Mayfield la O-line fa la differenza.
La penso esattamente come te Albi ciao