EXPLOSIVE SHANNY
A Tampa l’hanno portata a casa maluccio, ma una vittoria è sempre una vittoria, si chiudono gli occhi e si pensa solamente a correggere gli errori per la gara successiva. I Niners visti a Cincinnati sono quelli che avremmo dovuto guardare in principio della scorsa stagione, quando gli infortuni non avevano ancora posto il veto sulla risalita di una franchigia diretta da uno stratega offensivo di prim’ordine e di età assai verde, una bella combinazione peraltro abbinata all’approdo nella Baia di Jimmy Garoppolo.
Ora, una chiave di lettura da non sottovalutare riguarda l’attuale mancata conoscenza dell’effettiva consistenza della difesa dei Bengals da qui a metà stagione, periodo nel quale può essere consono cominciare a stilare una determinata serie di valutazioni di rendimento medio, tuttavia il reparto offensivo del creativo Shanahan ha letteralmente calpestato tutto quanto si è trovato davanti a furia di big play, e San Francisco è uscita prepotentemente dalla seconda giornata di attività dentro il rettangolo verde con aspettative di certo superiori rispetto a quanto si potesse prevedere.
Chiaro poi che la controprova ci sarà fornita solo ed esclusivamente dalle partite toste, vale a dire i futuri confronti divisionali con Seattle e Los Angeles, ma quanto si è visto domenica è stata un’autentica bellezza per gli occhi di chi è appassionato alla fase offensiva del gioco. Garoppolo ha trascorso l’estate a scrollarsi la ruggine di dosso e la strada intrapresa è senza dubbio incoraggiante e lontana dalle headline da spiaggia con le quali più di qualche reporter si era scandalizzato per gli intercetti multipli lanciati in una sessione di training camp (“we talkin’ about practice??” – come sentenziò l’inarrivabile Allen Iverson) arrivando quasi a decretare una strada in salita in vista della regular season, e salita è effettivamente stata nell’umido della Florida in una gara zeppa di errori da ambo le parti, ma guai a cadere nelle facili tentazioni della prima di campionato.
Difesa scarsa o meno, 572 yard di fatturato offensivo non mentono e costituiscono numeri che un reparto gestito da Shanahan può tranquillamente replicare anche in altri lidi, se a pieno regime di forma fisica. I Bengals sono usciti dal campo casalingo letteralmente distrutti ed in cerca di ossigeno, perché il figlio del buon Mike ha trovato il gioco giusto per ogni occasione ottenendo in contraccambio guadagni non solo costanti, ma pure molto generosi, un numero di big play semplicemente impensabile per i 49ers dello scorso torneo. Le cifre più interessanti riguardano il 131.2 di qb rating ottenuto da Jimmy G, il migliore da quando veste l’uniforme rossa e oro, come pure le 6.2 yard di media per portata registrate da coloro che dovrebbero essere il terzo e quarto running back in ordine di preferenza, Matt Breida e Raheem Mostert, un chiaro segno che gli infortuni di un anno fa sono serviti per permettere a questi ragazzi di accumulare preziosa esperienza, fornendo ottime alternative agli infortunati McKinnon e Coleman.
La statistica più importante di tutte riguarda le 500 yard ottenute al primo o secondo down nel match di Cincinnati, testimoni che questo attacco sa come evitare di cacciarsi nei guai trovandosi imbarazzato di fronte a troppo frequenti risoluzioni di un terzo e lungo, merito anche della mostruosa prova di una linea che non ha concesso sack ed ha aperto autentiche praterie per i running back, oltre alla frequente ricorrenza a giochi-trucco che hanno mandato in letterale tilt i difensori tigrati. L’unico neo è l’infortunio di Joe Staley, proprio l’elemento essenziale in fase di protezione di quel legamento a lungo riabilitato da chi è incaricato di lanciare il pallone, perché all’attualità il roster non offre la necessaria adeguatezza per rimpiazzarlo.
Magari un pensierino a Trent Williams, vecchia conoscenza degli Shanahan, lo si potrà anche fare, resta il fatto che le difese dovranno ingegnarsi per parare i colpi che i Niners si sono dimostrati pronti a sferrare.
THE PURPLE PLAYMAKER
L’onda lunga della famiglia Shanahan copre anche l’attuale conformazione dei Vikings, un po’ perché papà Mike è connesso alla scelta che all’epoca portò Kirk Cousins a Washington, un po’ perché il medesimo ha tramandato la sua filosofia a tanti seguaci, tra cui un Gary Kubiak oggi alle dipendenze di Mike Zimmer in veste di consulente offensivo con l’ottica di traslare il poco fruttuoso assalto missilistico dello scorso anno – tra i motivi dei dissapori con il precedente offensive coordinator John DeFilippo – in un qualcosa che limitasse la possibile esposizione ad errori per Kirk Cousins, facendo nel frattempo fruttare il noto zone running scheme che tante fortune fece in quel di Denver negli anni dorati.
Connessioni a parte, la ricetta pare essere proprio quella giusta, se non altro perché il capitano Kirk non ha fatto intuire di aver alzato il livello del suo gioco in regia alla pari del contratto siglato l’anno scorso con i porpora, alternando lanci spettacolari ad errori sul filo di lana che fanno spesso rimangiare i buoni pensieri, circostanze non tanto differenti da quanto si è visto nella Capitale a tempo debito. Proprio qui entra in gioco Dalvin Cook, autore di un inizio di campionato con tanto di miccia ben accesa ed attuale leader statistico di lega per yard racimolate su corsa, un giocatore pienamente recuperato dall’infortunio al ginocchio che fu e capace di compiere danni in tanti modi, come dimostrano le 191 yard totali confezionate dallo scrimmage nella sola disputa contro Green Bay.
Nelle idee di Zimmer, che si stanno dimostrando essere corrette, Cook è il centro dell’universo. Non a caso, in occasione della vittoria nella gara di apertura contro i Falcons, le chiamate offensive hanno gettonato le corse per il 77% delle occasioni lasciando il quarterback da Michigan State a soli dieci tentativi giustificandone così l’altra prestazione in termini di percentuale di completi, drammaticamente scesa nel Wisconsin a fronte di un coinvolgimento più consistente portando allo scenario meno desiderato e già sperimentato da Cousins, che con la gara in bilico e l’ovale in mano non ha trovato il modo di costruire il drive del sorpasso, trovando invece l’ennesimo intercetto di carriera in analoga situazione di gioco, cosucce che a fine anno possono decretare o meno la differenza tra una partecipazione ai playoff ed un finale di stagione indesiderato.
Di certo non si pretende che il quarterback lanci dieci volte a partita, mica parliamo di Tim Tebow, tuttavia le vittorie di Minnesota sono correlate al suo uomo-chiave, un Cook, che sta correndo in maniera consistente grazie a mezzi atletici superiori e comprovata fisicità, con la certificata complicità di una linea offensiva che al momento sta facendo in pieno il suo dovere. La ricetta per il successo dei Vikings crediamo sia tutta qui, dato che la difesa ha già provato di saper mordere a sufficienza.
WHAT’S NEXT
Parte uno: Pittsburgh Steelers. Ci addentriamo in una nube, perché giudicare un quarterback dopo soli 19 tentativi di lancio è un azzardo bello grosso, nonostante l’ovvietà ci suggerisca che l’esperienza ed il talento di Ben Roethlisberger rappresentano un insieme troppo unico per essere sostituito con facilità. Con Big Ben fuori per il resto di ciò che rimane di questo campionato e gli Steelers inaspettatamente fermi a quota 0-2 il trend è inevitabilmente in discesa, e l’unica soluzione percorribile è sfruttare il malaugurato evento per capire di che pasta è fatto Mason Rudolph, il quale si trova peraltro a dover affrontare il compito di traghettare la squadra come meglio può da qui a fine anno con un tasso di talento decisamente inferiore rispetto alle stagioni scorse, quanto le prese decisive di Antonio Brown e le giocate all-purpose di Le’Veon Bell iniettavano yard e punti ad un reparto di altissimo livello offensivo.
Se non altro l’inizio della nuova esperienza è stato abbastanza promettente, nel senso che Rudolph è entrato in campo lanciando tre incompleti di fila più che comprensivi, giusto il tempo di scaldare i motori, per poi terminare la sua estesa porzione di gara con il 63% di successo sui passaggi e due touchdown, una serie incoraggiante di positività tenuto conto che l’unico intercetto rimediato è risultato essere totale responsabilità di Donte Moncrief, il cui inizio in maglia Steelers è stato pericolosamente plagiato dai numerosi palloni droppati o deviati nelle braccia dei difensori. L’esito della stagione di Pittsburgh, luogo abituato ad un certo tipo di performance, dipende quindi dalle capacità di un quarterback sostanzialmente senza esperienza, il cui backup sarà ancor più acerbo, dato che Devlin Hodges è un undrafted rookie proveniente dalla non troppo nota Samford e fatalità vuole che l’unico veterano – Josh Dobbs – sia stato scambiato con i Jaguars proprio la settimana precedente all’infortunio del numero sette.
Di certo la salute di James Conner, che pare aver evitato un disastroso ulteriore infortunio, ed il talento di JuJu Smith-Schuster, saranno elementi determinanti per tenere a galla le sorti di una franchigia non abituata ad assenze troppo prolungate dalla postseason, ma l’impressione, per quanto ci piaccia tifare per le situazioni improvvisamente disagiate, è che ci voglia qualcosa di simile ad un miracolo. Rudolph sarà sicuramente preparato più che adeguatamente all’emergenza, ma gli istinti di Roethlisberger, soprattutto quelli che gli permettono di allungare i giochi, sono di difficile reperibilità.
Parte due: Drew Brees. Situazione totalmente differente per due ragioni, la prima è che il legamento del dito del grande Drew dovrà essere anch’esso operato come il gomito di Big Ben ma non ne precluderà il rientro in campo – la prognosi pare essere di sei settimane – mentre la seconda risiede in un sostituto di lusso, Teddy Bridgewater, più che sufficientemente navigato per condurre l’attacco dei Saints in questa porzione di stagione e che sarebbe quasi certamente titolare da qualche parte se non avesse patito tutte le terrificanti disgrazie fisiche che il destino gli ha imposto.
Le prospettive, perlomeno sulla carta, sembrano molto migliori rispetto alla Pennsylvania, se non altro perché Teddy è stato uno starter da 17-11 in carriera ed il vero barometro dei Saints è sempre la difesa, ovvero il reparto che nell’era Brees-Payton ha reso grande la franchigia ed allo stesso tempo l’ha affossata in una serie di tortuosi alti e bassi, determinandone le sorti tanto in positivo (la vittoria del Super Bowl) quanto in negativo (tre stagioni di fila senza playoff) nonostante gli alti livelli costantemente toccati dalla controparte offensiva. Se dobbiamo analizzare la vicenda da questo stretto punto di vista l’inizio non è certo dei migliori, dato New Orleans ha concesso un totale di venti big play (passaggi di oltre 16 yard addizionati a corse più lunghe di 12 yard) in due partite, un dato uguale a quello di Dolphins, Cardinals e Redskins, non esattamente la crème de la crème di lega.
E’ sicuramente preoccupante il fatto che Bridgewater abbia giocato in maniera piuttosto alterna – un 57% senza glorie né particolari dolori – ma molte responsabilità sono tuttavia ricadute su una linea offensiva che non ha protetto adeguatamente il quarterback ed ha commesso ben cinque holding, con un totale di nove penalità comminate all’attacco. I nove punti che i Saints sono riusciti a fatica ad immettere a referto sono giustificabili anche così, per il futuro si conta sul fatto che Alvin Kamara affronterà fronti difensivi meno compatti rispetto a quello dei Rams e potrà tornare ad essere produttivo, e che Michael Thomas non sembra aver patito il cambio in corsa a livello statistico, rispondendo presente anche alle conclusioni del buon Teddy.
PRESSURE BIRDS
I Falcons hanno vinto ma non per questo la pressione di dover forzatamente fornire risultati rilevanti ha smesso di perseguitarli, continuamente inseguiti dalla clamorosa rimonta concessa ai Patriots in occasione di un Super Bowl che pareva già vinto e la cui possibilità di rimedio/rivincita non si è mai concretizzata come pareva legittimo pensare anche dopo un tale tracollo.
Il linguaggio del corpo di Atlanta suggerisce eccessiva ansia da prestazione, frutto di una coscienza interiore che deve settimanalmente fare i conti con risultati minimi che riguardano solo ed esclusivamente la qualificazione ai playoff, con il timore che la completezza di questo gruppo innegabilmente ben allestito possa già aver raggiunto il suo picco divorandosi le rare possibilità di successo che il destino pone dinanzi alle squadre che non risiedono nei pressi di Boston. Aver avuto ragione degli Eagles è sempre un bel successo di questi tempi, tuttavia Matt Ryan ha sparato l’ovale in più di qualche circostanza su doppie coperture o marcature troppo strette lasciando alla probabilità la decisione riguardante l’esito delle sue azioni, forzature che hanno messo in pericolo la prima vittoria in campionato dei Falcons rischiando di gettare mine sul percorso in loco di Dan Quinn, dal quale proprietà e schiera assortita di fan pretendono un’altra chance di alzare il Lombardi Trophy prima che l’inesorabile trascorrere del tempo chiuda la finestra appartenente a questo ciclo.
Il lato positivo della questione è dimostrato dal fatto che la squadra si è nuovamente messa a produrre sostanza offensiva, una peculiarità che aveva notoriamente affossato la medesima durante lo scorso campionato, quando le ultime venti yard si erano trasformate in un misterioso sortilegio. Ryan ha in parte sfatato il mito lanciando per tre passaggi da touchdown contro gli stessi Eagles che ne avevano imbavagliato le ambizioni nella gara di apertura dello scorso campionato, ma non ha convinto del tutto per via dei tre intercetti, scagliati in circostanze evitabili in due delle tre occasioni. Atlanta, parlando solamente di attacco, è senza dubbio una squadra meno completa rispetto ai tempi del Super Bowl perso, la linea offensiva sta lasciando passare tantissima pressione e Devonta Freeman sta lentamente cercando di rientrare in forma a seguito dell’infortunio dello scorso anno, un fattore che inevitabilmente sancisce l’occasionale mono-dimensionalità dei georgiani, a meno che non arrivi Julio Jones a compiere le ben conosciute prodezze che fanno tutta la differenza del mondo.
Vincere in rimonta contro una rivale accreditata per i playoff della Nfc è un bellissimo segnale, ma sarebbe più consono vedere dei Falcons più tranquilli, meno tendenti a complicarsi la vita da soli. A Ryan non manca certo la sicurezza nei propri mezzi, altrimenti non si spiegherebbe la sua capacità di ripresa dopo l’errore pesante, ma il senso di urgenza con cui la squadra sta giocando sembra troppo propenso a far prendere decisioni provocate dalla fretta di arrivare nuovamente al dunque. Forse ci si è dimenticati dell’importanza di prendere una sola partita alla volta, per quanto sia forte il desiderio di vincere nuovamente il Championship della Nfc e riscrivere la storia con nuovi esiti, senza tener conto che l’infortunio di Brees e le notevoli difficoltà dei Panthers potrebbero addirittura permettere il lusso di prendere le cose con inusitata calma.
COWBOY UP
Pur con il bruciore interno del tifoso sconfitto nella partitissima tra arci-rivali, troviamo corretto ammettere che il nuovo attacco dei Cowboys è uno spettacolo visivo con pochi eguali. Tra le maggiori certezze di questo principio di cammino risiede senza ombra di dubbio la piena efficienza di quanto è attualmente coordinato da Kellen Moore, che in sole due uscite ha fatto registrare ben nove mete, un totale che il reparto era riuscito a raggiungere solamente alla sesta partita dello scorso torneo, un risultato concretizzato attraverso i numerosi big play messi assieme da Dak Prescott ed i suoi ricevitori, e la produttività di un Zeke Elliott il quale ha scioperato, certo, ma che sta dimostrando di onorare il suo nuovo contratto e di essersi adeguatamente allenato pur avendo saltato il training camp nella sua interezza.
Moore ha installato un maggior numero di giochi in zone read assegnando ad Elliott un ruolo leggermente differente dal rusher tradizionale incaricato di farsi largo nel mezzo leggendo i vari varchi, una tipologia schematica molto versatile che permette altresì di utilizzare adeguatamente l’abilità di Prescott su corsa e di eseguire tutte quelle finte atte a cogliere la difesa impreparata in fase di lancio, non a caso Dallas ha convertito il 67% delle playaction sinora tentate raggiungendo l’area di meta spesso e volentieri. Una statistica molto interessante vede la resa dei Cowboys crescere esponenzialmente con l’avanzare dei down, una componente determinante per allungare i drive, stancare gli avversari, ed incrementare le possibilità di segnare: si parte da un 54% di successo medio nei primi down per poi passare al 63% nei secondi, fino a raggiungere il 67% nei terzi, quest’ultima statistica degna di una grande squadra offensiva.
D’altro canto l’arsenale a disposizione è vario e versatile, motivo per cui non ci si deve necessariamente fissare sull’elemento più talentuoso per avere il successo desiderato. Sono stati ben otto i differenti ricevitori coinvolti nella ragguardevole rete di passaggi texana nella missione corsara di Washington, dimostrando che non serve obbligatoriamente un Amari Cooper da 100 yard per segnare 33 punti di media, erigendo l’attualmente infortunato Michael Gallup ad assoluto protagonista di queste prime battute e rivitalizzando persino Devin Smith – sparito dalla Nfl dopo il fallimentare biennio con i Jets – autore di una delle giocate più entusiasmanti della domenica appena trascorsa. Nonostante l’età conta molto anche l’apporto di Jason Witten, che avrà perso qualche passo e qualche capello ma di certo ha mantenuto il fiuto per smarcarsi in endzone, oltre al fatto che il collega Blake Jarwin ha già collezionato due ricezioni superiori alle 20 yard in partecipazioni assai ristrette e che Elliott può rifiatare grazie all’efficacia di Tony Pollard, il quale ha confermato le ottime impressioni pre-stagionali inserendosi da backup di grande affidabilità.
La freccia punta inevitabilmente verso l’alto, in particolar modo pensando ad un prossimo impegno che vedrà Dallas opporsi ai derelitti Dolphins, i quali all’attualità vivono sotto un passivo di 102-10 nel computo tra punti subiti e realizzati. Vista la portata del fuoco acceso da Kellen Moore, i dovuti conti non sono poi così difficili da eseguirsi, creando la possibilità per aumentare il divario con una Nfc East ove i soli Eagles costituiscono una minaccia davvero credibile.
GAME REWIND: Eagles @ Falcons
Gara per larghi tratti condotta dai Falcons, che rischiano seriamente di gettare ogni sforzo al vento facendosi superare a tre minuti dalla conclusione. Rimedia – come spesso accade – Julio Jones, con una giocata adrenalinica delle sue mettendo d’accordo tutti quanti.
STAT LINE OF THE WEEK: 6 rec, 172 yds, 2 TD
Stavolta non è Sammy Watkins ma gioca nella stessa squadra e nello stesso ruolo, ed è servito dallo stesso marziano. Demarcus Robinson ha catturato tutti i sei palloni scagliati in sua direzione, chiudendo la partita contro i Raiders con quasi 29 yard per ricezione. La bellezza di giocare con Patrick Mahomes permette di realizzare la giornata della carriera quando meno ce lo si aspetta.
ONE LINERS OF THE WEEK:
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- Quando il calendario farà nuovamente scoccare il lunedì mattina, i Bills potrebbero detenere un record di 3-0: niente di più bello per una fan base eccezionale.
- La ricezione e corsa di 67 yard targata Cooper Kupp è di una determinazione commovente.
- E’ passata solo una settimana, ma l’attacco dei Titans sembra già tornato ai livelli dello scorso anno. Non bene.
- Qualora Miami dovesse accontentare tutte le richieste di trade dei suoi attuali impiegati sul campo, ci saranno serie difficoltà a terminare la stagione con 53 giocatori attivi.
- Errori arbitrali a parte, Eddie Pineiro per il momento ha fatto tirare un gran sospiro di sollievo ai Bears: forse il kicking game di Chicago è finito finalmente in buone mani.
- La prossima volta che Gregg Williams avrà l’audacia di dubitare sulla dinamicità di Odell Beckham, abbia almeno la decenza di documentarsi più seriamente.
- Non c’è nulla che possa provare il contrario: Myles Garrett è futuro della Nfl (ed anche un bel pezzo di presente…) nel ruolo di defensive end.
A LOOK AHEAD:
- Quale spettacolo migliore potremmo chiedere se non Patrick Mahomes contro Lamar Jackson in questo preciso momento? Nessun altro!
- Il Raymond James Stadium di Tampa costituirà il battesimo del fuoco per il discusso Daniel Jones, mettendo seriamente fine all’era di Eli Manning a New York.
- I Chargers ospitano Houston per una battaglia entusiasmante della Afc, entrambe le squadre hanno di che farsi perdonare e sono credibili concorrenti per i playoff.
- Chi farà il quarantello? I Patriots contro i Jets o Dallas contro Miami? Sono aperte le scommesse…
- Panthers vs Cardinals: l’apoteosi del black quarterback.
See ya!
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.