La prima settimana di gioco è sempre quella più difficile per i giovincelli che arrivano dai College, in parte perchè loro stessi non sanno ancora bene cosa li attenda sul terreno di gioco, un conto è il football universitario, un altro sono i training camp e le partite di preseason, ma la prima di regular, il kickoff weekend, la prima volta tra i grandi, quella…, quella è decisamente un’altra cosa, un altro mondo, un’ altra storia e un foglio bianco su cui scrivere le prime righe della propria carriera.
E poi… poi ci sono le aspettative dei loro nuovi tifosi, dei tanti fans che li seguono assiduamente fin dal secondo successivo in cui la squadra che sostengono li ha chiamati al Draft, e c’è la paura, il timore di fallire, il terribile dubbio che un errore possa cancellare per sempre tutti i sacrifici di una vita passata a rincorrere compagni e avversari su quel terreno verde delimitato dalle hashmarks, in attacco, in difesa, negli special team, sempre con la consapevolezza di giocarsi il tutto per tutto ad ogni azione con la testa, gli occhi e il cuore votati ad un solo obiettivo, un unico traguardo, un sogno che per molti che hanno condiviso parte della strada con loro rimarrà soltanto tale, la National Football League.
Immaginateli li nel tunnel che porta al campo immersi nei loro pensieri, con le vene cariche di adrenalina e i polmoni pieni di speranza, mescolati con chi quella strada l’ha già percorsa l’anno prima, o quello prima ancora, alcuni, quelli più attempati, con il viso solcato dalle rughe, le braccia tatuate dalle cicatrici, e i capelli che iniziano a mostrare i segni del tempo, addirittura affacciatisi al professionismo quando questo fantastico Sport era leggermente diverso, meno tecnico, meno veloce, quasi da sembrare giocatori di un’altra epoca, che li guardano come un fratello maggiore osserva il piccolino di casa e con la stessa forza, con il medesimo silenzio, cercano di trasmettergli convinzione, determinazione, coraggio.
E’ tutto li, concentrato in quei pochi minuti che sembrano secoli, in quegli istanti meccanici e interminabili che accompagnano i giocatori di football dagli spogliatoi al kickoff, già, quel maledetto primo calcio della partita in cui le gambe non vogliono saperne di non tremare, e prima del quale la testa sembra una pallina dentro un flipper, pronta a fare mille percorsi, cercando di rimandare a memoria tutti gli insegnamenti trasmessi nelle settimane precedenti dai coach, dai compagni più esperti, e mentre ti sforzi per ricordarti l’ultima raccomandazione consegnatati prima di mettere piede sul terreno di gioco eccolo lì, quel suono secco, ormai tremendamente familiare, e l’ovale che prende la direzione del cielo mentre il pubblico trattiene il fiato, nell’attesa che arrivi a destinazione e che lo spettacolo, quello vero, quello per cui hai lavorato nel corso di tutti gli anni precedenti, abbia finalmente inizio.
Questo dev’essere ciò che è passato nella testa della maggior parte dei ragazzi che incontreremo quest’anno nelle righe di questa rubrica, dedicata alle giovani leve della NFL, a quei prospetti che si affacciano nel mondo del football professionistico e che saranno chiamati a raccogliere il testimone dai loro predecessori per riempire nuove pagine di storia di una lega che ha appena festeggiato il suo centesimo compleanno.
Tra questi, come in ognuna delle ottantatre precendenti stagioni, il più atteso è il ragazzo chiamato a salire per primo sul palco, quello bollato con la pesante etichetta del first pick, toccata nel 2019 al fresco vincitore dell’Heisman Trophy Kyler Murray, che per buona parte del match d’esordio tra i professionisti sembrava essere stato catapultato in un universo parallelo, incapace di realizzare qualcosa di diverso da dei three&out; con i vari appasionati che iniziavano davvero a credere alla storiella che il primo uomo al mondo ad aver ottenuto una chiamata al primo round sia al Draft NFL che al Draft MLB fosse inadatto a giocare il football dei grandi, ecco la classica serie di giocate che cambia il corso degli eventi, 2 pass, 1 run ed altri 5 passaggi prima del lancio decisivo da 27 yards su Duke Johnson che regala il primo TD della carriera all’ex Sooner.
Primo acuto di un pomeriggio iniziato maluccio ma concluso in crescendo, consegnandolo ad una serata in cui non sono mancate le prime lodi spese nei suoi confronti dopo una prestazione che racconta di 29 passaggi completati su 58 tentati per 308 yards, 2 passing touchdowns e 1 intercetto; serviva solo del tempo per ingranare, sia a lui, sia all’esordiente head coach Kliff Kingsbury, anch’egli abituato ai ritmi frenetici del College Football e ancora alle prese con un adattamento del suo sistema offensivo universitario al football professionistico.
D’altronde è sempre la solita storia, un giocatore di sistema difficilmente riesce a mantenere numeri e status quo anche a livello superiore, e questo discorso lo si è sentito innumerevoli volte in estate quando si è parlato di Marquise Brown, WR dei Ravens su cui ne sono state dette e scritte tante fin dal momento della sua chiamata al Draft, “troppo piccolo”, “giocherà senza QB”, “la NFL è un’altra cosa”; pronti via il ventunenne da Hollywood, Florida, città che oltre a regalargli i natali gli ha donato anche un nickname che è tutto un programma, ha pensato bene di mettere a tacere tutti i suoi detrattori con una prestazione sublime alla sua prima apparizione tra i grandi, firmando in modo indelebile la cavalcata con cui Baltimore ha spazzato via i Dolphins, trascinata dalle sue 4 ricezioni, per 147 yds, e soprattutto dalle 2 segnature con cui ha incanalato la partita su binari decisamente favorevoli alla franchigia del Maryland.
Decisivo, anche senza segnare, il suo collega A.J. Brown con 3 prese per 100 yards esatte nella vittoria di Tennessee su Cleveland, convincente al pari del suo ex teammate a Ole Miss D.K. Metcalf, in campo nonostante un problema al ginocchio che fino a pochi giorni prima sembrava aver messo in forte dubbio la sua presenza nel match d’esordio dei Seahawks contro i Cincinnati Bengals, in cui il talento da Arizona State ha collezionato 4 ricezioni per 89 yds mettendo in mostra alcune delle qualità tecniche che hanno convinto coach Carroll a puntare su di lui durante l’ultimo Draft NFL.
Evento in cui diversi addetti ai lavori avevano storto il naso per la scelta anticipata, secondo i ranking del ruolo, di Terry McLaurin, per molti arrivato a Washington solo perchè in precedenza era stato chiamato dai Redskins il suo compagno di squadra Dwayne Haskins e l’amalgama creatosi tra i due nei Buckeyes avrebbe facilitato il suo inserimento in NFL e negli schemi di coach Jay Gruden; teoria tutta da dimostrare, ancor di più ora che il WR da Ohio State si è rivelato il bersaglio preferito del QB Case Keenum nella prima uscita stagionale del team capitolino, conclusa con 5 ricezioni per 125 yards e 1 TD.
Altrettanto incisivo ed inseritosi senza problemi fin da subito negli schemi offensivi dei Lions l’attesissimo T.J. Hockenson, considerato uno dei TE di punta nonchè un prospetto tra i più interessanti della classe e selezionato da Detroit con il fermo intento di trasformarlo in un’arma fondamentale per il passing game orchestrato da Matthew Stafford, il quale non ha esitato a scaricargli l’ovale consentendogli di accumulare 131 yds e mettere a segno 1 touchdowns in 6 ricezioni; terreno che non ha lesinato di macinare anche colui identificato come futuro runningback titolare dei Buffalo Bills, ovvero Devin Singletary, che nelle sue prime 4 portate da professionista ha mantenuto una media vicina alle 20 yards facendone registrare 70 in totale al termine del match contro i New York Jets.
Con 98 yds totalizzate, 28 delle quali conquistate su ricezione, è stato il secondo miglior runner rookie di giornata, piazzandosi alle spalle di Josh Jacobs, protagonista fin dal primo snap nel backfield dei Raiders che ha guidato con 23 run per 2 segnature e 85 yards, alle quali ne vanno aggiunte altrettante 28 totalizzate con una presa fuori dal backfield che ha messo in seria difficoltà le secondarie di Denver; sul lato opposto della palla Oakland ha dato ampio spazio all’altra prima scelta, quarta assoluta, Clelin Ferrell, già integrato nei movimenti della linea difensiva come dimostrano i 3 placcaggi, il sack e il tackle for loss messi a segno contro i Broncos.
Poche ore prima sulla costa opposta degli States con l’altra franchigia della baia aveva esordito il suo pari ruolo Nick Bosa, che oltre al peso di essere stato il secondo giocatore chiamato nel corso del Draft 2019 deve convivere con l’ingombrante presenza di un fratello già protagonista in NFL e del quale intende ripercorrere quanto prima i passi, iniziando dai 3 stops, 3 quarterback hits, 1.0 sack e 1.5 tkl for loss fatti registrare nel match tra i suoi 49ers e i Tampa Bay Buccaneers, team con il quale si è fatto notare Devin White, autore di 6 tackles.
Il quasi omonimo Devin Bush, altro linebacker che per mesi ha occupato i taccuini di tutti gli scouts del Pro Football, ha esordito col botto nonostante la sconfitta rimediata da Pittsburgh risultando già leading tackler del team alla sua prima apparizione tra i professionisti, chiusa con 11 placcaggi all’attivo, due in più rispetto ai 9 fatti registrare dal protagonista inatteso nella difesa dei Redskins, Cole Holcomb, ILB che ha compensato il divario rispetto al collega mettendo a segno anche 2.0 tackles for loss.
Prodotto di North Carolina selezionato al quinto round da Washington, dopo essere arrivato a Chapel Hill come walk-on si è conquistato un posto nei Tar Hells nel 2015 come redshirt freshman fino a diventarne il miglior placcatore nelle successive tre stagioni, quando ha fatto registrare nell’ordine 115, 93 e 105 tackles confermandosi uno dei giocatori più importanti del team; messosi ampiamente in mostra durante il Pro Day, è dotato di un’ottima lettura e di una rapidità di reazione allo sviluppo del gioco fuori dal comune, qualità che sembrano aver convinto il coaching staff degli Skins ad investire su di lui e di considerarlo fin da subito un contender per lo starting job al centro della difesa, dove ha avuto modo di giocare diversi snap nella partita d’esordio tra i grandi, dando inizio ad una di quelle storie che ha tutte le carte in regola per trasformarsi in una delle tante leggende che hanno intriso di magia lo Sport nato grazie ad una palla lunga quanto un piede.
Una storia che nasce così per caso, inattesa, quasi per una concatenarsi improvviso di eventi impronosticabili come accaduto a Gardner Minshew, ex quarterback di Washington State spedito in campo dal coaching staff dei Jaguars per sostituire l’infortunato Nick Foles e salito subito agli onori delle cronache prendendo per mano Jacksonville, rimettendola in carreggiata, e sfiorando una rimonta che avrebbe avuto dell’incredibile dopo aver completato 22 passaggi su 25 tentati per 275 yards, 2 TD pass e 1 intercetto.
Folgorato sulla via del football dai vecchi Guerin Sportivo negli anni ’80, ho riscoperto la NFL nel mio sperduto angolo tra le Langhe piemontesi tramite Telepiù, prima, e SKY, poi; fans dei Minnesota Vikings e della gloriosa Notre Dame ho conosciuto il mondo di Playitusa, con cui ho l’onore di collaborare dal 2004, in un freddo giorno dell’inverno 2003. Da allora non faccio altro che ringraziare Max GIordan…