Ci riproviamo. Vista l’impossibilità di produrre con costanza Ten Weekly Lessons per motivi strettamente legati al rapporto tra la lunghezza dell’articolo ed il tempo a disposizione per crearlo, tentiamo una nuova avventura. Dimezziamo la posta in palio ma la natura non cambia, quando arriva il kickoff giunge anche quella deformazione mentale – magari fosse professionale – che rende impossibile non pensare, non ragionare di football. E allora andiamo, disquisiamo, discutiamo, ognuno con la propria opinione, stando attenti alle facili trappole e costringendoci a non accettare che uno più uno faccia sempre due. Perlomeno in campo Nfl. Round 1, non Week 1, perché sappiamo che sarà una dura lotta portare questa rubrica fino in fondo. Fuori i guantoni. C’è da lottare.
Bentornati dunque alla overreaction week. Prima settimana di gioco, prime incredulità, prime sentenze possibilmente da tenersi in tasca, perché non è questo il momento dove vengono costruiti i trend del campionato. Alcune faccende sono destinate a cambiare, certo, d’altro canto la mutazione di un roster di football americano è costante e numericamente ampia di anno in anno, ma altre sembrano instradate sempre sulla stessa via, nel bene e nel male. Vediamone un po’ assieme.
WHO NEEDS ‘EM?
In estate abbiamo scherzato con Jerry Jones ed il suo “Zeke Who?”, due semplici parole che hanno creato il solito estenuante seguito mediatico tante per riempire il vuoto lasciato dall’astinenza da football giocato. Il concetto è però correlabile ed applicabile a due protagonisti di questo campionato, entrambi assenti in occasione del kickoff per motivi completamente differenti. Antonio Brown e gli infiniti casini piantati nel costato dei Raiders hanno accompagnato le breaking news per tutta la stagione calda, generando una serie incomprensibile di concatenamenti di eventi utili a confermare che si può sempre avere la testa vuota, ma ci sarà sempre qualcuno disposto a riempire di soldi un grande talento che nemmeno si sta accorgendo di rovinarsi con le sue stesse mani. E pare non demordere pure…
Il neo-Patriots non poteva scendere in campo con la nuova uniforme e sarà eleggibile per vestirla solamente a partire dal prossimo fine settimana – mannaia di Roger Goodell permettendo, viste le ultime novità di cronaca mondana – attestazione cristallina che piove sempre sul bagnato. Tuttavia, alla faccia delle consuete previsioni pre-stagionali ove da secoli si dice che la dinastia è destinata a non durare per questo e quell’altro motivo, New England ha posto in atto un’autentica carneficina nei confronti degli Steelers, i quali non saranno magari competitivi come una volta, ma non sono neanche la squadra più scarsa della Afc. Tom Brady e le sue milizie hanno impiegato nemmeno tre quarti di confronto per dimostrare che l’efficienza missilistica è tutt’altro che decaduta a seguito dei vari ed illustri abbandoni, e che il concetto di here to stay ha bisogno di essere ulteriormente rispiegato a tutti gli alunni.
La nuova versione dei Patriots ha portato a risultanze viste più e più volte, con il numero dodici a sfiorare le 350 yard con un rating di 125 centrando sette differenti bersagli, grazie a chiamate atte a creare il numero più alto possibile di mismatch in campo, un esercizio che nei dintorni di Boston hanno sempre praticato con discreta maestranza. Almeno per questa partita Belichick e McDaniels hanno dimostrato che c’è vita anche dopo Gronk, e che per fronteggiare la più che modesta opposizione della difesa di Pittsburgh non serviva certo far scrivere numeri fantascientifici al gioco di corse sfruttando l’ottima connessione con il sempreverde Edelman, Mvp uscente del Super Bowl non certo per caso, ma pure creando dal nulla una tra le più belle domeniche statistiche mai vissute da Philip Dorsett e terminando con il contributo del recuperato – per ora, sia chiaro – Josh Gordon, un progetto che Belichick vuol portare alla redenzione completa. Se poi qualcuno reperisse qualche formula idonea nel libro della stregoneria per contenere i danni generati da White e Burkhead una volta effettuata la ricezione, sapete dove chiamare.
Antonio Brown Who? Per stavolta si può dire, occhio però, perché se queste sono le premesse l’arrivo della testa disabitata con l’ottantaquattro andrà a provocare ulteriori sismi presso le difese avversarie, che avranno assai poco di cui divertirsi nel capire come contenere questa corazzata mal dipinta con la foga della pre-stagione.
L’altra situazione è diametralmente opposta, anche se il concetto non varia per nulla, deve solamente essere traslato per una porzione di stagione più lunga. Melvin Gordon ha difatti fatto sapere tramite le sue rappresentanze che tornerà ai Chargers solamente attorno a metà stagione, per una serie di motivazioni di convenienza strettamente relazionate alla sua futura free agency, ma come ampiamente prevedibile in quanto già dimostrato dal recente passato la sua assenza non si è certo fatta sentire.
A Los Angeles l’hanno comunque portata a casa con fatica, ma alla fine ciò che più conta è pur sempre restare attaccati ai Chiefs il più possibile fino alla fine della regular season, ed il primo passo è senz’altro molto buono. Austin Ekeler e Justin Jackson hanno fornito l’uno-due necessario per sopperire adeguatamente all’assenza del titolare, ed in un sistema offensivo strutturato in questa maniera – ovvero sempre ricco di opportunità in ricezione in situazioni di screen – il primo ha letteralmente banchettato, mentre il secondo ha generato guadagni apocalittici se rapportati alle sole sei occasioni in cui Wisenhunt gli ha chiamato una corsa apposita, scrivendo nove e mezzo a portata in termini di yard medie.
Poi, francamente parlando, se Ekeler in queste condizioni è capace di produrre 154 yard totali e tre mete, tra cui il touchdown della staffa in overtime, significa solo che Melvin Gordon può fermarsi a riflettere sui suoi capricci per qualche settimana in più del previsto, magari pensando di ridimensionare delle richieste che non dovrebbero risultare così esose per un giocatore che in questo contesto risulta perfettamente sostituibile.
Melvin Who? Eh sì.
NOT SO IMPROVED
A parere del tutto personale ma in ogni caso condiviso da parte della stampa statunitense, la presente stagione rappresenta l’ultima spiaggia per Jameis Winston nel cercare di dimostrare di appartenere ai piani alti di questa lega. Un po’ tardino, verrebbe da dire, se non altro perché l’ostinatezza perennemente dimostrata nel voler forzare le conclusioni agendo in maniera del tutto immatura rispetto ad un giocatore della sua esperienza non fa altro che continuare a provare i mancati progressi nel corso degli anni. Anche qui, è solo la prima partita e ne siamo tutti ben consapevoli, ma è certamente grave l’atteggiamento mostrato dal quarterback dei Buccaneers dopo un’estate passata a dare ascolto – o perlomeno a tentarci – ai consigli del saggio Bruce Arians, il quale doveva costituire la matematica cura ai tutti i mali dell’ex-Florida State. L’uscita contro San Francisco ci suggerisce che le cose non stanno affatto così.
Nel festival degli orrori consumatosi in Florida, Winston ha superato Vinny Testaverde divenendo il franchise leader di ogni epoca per yard su lancio, un traguardo poco ragguardevole se paragonato al numero di partecipazioni ai playoff (zero) ed alla mancata realizzazione di quelle che dovevano a rigor di logica essere delle rosee prospettive, se non altro perché a livello collegiale il giovane aveva già dimostrato di saper calcare palchi importanti fornendo grandi gioie agli appassionati dei Seminoles (eccomi!!). Basterebbe dare un occhio superficiale ai numeri per capire il livello della prestazione di Winston, autore di un passaggio vincente a fronte di tre intercetti, ciò che tuttavia conta maggiormente è la capacità decisionale, che ha preso forma attraverso pessime decisioni che hanno portato a ben due pick six con evidenti conseguenze negative per il bilancio della gara, ed un terzo turnover figlio di quell’incapacità sistematica di gettare il pallone distante e al di fuori del rettangolo di gioco pur di trovare quel completo che a volte non fa nessuna differenza. Maturare nel ruolo di quarterback significa soprattutto conoscere il momento in cui è necessario sbarazzarsi dell’ovale, e ricominciare daccapo nell’azione successiva: un “uno” in più nel computo dei completi può migliorare le statistiche personali, ma non certo le condizioni di una franchigia che sembra aver preso l’ennesimo granchio della sua storia.
Un’analisi meno disastrosa ma assimilabile è altresì pensabile per Mitch Trubisky, anche se nemmeno qui tutta la verità risiede con completezza nei numeri, che ci limitiamo a riassumere con il 62.1 di rating con cui l’ex-North Carolina ha concluso il kickoff dello scorso giovedì. Crediamo che lo scotto attualmente pagato dai Bears sia proprio relativo all’inesperienza che Trubisky possedeva anche in sede collegiale, avendo rivestito i panni di starter stabile solamente al terzo anno di eleggibilità, una considerazione che si trasla tranquillamente in un ambito professionistico dove contano moltissimo i progressi tra un campionato e l’altro.
Il quarterback dei Bears non è affatto un cattivo giocatore, ma al momento non è ancora efficiente come potrebbe/dovrebbe essere oggi. Magari dimostrerà di esserlo più in là nel campionato, chi lo sa, tuttavia lo stato attuale delle cose offre un regista ancora troppo fissato sulla sua soluzione primaria di lettura, e quando questa viene negata dalla difesa la tendenza è sempre quella di sfruttare il tasso atletico in dotazione per fuggire dalla tasca e creare qualcosa di non meglio precisato, il quale si rivela essere eccitante o frustrante a seconda delle situazioni. Trubisky ha spesso reso al meglio quando posto nelle condizioni di trovare bersagli facili in grado di esplodere in campo aperto, non a caso il roster offensivo dei Bears è costruito in maniera più che opportuna, e nonostante queste tendenze non positive si è comunque dimostrato capace di condurre il reparto offensivo a giocarsi la partita nei minuti finali, interessante segno di presenza di ghiaccio nei nervi.
Restano i segni di un progredire troppo lento nel comprendere adeguatamente le sfaccettature del gioco, almeno in rapporto alla fretta che la Nfl impone per costruire un programma vincente, quindi il giudizio sulla seconda stagione piena di Mitch è per il momento rimandato a data da destinarsi. Si sappia che di lavoro ce n’è ancora parecchio.
SAME OL’ SKINS
Non avevamo intitolato così anche altri ventiquattro paragrafi di Ten Weekly Lessons? Beh, dato che non cambia mai nulla in quel della Capitale allora tanto vale che anche tra le nostre righe le cose rimangano come devono essere, o meglio, come Jay Gruden desideri restino da qui alla fine della sua esperienza sulla sideline pellerossa.
Poteva essere una buona opportunità per partire bene in un campo assolutamente ostile in uno scontro divisionale sempre determinante, ed invece la prima domenica di football capitolino va semplicemente ad aggiungersi alle tante altre già vissute da fans oramai scoraggiati (eccomi – parte 2) dall’atteggiamento di squadra e dal mal funzionamento di una franchigia sempre più disastrata. La speranza è che anche Snyder prima o poi cessi nel tentare di girare delle sorti che mai gireranno in sua presenza, e venda tutto così com’è. Forse allora si vedrà una fioca luce in fondo ad un tunnel che gli ‘Skins si sono costruiti sin dagli albori degli anni novanta.
Se si doveva vincere con il gioco di corse, come la gran fanfara pre-stagionale portava a presumere, la prima ha fatto acqua da tutte le parti. Il backfield non ha mai decollato rovinando l’atteso esordio di un Guice fermo ad 1.8 yard per chiamata, statistica certamente dipendente dall’assenza di Trent Williams in trincea e situazione dove avrebbe senz’altro fatto comodo l’esperienza di Adrian Peterson, lasciato inattivo nell’ennesima scellerata decisione organizzativa tipica di questi luoghi rischiando di minare una relazione che dovrà essere ricostruita in tutta fretta, visto che il ginocchio non operato di Guice è attualmente dolorante e serve con discreta urgenza qualcuno in grado di portare il pallone.
C’era il sospetto che qualcosa del genere potesse accadere, che gli Eagles riuscissero a rientrare in gara nel secondo tempo, perché in fin dei conti le diverse edizioni dei Redskins di Gruden hanno spesso giocato le partite a metà. Case Keenum ha dimostrato di essere adeguato al compito sfornando una prestazione altisonante tuttavia macchiata dalla pressoché totale immobilità dell’attacco nel secondo tempo, e come sempre si sono visti sprazzi di ottime intuizioni – leggasi: le giocate in profondità per Terry McLaurin – che se estesi per tutta la durata dei quattro quarti farebbero davvero la differenza. C’è molto da registrare, soprattutto la comunicazione tra defensive back, colpevoli di molteplici figuracce verso DeSean Jackson, e l’andazzo non è altro che quello di tutte le altre volte. Nulla porta a pensare che Washington possa finalmente essere differente da una squadra buona per sei vittorie annue, perché l’attitudine vincente non fa semplicemente base presso la Capitol Hill.
MIAMI (BAD) VICE
Se tifate Dolphins, vi dobbiamo automaticamente un abbraccio, anzi sedici, tanti quanti le settimane che sarete chiamati a soffrire se le cose dovessero perseguire in questo modo. Pensare che Miami non stia tankando fa quantomeno sorridere dopo aver visto la difesa crollare sotto i colpi di un Lamar Jackson dal dente avvelenato nei confronti dei suoi critici, e che la squadra non sia per niente competitiva lo si evince benissimo dal tabellino del primo tempo, che riportava un sonoro 42-3 dopo soli trenta minuti di gioco, cose che normalmente accadono solamente quando Alabama decide di sfidare la Citadel di turno in ambito Ncaa.
Se la presentazione stagionale di squadra è stata capace di concedere 643 di yard in passivo, allora ci sono serie motivazioni per ritenere i Dolphins capaci di chiudere la stagione con la tanto agognata prima scelta assoluta, una nozione già ben nota prima dell’inizio delle operazioni, ma avallata in maniera così pesante da risultare addirittura incredibile. In campo – dinanzi a quei pochi audaci che non hanno preferito la spiaggia alla permanenza presso lo stadio di casa – lo spettacolo è stato ai limiti del pietoso soprattutto in difesa, con ampie dimostrazioni di assenza totale di intesa nelle retrovie, di scarsa applicazione delle tecniche ottimali di placcaggio (motivazione principe degli infiniti big play concessi ai Ravens) e di un’inconsistenza generale che coinvolge tutti gli appartenenti al reparto, dal primo all’ultimo.
Il front seven è stato spesso risucchiato dai blocchi avversari, elargendo lo spazio necessario alle scorribande di Mark Ingram, le secondarie hanno permesso a Marquis Brown di dimostrare il perché di quell’Hollywood utilizzato come nomignolo e di entrare nella storia dalla porta principale diventando il primo rookie di sempre a debuttare con più di un touchdown di oltre 40 yard, e come prevedibile una grossa fetta di problematiche risiede nell’assenza di pass rush, con Charles Harris – primo round 2017 – fermo ad un solo placcaggio in oltre sessanta snap di utilizzo,cifre non molto differenti rispetto alle stagioni precedenti. Componendo tutti i pezzi del poco invidiabile quadro, non deve sorprendere che Jackson abbia terminato la sua giornata in ufficio con l’85% di completi e delle statistiche generali degne della PS4.
La linea offensiva ha fornito un altro chiaro segno d’impreparazione, Flores aveva le idee poco chiare già al training camp a l’aver tolto Laremy Tunsil dall’equazione di certo non ha portato in alto le quotazioni della precaria situazione, dando vita ad un autentico disastro pieno di belle giocate – della difesa avversaria – dietro la linea di scrimmage. Quando si tornerà in campo domenica prossima ci saranno i Patriots, i quali sono già apparsi non frenabili senza nemmeno dover schierare il noto neo-arrivo.
Ai bookmaker la decisione se metterne in preventivo altri cinquanta…
THE BIG CHIEF
Qualche esperto di fantasy football stipendiato da Espn non si fidava troppo del ranking di Patrick Mahomes tra gli start’em and sit’em, in quanto dinanzi ai Chiefs si profilava l’ombra della difesa di Jacksonville.
Due veloci considerazioni: la prima è che qui non si tratta di fantasy football ma di concreta realtà, e che davanti abbiamo un giocatore di quelli veramente bravi a fare ciò che sa fare, al di là dello spettacolo dei suoi passaggi; la seconda è che il reparto difensivo dei Jags non è quello di due stagioni fa e lo ha già dimostrato per tutto il corso del campionato 2018, e non ci sono grosse indicazioni di una possibile ripresa verso quella direzione, solo tante chiacchiere, le solite peraltro, che provengono sempre dalla stessa bocca di un noto defensive back attualmente residente in Florida, il cui ego è un tantino troppo pompato.
Dando un’occhiata alle statistiche, basta osservare l’ammontare del solo primo quarto per comprendere appieno il come Mahomes non si sia certo seduto sugli allori di un’annata fantastica, scrivendo un parziale di 211 yard e permettendo alla presumibilmente temuta difesa dei Jaguars di scrivere pagine di storia al contrario, dal momento che Patrick è divenuto il primo regista degli ultimi quarant’anni a varcare la soglia delle 200 yard su passaggio durante i soli primi quindici minuti di gioco, attestando che rispetto a dodici mesi fa la situazione non è proprio cambiata, e che i Chiefs quel conto in sospeso con il Championship della Afc ci tengono proprio a risolverlo.
Il Grande Capo ha condotto il suo attacco ancora una volta in maniera esemplare fugando ogni possibile dubbio sul possibile sophomore slump e sì, signori, Patrick Mahomes sta continuando a viaggiare come un treno in corsa distribuendo nello specifico venticinque completi a nove destinatari differenti, una certificazione scritta dell’ampiezza della gamma offensiva allestita da Andy Reid, un coach cui manca solamente il Super Bowl per essere finalmente rimosso dagli attuali criteri di criminale sottovalutazione cui è da tempo immemore sottoposto. Di certo aiuta rivedere il Sammy Watkins dei tempi di Clemson, nei quali le partite superiori alle 100 yard erano semplicemente un minimo sindacale, se poi alla torta si aggiunge la fetta chiamata LeSean McCoy, dato per distrutto dalla critica ma a parer personale ancora potenzialmente pericoloso se inserito in un sistema offensivo a lui già ben noto trovandosi nella condizione di non dover essere necessariamente spremuto grazie alla presenza di Damien Williams, si comprende come il tasso di danneggiamenti offensivi che Kansas City può effettuare in giro per la lega rimanga sistematicamente alto.
Quasi 500 yard di total offense senza nemmeno l’ombra di Tyreek Hill, uscito per l’infortunio alla clavicola, è un numero che si commenta da sé, tanto da non destare particolare preoccupazione o fretta per recuperare fisicamente il wide receiver primario di questo meraviglioso marchingegno.
Sotto a chi tocca, ed auguri.
GAME REWIND: Texans @ Saints
Questa è la partita che dovete assolutamente recuperare, un festival offensivo con molteplici interpreti di alto livello, DeShaun Watson contro Drew Brees sotto il tetto del Superdome nella cornice del Monday Night, con giocate altamente emozionanti di Michael Thomas, Alvin Kamara e DeAndre Hopkins. I Saints sono pronti a recitare ancora un ruolo primario fronteggiando alla pari il meglio della Nfc, i Texans sono ad un Fuller in salute dal possedere un attacco eccellente. Se non avete mai visto il football ve ne innamorerete guardando anche solo gli highlights di questa meravigliosa partita.
STAT LINE OF THE WEEK: 9 rec, 198 yds, 3 TD
Firmato Sammy Watkins. L’infortunio di Tyreek Hill, in ogni caso non grave, non deve preoccupare più di tanto se Watkins riuscirà ad essere ciò che in Nfl non è mai stato. Un game changer, come quando vestiva una vistosa casacca arancione e nessuno, né nella Acc né altrove, riusciva a prendergli la targa.
ONE LINERS OF THE WEEK:
- il cuore dei Bills fa provincia. Sinceramente felice per tutta la loro grande fan base.
- se Lamar Jackson è questo, tutti pronti a rimangiarsi quanto sostenuto in occasione dell’uscita ai playoff contro i Chargers.
- per non avere un attacco degno di tale nome, 43 punti sono davvero tanti. I Tennessee Titans ne sono davvero convinti.
- C.J. Mosley vale ogni singolo dollaro speso in più dai Jets per strapparlo dalla sua ex-squadra, Baltimore.
- Cam Newton non ha perso il vizio dell’overthrow, nonostante la spalla sia a posto.
- Mike Tomlin, in pre-stagione, aveva dichiarato che essere molto soddisfatti del training camp non significava nulla. Purtroppo per lui, aveva pienamente ragione.
- Gardner Minshew, Washington State, giocatore numero 178 dello scorso Draft, equivalente ad un sesto round. Le sue statistiche di domenica, prima volta in un campo Nfl: 22/25 per 275 yard con due mete ed un intercetto, qb rating di 122.5. Confronto politicamente scorretto, come piace a noi: Blake Bortles ha superato quello stesso rating nel 9% delle partite in cui ha indossato la maglia dei Jaguars, su un campione di 75 presenze. Tanto di cappello per l’esordio di un ragazzo che ha trascorso il training camp con la seconda squadra offensiva, e che ha entusiasmato entrando a freddo in sostituzione di Nick Foles.
A LOOK AHEAD:
- match della settimana: nessun dubbio, Saints contro Rams, rivincita dell’incriminato Nfc Championship dello scorso gennaio.
- Terrell Suggs, 228 partite tutte giocate per i Ravens in quindi anni di onoratissima carriera, tornerà al M&T Bank Stadium per la prima volta da avversario. Ci aspettiamo la standing ovation.
- Chiefs vs Raiders: se i ragazzi di Gruden tengono ci si potrebbe divertire.
- Se Prescott è questo, Washington acquisti in fretta un pallottoliere, e l’altro Gruden cominci a pensare alla sua prossima occupazione.
See y’all next week.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.