ARIZONA CARDINALS
Chi esce: Steve Wilks, record 3-13 (stesso record nel 2018)
Chi entra: Kliff Kingsbury
La prima esperienza di head coach di Steve Wilks è durata undici mesi, tempo evidentemente sufficiente per indurre il proprietario Michael Bidwill a terminarne anzitempo il contratto. I motivi sono abbastanza in luce, basti pensare all’involuzione difensiva patita dai Cardinals, terminati ultimi di Lega per yard concesse su corsa e ventiseiesimi per punti elargiti, come pure al 3-13 andato ad eguagliare il peggior record degli ultimi diciotto anni. Numeri che non possono non condannare un allenatore che ha lasciato comunque un bel ricordo ai suoi giocatori – più di qualche Cardinal ha pubblicamente ammesso che il disastro ha visto particolarmente responsabile chi era in campo a giocare – ma il quale ha gestito troppe partite in maniera precaria, dando la perenne impressione che Arizona non potesse essere competitiva contro nessun avversario.
Dopo un’annata consegnata alla parte sbagliata della storia attraverso la presenza di un coach che dirigeva le operazioni per la prima volta nella sua carriera, sorprende dunque che nella ricerca del nuovo candidato proprietà e dirigenza abbiano optato per uno status del tutto simile. Kliff Kingsbury non ha mai allenato in Nfl, viene difatti da Texas Tech, università per la quale ha giocato da quarterback prima di diventare un assistente offensivo presso l’università di Houston, scalando le gerarchie fino a chiamare personalmente i giochi dell’attacco ottenendo piena fiducia dal suo superiore, Kevin Sumlin. Con quest’ultimo Kingsbury avrebbe poi scritto numeri da fantascienza allenando Johnny Manziel a Texas A&M, per poi rientrare a Texas Tech in qualità di head coach e distinguersi per l’indubbia efficienza dei suoi attacchi, ma non certo per la competitività dell’ateneo.
Il fatto che ci si trovi davanti ad uno stratega offensivo di qualità – perlomeno a livello collegiale – è un fatto avvalorato dalle 470 yard con 30 punti di media registrati dai Red Raiders nelle sue sei stagioni a capo delle operazioni, tuttavia va in ogni caso sottolineato che la squadra si è sempre misurata nella maggior parte dei casi contro le difese della Big 12, Conference non certo conosciuta per l’efficienza difensiva, e che il record complessivo è di 35-40, una statistica passata in secondo piano davanti all’urgente esigenza di trovare una personalità spiccatamente offensiva in grado di far crescere Josh Rosen, reduce da una stagione da rookie trascorsa tra molta mediocrità e qualche sprazzo di potenzialità futura.
Kingsbury dovrà affrontare dei passi fondamentali per dimostrare di appartenere alla Nfl. La scelta di Vance Joseph per gestire la difesa porta la necessaria esperienza per ravvivare una 3-4 che Wilks aveva trasformato in un ibrido collegiale che non ha per nulla sfruttato il talento dei tanti ottimi giocatori dei Cardinals, ma ci sarà bisogno di affiancamento anche per la fase offensiva, in quanto Texas Tech giocava una Air Raid Offense nella quale il quarterback lanciava tra le cinquanta e le sessanta volte, il running back era un’entità quasi sconosciuta, ed il ruolo di tight end dimenticato dietro allo schieramento sostanzialmente fisso a cinque ricevitori. Nulla di tutto questo, se non a livello saltuario, è praticabile contro una difesa Nfl.
Chiunque sia l’offensive coordinator – non ancora assunto al momento della scrittura dell’articolo – dovrà integrare le idee collegiali di Kingsbury con schemi più tradizionali, innescando un processo di crescita graduale. L’ex-Texas Tech non avrà un curriculum di vittorie particolarmente elevato ma di attacco se ne intende davvero, lo dimostra il successo ottenuto lavorando con Baker Mayfield e Patrick Mahomes, entrambi suoi giocatori al College. I Cardinals tornano quindi ad una struttura di allenatori di stampo offensivo coadiuvati da uno specialista difensivo di alto livello, la stessa che detenevano ai tempi di Bruce Arians e Todd Bowles.
La mossa è rischiosa, e nelle nostre idee destinata ad avere un enorme successo, oppure schiantarsi irrimediabilmente al suolo. Il trascorrere del tempo ci chiarirà meglio quale opzione si avvererà.
CINCINNATI BENGALS
Chi esce: Marvin Lewis, record 131-122-3 (6-10 nel 2018)
Chi entra: Zac Taylor
Marvin Lewis è stato uno degli allenatori più longevi di quest’epoca Nfl, avendo trascorso ben 16 stagioni alla guida dei Bengals. Da un certo punto di vista tale periodo potrebbe essere considerato troppo esteso se relazionato al fatto che la franchigia non vince comunque una partita di playoff dal 1990, un digiuno enorme, come comprovato dallo 0-7 registrato dalle squadre allenate da Lewis in postseason nonostante le oltre dieci vittorie di media fatte pervenire tra il 2012 ed il 2015.
E’ tuttavia fuori discussione l’enorme lavoro svolto da Lewis per cambiare la cultura perdente di Cincinnati, riportata ai playoff dopo un’assenza di quattordici stagioni consecutive, un risultato che gli ha certamente garantito la lealtà del proprietario Mike Brown fino alla stagione appena conclusasi, nella quale la squadra ha sprecato il 4-1 iniziale soffrendo di evidenti regressioni difensive.
Zac Taylor, ex-quarterback coach dei Rams, costituiva già l’erede designato la cui firma ufficiale è giunta, per ovvie ragioni, a Super Bowl concluso. Scelto per rinfrescare un ambiente che ha bisogno di una sterzata offensiva attraverso il miglioramento del rendimento di Andy Dalton, potendo contare su un reparto offensivo interessante che vede la presenza di A.J. Green, Joe Mixon e Tyler Boyd, Taylor coprirà per la prima volta il ruolo di head coach ed effettua il salto senza mai essere passato dal ruolo di offensive coordinator, e per quanto importante sia risultato nel pianificare l’attacco di Los Angeles per pubblica ammissione di Sean McVay, che ne ha tessuto le lodi per l’efficienza avuta dai Rams nelle conversioni di terzo down, non ha mai chiamato personalmente i giochi.
Taylor sembra cozzare a puntino in quella che è stata a tempo debito la descrizione del suo ex-superiore, essendo una giovane mente offensiva che può portare innovazione ed entusiasmo ad una franchigia che ha disperatamente necessità di risultati positivi. Già pratico dell’ambiente, nel quale ha lavorato come offensive coordinator per i locali Bearcats, a livello professionistico ha presenziato per quattro stagioni ai Dolphins vestendo i panni del coordinatore ad interim, per poi entrare a far parte della rivoluzione losangelena quale allenatore dei ricevitori. La promozione a quarterback coach, grazie alla quale ha potuto lavorare fianco a fianco con Jared Goff, è arrivata nella offseason del 2018.
Se l’arrivo di Taylor, ex-quarterback a Nebraska, porta con sé una necessario profumo di tanto atteso cambiamento, il nuovo head coach dovrà di contro dimostrare di non essere frutto della sua provenienza e di poter camminare tranquillamente con le sue gambe. Trovandosi a dover gestire una squadra molto acerba e quindi anche parecchio futuribile avrà l’opportunità di far crescere un nucleo che si sta già solidificando al di là dei risultati di squadra, tutto ciò che serve ai Bengals è difatti una maggiore stabilità tra gli assistenti dopo gli annuali cambi di personale nell’ultimo quadriennio sotto Lewis, e di riconquistare un pubblico alienato dalla pressoché totale mancanza di prospettive a livello di competitività.
Dato che le competenze in materia offensiva non mancano, a Cincinnati ci si potrà almeno divertire in attesa di capire se Taylor sia destinato a rompere il sortilegio e diventare il primo coach dai tempi di Sam Wyche a condurre la franchigia ad una più che sospirata vittoria di postseason.
CLEVELAND BROWNS
Chi esce: Hue Jackson, record 3-36-1 (2-5-1 nel 2018); Gregg Williams, record 5-3
Chi entra: Freddie Kitchens
La lettura delle statistiche riportate nelle due righe superiori a questa deve fornire un’idea ben chiara riguardo il processo di trasformazione culturale che i Browns sembrano aver intrapreso in maniera positiva. Al termine della stagione 2017 rimaneva difatti misteriosa la decisione di confermare Hue Jackson dopo aver vinto la miseria di una partita su trentadue tentativi, e dargli addirittura la terza possibilità si è rivelata una decisione sulla quale la dirigenza ha fatto retromarcia presto, facendo accomodare Jackson (e con lui Todd Haley) all’uscita con un provvisorio e non più accettabile 2-5-1.
Gregg Williams ha condotto Cleveland ad una porzione di stagione vincente fregiandosi di una mini-striscia di tre successi consecutivi, vera manna dal cielo per un pubblico che per anni ha assistito a delle autentiche prese in giro. La svolta è arrivata grazie ad un attacco i cui giochi erano ora chiamati da Freddie Kitchens, sconosciuto allenatore dei running back nonostante una militanza Nfl di tredici stagioni a servizio – tra gli altri – di Bill Parcells a Dallas, il quale ha trovato il modo di far girare positivamente la stagione da matricola di Baker Mayfield, l’investimento più importante dell’ultimo anno, e dare fiducia a Nick Chubb, rivelatosi un homerun hitter a dir poco entusiasmante.
Kitchens è stato selezionato quale head coach principalmente per il rapporto sviluppato con Mayfield, il cui potenziale è finalmente esploso strada facendo, ricordando peraltro l’ottimo lavoro svolto nelle vesti di quarterback coach in Arizona, producendo la miglior stagione in carriera di Carson Palmer. Quanto ottenuto in attacco dai Browns nella metà stagionale vincente non è stato nulla di particolarmente eclatante, o meglio lo è stato in rapporto a quanto visto nei due anni e mezzo precedenti, tuttavia la Nfl è pur sempre una Lega dominata dai quarterback e trovare una persona in grado di far rendere il proprio gioiello più giovane e splendente ha indotto il general manager John Dorsey – dopo aver intervistato altri cinque candidati – nel giungere alla conclusione che la promozione interna di Kitchens possa rappresentare la soluzione di continuità e crescita che i Browns stavano cercando.
Il nuovo allenatore dei Browns diventa solamente il terzo tra tutti i colleghi attualmente attivi nell’eseguire il salto a head coach senza essere mai passato da una posizione di coordinator, ed il fatto che uno dei nominativi corrisponda a quello di Andy Reid (da quarterback coach a head coach degli Eagles nel 1999, il resto lo sappiamo piuttosto bene…) è una minuziosa statistica tipicamente americana, ma anche un segnale di grande speranza. Il suo nuovo staff sarà composto da Todd Monken, ex-offensive coordinator dei Buccaneers che verrà a ricoprire un identico incarico, e Steve Wilks, appena licenziato da Arizona, per quanto riguarda la parte difensiva. Un fattore da non sottovalutare riguarda la nuova struttura operativa dei Browns, nella quale Kitchens dovrà gerarchicamente rapportarsi direttamente con Dorsey, al contrario di quanto accaduto con Hue Jackson, dove coach e general manager si consigliavano indipendentemente l’uno dall’altro con il proprietario Jimmy Haslam, fattore che ha con tutta probabilità creato frizioni all’interno dello staff dirigenziale e tecnico.
Anche da questo punto di vista, i Browns sperano di aver definitivamente voltato pagina.
DENVER BRONCOS
Chi esce: Vance Joseph, record 11-21 (6-10 nel 2018)
Chi entra: Vic Fangio
Il presupposto più utile da cui partire per comprendere la situazione dei Broncos riguarda il fatto che la squadra, reduce da due stagioni consecutive dal record perdente, non pativa tale sorte dall’inizio degli anni settanta. Tradotto in pensieri spicci, questo è un pubblico abituato a risultati minimi di un certo livello, pertanto la sorte di Vance Joseph era matematicamente segnata nel momento stesso in cui Denver ha perso ogni speranza di qualificarsi per i playoff, evento che non accade dai gloriosi giorni trascorsi da Peyton Manning in Colorado.
In questi due anni Joseph no ha manifestato particolari qualità caratteriali dimostrandosi inadatto per una responsabilità che prevede una supervisione totale del roster, dell’emotività dello stesso, e del playbook nelle tre sezioni del gioco. Uno dei problemi non addossabili a Joseph è senza dubbio il mancato reperimento di un quarterback adatto a condurre una squadra tradizionalmente vincente ai playoff, e qui entra in gioco l’imponente ma discussa figura di John Elway, che oltre a quanto fatto da giocatore ha dalla sua il ruolo certamente determinante nell’aver portato Manning in loco a tempo debito, ma il quale ha chiaramente fallito con l’assunzione di Joseph e nella valutazione del personale in un ruolo di cui lui stesso è stato tra i più grandi interpreti di sempre.
Proprio per questo la scelta di Vic Fangio deve necessariamente produrre dividendi da subito. La decisione presa da Elway è, se vogliamo, controcorrente rispetto ai trend attuali. Fangio non è una giovane e brillante mente offensiva, è un sessantenne che non ha mai assunto un ruolo di head coach in precedenza non certo per demeriti, ma perché preferisce essere un uomo tutto sostanza e poche luci della ribalta, una persona che lavora durissimo e sa come rapportarsi con i giocatori, ma che non ha bisogno di sbandierare nulla a chicchessia.
Il fatto che egli sia adatto ad un compito di queste responsabilità è assolutamente comprovato dal suo passato. Partito ad allenare quale assistente addirittura ai tempi della defunta Usfl, ha trascorso i ventitré anni successivi nella Nfl saltando continuamente dalla posizione di linebacker coach a defensive coordinator, quest’ultimo ruolo ricoperto nelle stagioni inaugurali di Carolina Panthers e Houston Texans. Dopo la pausa collegiale trascorsa assieme a Jim Harbaugh a Stanford, trasformata in grande realtà nazionale dopo anni di miseria, i due si sono trasferiti a San Francisco dando inizio ad un ciclo di vittorie che nella Baia non vedevano dai tempi di Steve Young.
Nel triennio in cui i Niners hanno vinto 36 partite giungendo sempre ad un passo dal traguardo – due Championship Nfc ed un Super Bowl persi – la difesa coordinata da Fangio è sempre giunta tra le migliori della Lega contando su un gruppo di giocatori di talento già presente a roster prima del suo arrivo (Willis, Bowman, i due Smith), ma il cui livello di gioco è sicuramente stato elevato dalla presenza di un coordinatore attentamente ascoltato da tutti i ragazzi che ha allenato negli anni.
A Denver tenterà di replicare il grande successo difensivo di Chicago, i Bears hanno suscitato terrore ovunque grazie alle loro fatali combinazioni di pass rush ed al loro grande talento, costruito con grande pazienza in quattro anni di lavoro i cui frutti sono arrivati solo in quest’ultimo campionato. Di sicuro ci sarà da divertirsi nel mascherare Von Miller e Bradley Chubb da linebacker o da end a seconda delle situazioni seguendo quanto egregiamente svolto con Khalil Mack e Leonard Floyd di recente proponendo una 3-4 di base pronta a mutarsi in una 4-3 all’occorrenza, condividendo le idee assieme a Ed Donatell, che dei Broncos sarà il defensive coordinator, persona più che fidata che ha seguito Fangio nella maggior parte delle sue tappe di carriera.
I successi futuri dei Broncos dipenderanno in ogni caso più dal quarterback che non dalla difesa, per cui una soluzione in materia andrà trovata in fretta.
GREEN BAY PACKERS
Chi esce: Mike McCarthy, record 125-77-2 (6-9-1 nel 2018)
Chi entra: Matt LaFleur
La necessità di cambiamento nel Wisconsin ha portato al licenziamento a campionato in corso a carico di un Mike McCarthy che aveva in precedenza condotto la franchigia ai playoff in ben nove occasioni su tredici tentativi, ottenendo dieci vittorie di postseason ed quasi il 62% di vittorie in regular season.
Sono numeri molto difficili da sostituire, tuttavia le ultime due stagioni – ambedue concluse alla diciassettesima settimana di gioco – non sono state certo soddisfacenti ed il management dei Packers ha deciso di chiudere la pluriennale esperienza di uno dei pochi coach a detenere successi in tripla cifra, tenendo soprattutto conto delle divergenze d’opinioni tra McCarthy e Rodgers riguardo la gestione offensiva, privilegiando le necessità del loro franchise quarterback e terminando un rapporto oramai giunto a comunicare attraverso i media.
La rinfrescata passerà attraverso le responsabilità di Matt LaFleur, proveniente dal settore offensivo dei Titans, nel quale si è dovuto adattare all’assenza di un pocket passer tradizionale – Marcus Mariota possiede difatti altre caratteristiche – finendo così per chiamare i giochi di un attacco classificatosi al venticinquesimo posto per yard ottenute e ventisettesimo producendo solo 19.7 punti a partita. Si può dire, come per il licenziamento, che anche per l’assunzione si sia tenuto fortemente in considerazione il bisogno resettare mentalmente un Rodgers che potrebbe beneficiare di questa ventata d’aria nuova, considerato che LaFleur ha lavorato con quarterback mobili e che il fatto potrebbe permettere al numero 12 verde-oro di sfruttare maggiormente la sua capacità di uscire dalla tasca.
Trentanove anni, offensivamente creativo, LaFleur è stato quarterback coach per Dan Quinn ad Atlanta, offensive coordinator per Sean McVay nel 2017 – altro esempio che denota come l’head coach dei Rams abbia influenzato mezza Nfl – e detiene un curioso legame con DeShone Kizer, il quarterback di riserva dei Packers, allenato come coach di specifica posizione a Notre Dame, e nome che si va ad aggiungere a quelli del già menzionato Mariota, di Goff, Ryan e Cousins. Lo staff a sua disposizione sarà composto da Mike Pettine, tenuto quale defensive coordinator dal precedente regime, mentre per l’attacco è stato assunto Nathaniel Hackett, già visto all’opera a Jacksonville sotto Doug Marrone – dal quale è stato licenziato a stagione in corso – un coach molto innovativo che avrà per la prima volta in carriera l’opportunità di interagire con una superstar come Rodgers.
Tra tutte le nuove assunzioni quella di LaFleur è indubbiamente quella di maggior responsabilità. Green Bay è la Titletown per eccellenza, i tredici trofei sono un conseguimento prestigioso ma pure intimidatorio per chi si affaccia per la prima volta verso questa realtà. Non ultimo i predecessori sono tra coloro che hanno scritto le pagine più importanti della storia dell’intera Lega: allenare nello stadio dedicato a Curly Lambeau per cercare di vincere il Vince Lombardi Trophy è un onore, ma anche un onere. Il sorridente Matt ha quattro anni di tempo per dimostrarsi all’altezza del compito.
MIAMI DOLPHINS
Chi esce: Adam Gase, record 23-25 (7-9 nel 2018)
Chi entra: Brian Flores
Per tentare di accorciare le distanze nei confronti dei rivali Patriots, Stephen Ross, il proprietario dei Dolphins, ne ha assunto il defensive coordinator, e non solo. Poche ore dopo aver conquistato il suo quarto trofeo da assistente, Brian Flores è stato nominato quale nuovo head coach di Miami, ed avrà l’improbo compito di restituire rilevanza ad una franchigia che nella stessa tempistica intercorsa tra il primo e l’ultimo Super Bowl vinto da New England si è qualificata ai playoff solamente in tre circostanze, senza mai vincere una partita post-stagionale.
L’ascesa di Flores parte dallo scouting department dei Patriots, passa dalla posizione di safety coach, fino alla promozione definitiva a defensive coordinator, ruolo nel quale ha sostituito Matt Patricia contribuendo al capolavoro difensivo occorso al Super Bowl, nonché al freno imposto ai Chiefs per tutto il primo tempo del Championship Afc. A Miami potrà lavorare con una congrua base di giovani talenti difensivi, (Minkah Fitzpatrick, Jerome Baker, Xavien Howard, Raekwon McMillan) cominciando quindi a costruire il rilancio della franchigia proprio da qui, anche se la responsabilità più importante sarà rappresentata dal reperire il quarterback del futuro dato che l’era di Ryan Tannehill è inevitabilmente rivolta verso il suo termine.
L’assunzione arriva dopo la totale pulizia eseguita da Ross, che ha attinto dai Patriots anche in fase di scelta del general manager arrivando a firmare Chris Grier. Da notare che questa è la prima occasione da quando Ross detiene le quote di maggioranza della franchigia (anno 2009) che general manager e head coach vengono cambiati contemporaneamente, fatto che ha consentito a Grier di condurre personalmente la ricerca del nuovo capo allenatore, una tacita ammissione degli errori commessi in passato dalla proprietà, tra cui la precedente assunzione di Adam Gase, che curiosamente resterà anch’egli nella Afc East. Flores si riferirà direttamente a Grier, il quale sarà l’unico filtro nei confronti del proprietario, eliminando una confusione organizzativa rivelatasi nociva.
La ricerca affrontata a Miami volge esattamente al contrario rispetto ai princìpi offensivi prediletti dalle altre occupazioni a disposizione, Ross cercava anzitutto un leader e Flores ha certamente dato ampie assicurazioni in merito, la speranza è che questi possa diventare l’antidoto – come già dimostrato nei playoff – ai grandi attacchi aerei di quest’epoca di football. Al momento della scrittura dell’articolo non ci sono sicurezze al 100%, ma è più che probabile la presenza di Patrick Graham per il coordinamento difensivo e di Chad O’Shea per l’attacco, entrambi titolari di una lunga esperienza da assistenti a New England.
Per Ross copiare la nemesi è il miglior metodo per riuscire a batterla, questo ci suggeriscono i fatti. Flores è chiamato a sfatare un mito, recentemente confermato da Matt Patricia, secondo il quale nessun ex-assistente di Bill Belichick può avere successo a lungo termine, il passato lo dimostra in maniera addirittura spietata. Vincere questo tabù sarebbe già un enorme balzo in avanti per i destini di una franchigia vicina al moribondo.
NEW YORK JETS
Chi esce: Todd Bowles, record 23-37 (4-12 nel 2018)
Chi entra: Adam Gase
Dopo aver scelto il loro quarterback del futuro nel Draft 2018, i Jets hanno direzionato la ricerca del loro nuovo head coach su una figura che potesse svilupparlo correttamente. Il curriculum di Adam Gase, appena licenziato dai concorrenti divisionali Dolphins, ha certamente pesato in maniera positiva in fase di selezione sia per il lavoro svolto con alcune grandi superstar nel ruolo specifico di necessità bianco-verde, sia per le creatività offensiva da sempre dimostrata adattando peraltro gli schemi al tipo di giocatore presente a roster.
Le due peculiarità appena menzionate sono state dimostrate dall’esperienza più redditizia di Gase, quella svolta a Denver nel ruolo di quarterback coach ed offensive coordinator, contribuendo alla revisione dell’intero funzionamento tattico del reparto offensivo in occasione della presenza di Tim Tebow, quarterback notoriamente atipico, nonché con i ben noti conseguimenti giunti grazie al simbiotico lavoro eseguito con Peyton Manning in un triennio concluso con due partecipazioni al Super Bowl, un anello, ed una potenza offensiva che ha permesso ai Broncos di primeggiare.
Secondo le classiche voci di corridoio la prima esperienza da capo allenatore di Gase è stata viziata da un ambiente poco stabile all’interno del quale i ruoli non erano esattamente chiari per tutti, lui stesso si è difatti ritrovato con alcuni poteri decisionali sul roster che hanno portato a decisioni sostanzialmente prese in autonomia, generando mosse non oculate come le firme di Jay Cutler, Brock Osweiler e Julius Thomas, oltre alla sfortuna occorsa a Ryan Tannehill con gli infortuni, che non hanno certo aiutato un ragazzo già in precedenza possessore di limitati di miglioramento.
I Jets sembrano un ottimo luogo d’approdo se non altro per la triennale conoscenza effettuata da Gase nei confronti della Afc East, ma soprattutto perché Adam è il primo allenatore di stampo offensivo presente a New York negli ultimi vent’anni, nonché l’unico dai tempi di Bill Parcells ad essere assunto avendo già detenuto il ruolo di head coach Nfl in precedenza. Visto l’ottimo lavoro svolto con Manning, ma pure con Cutler nell’anno trascorso a Chicago, Gase si ritrova nella posizione di poter adeguatamente sviluppare Sam Darnold, un ragazzo pieno di talento che va accompagnato e corretto nel prosieguo della sua maturazione tecnica, compito che l’ex-coach dei Dolphins potrà certamente svolgere con maggior tranquillità dal momento che a New York non avrà nulla a che vedere con decisioni di tipo manageriale.
I Jets sono una squadra giovane e futuribile, con Gase a guidare l’attacco ed il più che esperto Gregg Williams a coordinare la difesa – uno sgravio di non poco conto per l’head coach – la situazione parrebbe promettere finalmente bene dopo anni di buio pressoché completo.
TAMPA BAY BUCCANEERS
Chi esce: Dirk Koetter, record 19-29 (5-11 nel 2018)
Chi entra: Bruce Arians
Nei circoli Nfl è opinione diffusa che la decisione di Bruce Arians nel porre fine al suo anno sabbatico lontano dalla sideline sia la miglior cosa che potesse accadere alla carriera di Jameis Winston. Le ambizioni dei Buccaneers ripartono proprio da qui, dal comprendere se l’ex-Florida State possa effettivamente compiere l’ultimo salto di qualità e diventare il franchise player che la squadra aveva individuato in lui al momento della sua selezione nel Draft 2015, quando venne preferito a Marcus Mariota.
Riuscirà Arians laddove Dirk Koetter ha fallito nei suoi tre anni in Florida? La grande esperienza dell’ex-head coach dei Cardinals, che con i suoi 66 anni è l’assunzione più anziana mai effettuata nella Nfl, suggerisce che la missione risulta essere perfettamente a portata di mano. Arians viene da un football completamente diverso essendosi formato sotto il leggendario Bear Bryant presso l’Università di Alabama, per la quale fu coach dei running back, provando fascino per l’aggressività offensiva del suo superiore, un tratto che si è sempre portato accanto nella sua varie tappe professionistiche. Il buon Bruce è stato quarterback coach dei Colts nei primi tre anni di Peyton Manning, ed i risultati non è nemmeno necessario commentarli, ha giocato un ruolo determinante nella maturazione di Ben Roethlisberger accompagnandolo alla vittoria del Super Bowl XLIII in qualità di coordinatore offensivo, ha allenato Andrew Luck nell’anno da matricola quando questi riscrisse il record di yard lanciate da un rookie (4.374), ed ha rigirato la carriera di Carson Palmer come un calzino durante la sua ultima tappa di carriera, l’Arizona.
Winston, oltre che un comportamento fuori dal campo decisamente più dignitoso, ha estrema necessità di tagliare i turnover, un problema mai risolto sin dai tempi del College, le sue caratteristiche ed i numeri raccolti fino a questo momento sembrerebbero costituirne un candidato ideale per il gioco in profondità da sempre prediletto da Arians, un amante del rischio downfield. Il braccio c’è, la produttività pure, Winston è già detentore del record di franchigia per passaggi da touchdown in carriera (seppure, va detto, la concorrenza non fosse straordinaria…), serve quindi solo un reset mentale per una miglior consistenza, e se c’è una persona adatta al compito è proprio Arians, un coach divertente e diretto che tutti ascoltano, una persona che predilige i concetti semplici e chiari, proprio il rimedio che serve ad un quarterback ancora in cerca della sua identità.
Arians porterà con sé Todd Bowles in qualità di defensive coordinator, riformando la coppia vincente dei tempi ai Cardinals e restituendo al coach uscente dei Jets un ruolo senz’altro a lui più adatto. Eccellente nel redarre i piani partita difensivi, Bowles ha vissuto un biennio di alta qualità tra il 2013 ed il 2014 quando la difesa di Arizona è stata una delle migliori della Nfl, distinguendosi per la sistematica capacità di generare big play, una delle maggiori aree di necessità per dei Buccaneers andati a concedere quasi 464 punti in stagione, secondo peggior risultato di Lega. Il nuovo offensive coordinator sarà Byron Leftwich, originariamente quarterback dei Jacksonville Jaguars e proveniente anch’egli dallo staff di Arizona, che eseguirà personalmente le chiamate.
Con questi presupposti, i margini di miglioramento dei Buccaneers sembrano essere migliori rispetto alle altre squadre che hanno recentemente cambiato allenatore.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Mah, Le Fleur a Green Bay secondo me può fare bene, portando freschezza e…maggiore attenzione per la salute ed il talento di Rodgers. I miei Delfini navigano a vista come sempre, anche se Flores è una buona ed oculata scelta. Certo, il problema numero uno resta il reperimento di un Qb. Tannehill è stato un fiasco sin dall’inizio, preso al draft 8 anni fa per disperazione, nella speranza che diventasse quel franchise Qb che nessuno avrebbe mai pronosticato data la mediocre carriera universitaria. Per il 2019 i casi sono due: o si va pesantemente su un free agent (ma chi? Forse Foles? Non vedo molto altro…) oppure si prende un onesto carneade, si chiude una stagione da 2-14 e si sceglie altissimo nel draft 2020. Più proabilre la seconda ipotesi…, tanto anno più o meno per una franchigia che
…di anni ne ha sprecati a iosa!