Dov’eravamo rimasti una delle ultime occasioni in cui avevamo affrontato l’argomento Patriots? Bisognerebbe indietreggiare di qualche mese e scovare qualche vecchia considerazione scritta su questa franchigia, solo per accorgerci che le considerazioni attorno ad essa sono destinate a presentare una natura ciclica, in grado di cancellare un’affermazione fatta o scritta troppo di fretta da tutti coloro in grado di sfidare mentalmente Bill Belichick ed i suoi scudieri, spacciando tutto per una crisi sopravvalutata, o che forse non c’è neanche mai stata.
New England ha costruito il suo invidiabile prestigio continuando a stupire un pubblico che la desiderava a terra, agonizzante, godendo dei suoi insuccessi al Super Bowl dimenticandosi troppo distrattamente di una bacheca degna di un tesoro egizio. E’ una longevità resa possibile dal saper cambiare pelle a seconda dell’avversario che si deve fronteggiare, un po’ com’erano riusciti a fare proprio i Chargers una settimana fa giocando la quasi totalità degli snap con sette defensive back contro i Ravens, con la differenza che è stata la compagine losangelena, stavolta, a recitare il ruolo della vittima sacrificale.
A guardare i semplici numeri (41-28 il finale) non sembra una disfatta di epiche proporzioni, ma di fatto lo è stata, ed il merito va attribuito esclusivamente alla versatilità che i Patriots hanno dimostrato in ciascuna serie di giochi andata a referto. Un piano di gioco eccellente non solo nella stesura pre-gara, ma pure nell’esecuzione, perché va pur sempre ricordato che poi sono sempre gli undici là fuori a dover reperire le giuste sincronie per muovere adeguatamente la macchina, e che il concetto di squadra non dev’essere superato da nessun altro pensiero.
Belichick perfetto non lo è altrimenti sarebbe una divinità, ma trova più spesso degli altri – e con maggior efficacia – la strada per il successo. Ed ecco che ci ritroviamo ancora a disquisire dei medesimi argomenti, di come New England sia riuscita a farsi un baffo dell’ottava miglior difesa in regular season per punti concessi – la stessa che ha atterrato in ben sette occasioni Lamar Jackson dietro la linea di scrimmage annullando il fisico gioco di corse dei Ravens – arrestandone la costante ascesa grazie a 41 punti scritti nel tabellone luminoso del roboante Gillette Stadium, luogo nel quale il terribile freddo può essere temporaneamente sconfitto grazie all’adrenalina fornita dalle prodezze dei beniamini di casa.
I Patriots hanno corso molto bene, lanciato ancor meglio, protetto in maniera magistrale il loro quarterback da Hall Of Fame, diversificando l’offerta ogni volta che lo si riteneva necessario. Josh Gordon è stato un flash – ci scuserete il gioco di parole – ed è già merce appartenente al passato, e per chi era preoccupato per il fatto che si fosse perso così in fretta un potenziale wide receiver primario è giunta la solita e meticolosa risposta da parte di un allenatore che non prende rischi se non calcolati, altra peccaminosa dimenticanza che può costare cara ogni qualvolta la questione viene sottovalutata.
Quindi, fuori di nuovo James White dal cilindro magico dopo un mese di prove tutto sommato non convincenti se commisurate al resto del campionato, ed ecco che improvvisamente la difesa dei Chargers si accorge di non possedere alcuna soluzione per risolvere il caso, lasciando che le 15 ricezioni per 97 yard eseguano danni incalcolabili durante tutta la costruzione dell’insormontabile vantaggio. Magari sarà pure vero che Julian Edelman ha perso un passo dopo l’infortunio al ginocchio dello scorso anno, ma di certo ieri sera non dev’essersene accorto proprio nessuno e non solo per i numeri (9 ricezioni su 13 palloni indirizzatigli, 151 yard), ma soprattutto per il ricco arsenale di double move messo a punto a svantaggio del suo marcatore di turno, e per tutte quelle circostanze dove la sua puntualità nel farsi trovare libero – merito anche degli accorti movimenti offensivi pre-snap – è risultata più che determinante, dimostrando che New England può annientare anche una difesa così forte anche con un Gronk completamente fuori dal piano partita, guardato una sola volta da Brady e fermo a 25 yard.
Alla ricetta va aggiunto uno degli ingredienti più vistosi, Sony Michel, vero mattatore di un gioco di corse che ha permesso un equilibrio offensivo ai limiti della perfezione, ampiamente dimostrabile paragonando le sue 24 portate (129 yard e ben 3 mete in aggiunta…) ai 44 tentativi scagliati da Brady con il 77% di completi, un chiaro segno dell’imposizione dei Patriots nei confronti di un cronometro offensivo giostrato per addirittura 38 minuti schiacciando i Chargers sotto quasi 500 yard di total offense, lasciando Philip Rivers ad accumulare freddo e frustrazioni assortite sulla linea laterale. Le statistiche di Brady non sarebbero state tali senza una linea offensiva mostruosa per dedizione e preparazione, una prova di forza sottolineata dalle statistiche personali di Melvin Ingram e Joey Bosa, terrori combinati di ogni quarterback, sovrastati a livello fisico e costretti a terminare la loro gara con una serie impressionante di zeri nei rispettivi tabellini personali.
Assai differente il pomeriggio trascorso da un Rivers mai vincente in carriera a Foxboro (0-5 complessivo, 0-3 nei playoff), con due sack e sette qb hit, numeri che in ogni caso non possono dimostrare l’abnorme quantità di pressione che il quarterback ha dovuto sopportare senza riuscire a settare correttamente i piedi e centrare il bersaglio, uno svantaggio di non poco conto per uno dei registi meno atletici che vi siano in circolazione. Solo 25 i suoi completi in ben 51 tentativi, con le 334 yard e 3 mete (più un intercetto) a rappresentare statistiche sicuramente gonfiate dalla situazione di comoda gestione creatasi nel secondo tempo, dopo che i padroni di casa avevano accolto l’intervallo con un esplicativo 35-7.
Gettare tutta la pressione su Rivers si è rivelata una scelta consona e consapevole, costringendo il quarterback ad accontentarsi di sparare jump-ball verticali sperando nei centimetri dei due Williams, giochetto che ha fornito risultati in maniera limitata, togliendogli tutte le situazioni di cosiddetto checkdown con le quali la manovra offensiva avrebbe senz’altro goduto di maggior respiro, facendo di Melvin Gordon (26 yard totali ed un’inutile meta) un oggetto completamente estraneo alla partita.
Nessuna novità rilevante per i playoff della Afc quindi. I Patriots giocheranno il tredicesimo (!) Championship dell’era Brady-Belichick la settimana prossima a Kansas City, in un goloso rematch a seguito della grandiosa sfida di regular season che aveva visto New England imporsi per 43-40 contro Patrick Mahomes ed il resto dei fenomeni in rosso.
L’appuntamento è dunque fissato presso l’Arrowhead Stadium con previsioni di temperature non molto differenti rispetto a quelle di Boston, con un’altra settimana di discussioni mediatiche riguardo la possibilità che il vecchio lasci il posto al nuovo.
Non sarà un’impresa facile, tuttavia non si faccia ancora una volta l’errore di sottovalutare l’esperienza di una squadra per la quale i playoff rappresentano una situazione conosciuta nei minimi dettagli, proprio come piace a Belichick, creando una sensazione di agio che molti altri non possono provare per logici motivi.
In ogni caso, comunque andrà, la leggenda si è già arricchita di nuove pagine.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.