La stagione di Alex Smith è finita sotto l’orribile torsione della parte bassa della sua gamba destra, ed ora la pressione monta in maniera ancor maggiore. I Redskins erano sotto attenta osservazione ben prima del disgraziato infortunio, primi nella Nfc East nonostante un livello di gioco molto lontano da quello offerto dalle super-potenze offensive che stanno dominando il campionato, una squadra sempre soggetta a critiche, frustrazione pubblica, conferme di una generica e malevola conduzione che non ha mai portato, nell’era Snyder, ad una stagione veramente vincente.

La pressione, quindi, non è assolutamente una novità portata dall’infausta domenica appena trascorsa.

Alex Smith è a terra: per lui stagione finita.

Washington ha lottato, ma ha perso contro Houston, che ha ripreso l’aereo per il Texas intascando la settima vittoria consecutiva dopo una partenza sciagurata, 0-3. Qualcuno, nella Capitale, starà certamente traendo le opportune conclusioni, se non altro perché si trattava di uno scontro tra due squadre a quota 6-3, bilancio evidentemente proveniente da due qualità differenti, e parità ora rotta dal 23-21 con cui i ragazzi di Bill O’Brien si sono imposti dopo aver rischiato molto, in una giornata molto difficoltosa sia per Smith che per Deshaun Watson, ambedue autori di prestazioni non particolarmente brillanti.

L’oggetto della discussione non è il rating dell’uno piuttosto che dell’altro, qui si tratta di comprendere quale sarà il futuro della squadra nel presente campionato, con Dallas vincente contro Atlanta e quindi staccata di una sola gara rispetto ai rivali Pellerossa, e l’incombente scontro diretto del Giorno del Ringraziamento con in palio la supremazia divisionale e la conseguente partecipazione ai playoff. Arrivare secondi nella debole Nfc East di quest’anno può difatti permettere solamente di guardare la postseason dalla comodità del divano di casa, ed in tal caso non siamo esattamente sicuri che Jay Gruden possa restare troppo certo di mantenere la sua attuale posizione lavorativa.

Ed è qui a fare il suo ingresso in scena Colt McCoy, ieri promettente starter proveniente da una carriera collegiale di grande successo poi bruciata a Cleveland, oggi backup se non altro affidabile e dotato della corretta conoscenza di sistema ed ambiente, dato che la presente è la sua quarta stagione di permanenza presso il District of Columbia. Date le difficoltà offensive patite dai Redskins sembra lecito asserire che non si tratti nemmeno di un cambio di timone così repentino da prevedere sistematicamente un calo nelle prestazioni, perché la presenza di Smith – per colpe da distribuire in ogni caso su tutto l’attacco – non aveva drasticamente modificato la resa del reparto pur avendo contribuito a condurre la franchigia al 6-3 (al momento dell’infortunio) con cui si cominciavano ad intravedere timide speranze di staccare il biglietto per i playoff per la prima volta dal 2015.

Smith termina il suo primo anno a Washington con l’85.7 di qb rating.

I discorsi sono sempre i soliti, è come sfogliare la classica margherita chiedendosi “game manager o non game manager”, dando vita ad una discussione potenzialmente infinita. Che Alex sia un quarterback poco spettacolare è ampiamente dimostrato dai suoi quattordici anni di attività Nfl, anche se più che un game manager lo definiremmo preferibilmente un quarterback di precisione, estremamente attento a non commettere errori costosi e a limitare i turnover, che poi sono tutti discorsi che lasciano il tempo che trovano, perché dipendono moltissimo dalla filosofia offensiva che viene richiesta in una determinata situazione. Andy Reid aveva aperto il playbook di Kansas City troppo tardi, Smith aveva difatti confezionato più di qualche giocata redditizia (leggasi: più lunga di 15/20 yard) in quel di Kansas City ma aveva tuttavia il destino già segnato e sapeva che Mahomes l’avrebbe presto scalzato. Ora, sotto le direttive di Jay Gruden, si è inserito in un sistema che per funzionare ha assolutamente necessità di imporre le corse e di ricercare soluzioni medio-corte dal punto di vista aereo, con rarissime puntate in profondità per generare una continuità nel muovere le catene rimasta solo nei presupposti disegnati su carta.

Fino alla settimana precedente allo scontro con i Texans Smith stava giocando bene, ma le statistiche non lo dimostravano di certo. Dieci passaggi da touchdown possono anche essere equilibrati dai soli tre intercetti – diventati poi cinque, tra cui un pick-six decisivo, sommando l’incolore prestazione di domenica – ma risultano essere una cifra mediocre in una Lega dove Mahomes (fatalità, proprio lui…) ha già frantumato lo specifico record di franchigia già la settimana scorsa, ed i migliori quarterback varcano la trentina di mete scagliate nell’arco stagionale con irrisoria facilità. Va pure considerato che quest’anno Smith, dalla sua, non ha mai avuto né talento né grande fortuna, i principali ricevitori sono caduti con effetto-domino una settimana dopo l’altra dietro all’ennesima campagna caratterizzata da infortuni in serie, ed in ogni caso nemmeno quando tutta la batteria era in completa salute non c’era l’ombra di un ricevitore nemmeno vicino all’essere consistente.

Colt McCoy è l’unico quarterback a roster, la ricerca per un backup è già partita.

Un attacco che naviga al ventisettesimo posto per punti segnati ed al venticinquesimo per yard medie era chiaramente già in difficoltà prima della catastrofe medica, certo che se le basi sono queste e poi dall’equazione si cominciano a togliere Jamison Crowder, il più prolifico ricevitore dello schieramento, Paul Richardson, finito in injured reserve ed unica vera opzione sul profondo, Chris Thompson, alle prese con lunghissimi problemi di convalescenza da una frattura alle costole e running back affidabilissimo in fase di ricezione, nonché tre quinti della linea offensiva titolare, una delle migliori della Lega se in salute, è chiaro che la situazione sia destinata a peggiorare e che più di tante colpe al quarterback non si possano in fondo assegnare, considerati anche i numerosi drop visti cadere a terra in circostanze ad alta percentuale di fattibilità, la poca consistenza di Josh Doctson, ed i comprensibilmente esigui contributi di rimpiazzi come Maurice Harris e Trey Quinn, che fanno intuire una cospicua raschiatura del fondo del barile.

La presenza di McCoy, per i suddetti motivi, non dovrebbe drasticamente alterare né in positivo né in negativo il bilanciamento di un attacco che quando produce nel gioco a terra permette sistematicamente di vincere la partita. Dall’ex-Texas ci si possono attendere maggiori forzature, qualche turnover in più, qualche giocata di gambe proprio come da abitudine di Smith stesso, ma gli schemi offensivi terranno certamente conto di queste propensioni e cercheranno di esporre il meno possibile McCoy a possibili errori decisionali, e tutto parte proprio dal backfield ora capeggiato da Adrian Peterson e ruotato attraverso giocatori privi di esperienza come Byron Marshall e Kapri Bibbs, in attesa di rivedere Thompson pienamente recuperato e potersi godere – a partire dal prossimo campionato – il promettente Derrius Guice, che era stato selezionato proprio per correre in maniera fisica addosso alle difese avversarie.

Cambia dunque il quarterback ma non la formula da applicare, pur sottolineando che la capacità di conduzione della partita offensiva insita in Smith non è certo replicabile con facilità, nemmeno da chi vanta statistiche ben più gonfie delle sue, lui che tra le squadre con bilancio positivo era il meno prolifico del lotto. La ricetta resta sempre quella: contare sulla sorprendente freschezza atletica di un trentatreenne che ha apportato un sufficiente contributo di mete (sei su corsa ed una su ricezione) ma di statistiche comunque altalenanti, sperare in qualche giocata di Jordan Reed e Vernon Davis gli unici ricevitori di fare davvero la differenza, e contare su una difesa che concede valanghe di yard ma che risulta quinta di Lega per punti concessi.

La posizione di Jay Gruden si deciderà nelle ultime sei gare stagionali.

Ciò non nasconde che la già precaria stagione dei Redskins ora sta tremando seriamente. La delicatissima sfida di Dallas dista solamente tre giorni, vincere due volte contro gli Eagles era proibitivo prima e tale resta alle condizioni attuali nonostante le difficoltà di Phila, quindi restano Giants, Titans e Jaguars, non l’élite della Nfl ma comunque compagini che in singola partita – in particolar modo i Titans – sono attrezzate per annullare il miglior pregio dell’attacco di Gruden, il backfield.

Non sarà una passeggiata, ma non lo sarebbe stato comunque, perché già in precedenza Washington dava l’idea di non valere il bilancio che invece la classifica mostrava. In bocca al lupo a Smith, con l’augurio che la lunga riabilitazione segua correttamente il suo corso.

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