Ci sono pochi dubbi, l’annata che stiamo attualmente vivendo sembra inequivocabilmente essere segnata da Rams e Chiefs, gli uni già fortissimi l’anno scorso ma inesperti nell’andare in scena dinanzi al grande pubblico, oggi corazzata non deviabile dal suo percorso vincente, gli altri meravigliosa macchina offensiva di Andy Reid, guidata da Patrick Mahomes con la sapienza di un veterano quale non è. Nel mezzo possiamo inserire tutto e nulla, ma nessuna delle altre concorrenti sembra possedere una potenza complessiva pari a quella delle due protagoniste appena menzionate, non a caso le favorite per approdare alla prossima edizione del Super Bowl.
Nella Nfl, tuttavia, le cose cambiano in un attimo, la storia è piena di upset, risultati mancati, traguardi insperabilmente raggiunti, pronostici saltati per motivi totalmente differenti. Ed è qui che si inseriscono i New Orleans Saints, una squadra che ha giocato un 2017 molto sorprendente e che sta tentando il possibile per ripetersi in questo attuale torneo, una compagine che non vuole certo essere ricordata solo per i grandi ottenimenti raggiunti dal leggendario Drew Brees, primatista ogni epoca per yard su lancio e fresco appartenente al club elitario dei 500 passaggi da touchdown, i Saints vogliono dimostrare di poter costruire dalle ceneri del disastroso epilogo di una gara che avevano già vinto il cui esito è stato modificato dalla genesi del Minnesota Miracle, una delle sequenze più pazze che mai siano avvenute dentro ad un campo da football, che ha drasticamente alterato l’esito dei playoff Nfc dello scorso anno.
Per capire chi sia New Orleans è necessario capire da dove viene. La recente esperienza di squadra aveva vissuto tre stagioni anonime, tre record consecutivi di 7-9 senza quella qualificazione ai playoff che sotto Payton e Brees era diventata oramai una consuetudine, a maggior ragione dopo che quella stessa premiata coppia aveva accompagnato una città disastrata in cima al tetto del mondo, laddove invece è possibile scorgere il panorama più bello. Proprio a causa di quel trio sgraziato di annate, i Saints dello scorso campionato non erano attesi ad un ruolo di protagonisti, tuttavia erano ripiombati sulle scene grazie alla striscia di ben otto vittorie consecutive messe assieme tra fine settembre ed oltre metà novembre, gettando le premesse per riprendersi una cospicua quota di rispetto nel quadro della propria Conference.
Nonostante le maldicenze e le battutine facili, cominciava a formarsi l’identità di una squadra davvero consistente, fatto comprovato – tra le altre cose – da un completo dominio stagionale esercitato ai danni dei Panthers, concorrenti divisionali ma pure agguerriti rivali playoff, senza contare che i Saints erano stati tra le pochissime realtà in grado di mettere in seria difficoltà proprio i Rams, contro i quali avevano perso per 26-20 in trasferta a L.A. misurandosi più che adeguatamente con gli automi offensivi gestiti dal geniale McVay, visionario e creativo un po’ come lo fu Sean Payton ai tempi dei suoi esordi da capo allenatore. Sbarazzatisi per la terza volta di Carolina e Superman, i ragazzi della Louisiana avrebbero poi giocato ad armi pari la gara di Minneapolis, e se il Minnesota Miracle – un evento del tutto fuori dall’ordinario – non avesse avuto luogo, New Orleans avrebbe avuto il diritto di sfidare Philadelphia in finale di Conference, confermando la tangibile meritocrazia della sua grande e sorprendente stagione.
Le circostanze non sono oggi poi così lontane da quelle che furono, perché ancora una volta i protagonisti degli articoli e delle chiacchiere sono altri, ma i Saints si stanno facendo silenziosamente sotto. L’attenzione se l’è presa tutta – e ci mancherebbe – Drew Brees, tutti parlano dei suoi record ma pochi discutono su quali possano essere le ambizioni di una squadra che ha appena vinto – fatalità: contro i Vikings! – la sua sesta partita consecutiva e che la prossima domenica ritroverà proprio i Rams a campi invertiti rispetto al 2017, per un test di mezza stagione che potrebbe far terminare la striscia positiva (la stessa cosa che accadde l’anno passato), oppure lanciare in orbita delle ambizioni che non nascondono il forte desiderio di poter aggiungere un secondo Vince Lombardi Trophy alla bacheca di una franchigia dal passato burrascoso.
L’abbinamento figurativo più logico che si possa fare ai Saints è quello di squadra spiccatamente votata al gioco aereo, ma la presente edizione sta dimostrando che per vincere oggi nella Nfl ci vuole soprattutto versatilità. Le basi quelle sono e tali rimarranno sempre finché Brees e Payton campeggeranno da queste parti, l’attacco genera il secondo miglior numero di punti totali di Lega con 234 e l’ottava miglior produzione aerea di yard, ma tutti sanno che questa struttura non può rimanere in piedi senza un sostanziale contributo del backfield ed una difesa in grado di non spezzarsi nei momenti di maggior necessità, arrivando magari a concedere più di quanto si vorrebbe, ma inscenando gli stop necessari proprio quando la situazione si fa particolarmente calda.
I Saints possono prendersi a fucilate con i Falcons e vincere per 43-37, ma il fatto che Brees debba necessariamente oltrepassare le 400 yard per vincere non sta scritto da nessuna parte. Payton può scegliere un approccio conservativo, chiedere al suo quarterback di compilare il 78% di completi limitandosi a 120 yard con una meta ed un intercetto, e portare ugualmente a casa la rivincita con i Vikings. Con Brees sotto le 300 yard il record è addirittura di 4-0. Il gioco di corse porta solamente la diciassettesima quotazione di yard ma nel computo va chiaramente contemplata l’assenza di Mark Ingram per tutto il primo mese di gioco, ed in ogni caso quelle appena citate sono statistiche d’importanza del tutto relativa se poi si è primi in tutta la Nfl per mete siglate a terra, merito delle sette segnature già apportate dal fenomenale Alvin Kamara, o dell’imprevedibilità di tutto quanto fatto accadere nelle ultime dieci yard dal jolly Taysom Hill. Resta il fatto che Payton può cambiare l’approccio offensivo a piacimento, lanciare quaranta volte o correre trentacinque, e le possibilità di successo non cambiano.
La difesa soffre, certo, ma lotta e produce. E’ la stessa di quei fantasmagorici 48 punti lasciati a Fitzmagic, vero, ma a stagione in corso spesso si migliora, e le correzioni apportate sono visibili ad occhio nudo. Le ultime quattro partite parlano di une media passiva di 20 punti e di una concreta facilità nell’annichilire il gioco di corse altrui, cui va aggiunta l’evidente preoccupazione nel contenimento della fase aerea, ovvero il settore dove la squadra è destinata a stringere i denti per tutto il resto di quest’annata. Spesso i coach avversari hanno lavorato adeguatamente per evitare Marcus Lattimore ed isolare invece lo slot corner P.J. Williams in situazioni svantaggiose trovando spesso successo – e lui ha trovato una piccola redenzione, domenica, con un pick six – per Ken Crawley è invece arrivata la retrocessione in panchina favorendo l’inserimento del neo-arrivato Eli Apple, ma va riconosciuta al defensive coordinator Dennis Allen la capacità di apportare le modifiche necessarie a rendere meglio tra un tempo e l’altro, una qualità preziosa quando l’ultimo quarto entra il gioco nel tirare le somme. In fin dei conti l’occasionale emorragia ci sta, l’importante è fermarla al momento opportuno.
E non dimentichiamo il grande lavoro del fronte, ed il fatto che domenica scorsa Kirk Cousins abbia tentato il 49% dei suoi passaggi sotto pressione: Sheldon Rankins e Marcus Davenport stanno pasteggiando grazie all’accumulo di interventi dietro alla linea di scrimmage, Cameron Jordan è una minaccia costante, ed i blitz di Demario Davis sono spesso letali.
I Saints di quest’anno hanno vinto e convinto presentandosi un po’ in tutte le salse. Quante altre squadre Nfl possono cambiare maschera e sostenere comunque il loro successo? Siamo pienamente convinti che ciò non sia affatto relazionato alla magia del perenne Carnevale locale, la squadra di Drew Brees è una concreta realtà capace di misurarsi con tutto e tutti, quanto basta per mettere in allarme anche quelli che tutti ritengono essere più forti degli altri.
Rams e Chiefs sono avvisati.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.