1) LA DEBACLE DEGLI EAGLES POTREBBE PESARE A FINE STAGIONE

La sconfitta subita dagli Eagles all’interno delle mura amiche contro una concorrente-playoff della Nfc porta un differenziale di soli quattro punti, ma le conseguenze potrebbero pesare dieci volte tanto. Accade, in Nfl, e accade spesso, di guardare una partita e pensare di non capirci assolutamente nulla. Philadelphia ha contribuito non poco alla formazione dell’opinione appena espressa, in quanto una gara letteralmente dominata quasi da capo a piedi si è trasformata in una disfatta difficilissima da processare all’interno del proprio apparato digerente, sia per come si sono evoluti i fatti, sia per il concatenamento di eventi che rende la classifica ciò che è oggi, la quale vede la squadra di Doug Pederson titolare di un bilancio negativo quasi alla boa di metà campionato e con sempre minori margini di errore da potersi giocare man mano che la stagione avanza inesorabilmente verso i suoi punti più caldi.

Nel football può succedere di tutto, verissimo, ma ciò non rende una resa di questo tipo più facilmente spiegabile di quanto non lo sia. Gli Eagles sono stati comodamente avanti per 17-0 per larghissimi tratti di gara, tanto che ad un certo punto del primo tempo il tabellino personale di Cam Newton segnava ancora 5 yard totali di produzione, una statistica allucinante che dava l’idea della perfezione del piano partita messo a punto dal coaching staff di Phila, e nulla, a livello visivo/emotivo, aveva dato l’idea che l’attacco di Carolina fosse quantomeno vicino a risvegliarsi dalle enormi difficoltà vissute per la maggior parte del pomeriggio trascorso al Lincoln Financial Field. Il tutto è accaduto in una giornata dove Carson Wentz ha trovato Zach Ertz ad occhi chiusi e rinsaldato il suo forte legame con Alshon Jeffery, rientrato dall’infortunio alla spalla in forma a dir poco smagliante, e la statistica più assurda corrisponde alla percentuale di completi ottenuta da Wentz, 81% con addirittura 37 tentativi di passaggio, una quantità numerica che dovrebbe – ed è obbligatorio l’uso del condizionale – garantire la vittoria a qualsiasi squadra in qualsiasi circostanza se abbinata ad una contemporanea e totale cancellazione dell’attacco avversario.

Il tutto appare maggiormente incredibile se relazionato al drive di ben diciassette giochi che ha coperto 94 yard e portato via nove minuti e mezzo dal terzo quarto, terminando proprio con la meta del 17-0, uno scenario perfetto che ha evidentemente fatto sentire troppo a loro agio degli Eagles i quali hanno in seguito concesso tre serie di giochi vincenti ai Panthers e sprecato l’occasione della vittoria perdendo un fumble costosissimo dopo che Jeffery aveva ancora una volta seminato il panico tra le secondarie ottenendo una penalità a proprio favore. Lo svolgimento dei fatti pare proprio confermare che Philadelphia non ha grossi problemi, se non quelli che riesce a crearsi di sua spontanea volontà. Ci sono tantissimi scontri divisionali con cui rimediare ad un passo falso inconsueto, ma quando i conti saranno fatti occhio a non rimpiangere nulla…

2) LA DIFESA DEI REDSKINS CONTINUA A GENERARE VITTORIE

Per la seconda settimana consecutiva i Washington Redskins sono salvi grazie all’esito per loro positivo dell’ultimo gioco della partita, un epilogo che sarebbe necessario scongiurare quanto prima dato il cospicuo ammontare di regali che le squadre avversarie stanno offrendo ai ragazzi di Jay Gruden. Nella Capitale ci si stanno prendendo dei rischi grandissimi, e la fortuna ha girato dalla parte corretta in parecchie circostanze, ma non è scritto da alcuna parte che debba necessariamente continuare così. La più evidente acquisizione della offseason è stato Alex Smith – Adrian Peterson è arrivato per esigenze di coprire gli infortuni – ma il reparto che meglio sta rendendo è la difesa di Greg Manusky, la quale ha resistito eroicamente alle insistenze di Carolina e Dallas nel voler recuperare i rispettivi svantaggi giocando un football di tempismo e indubbia sostanza.

Dopo i due fumble occorsi a D.J. Moore la settimana scorsa, la difesa ha profondamente segnato anche questa nuova affermazione arrivata in uno scontro determinante per la testa divisionale, peraltro con una puntualità devastante. D.J. Swearinger, non nuovo a giocate di questo genere quest’anno, ha assestato il colpo che ha fatto perdere palla a Prescott in occasione di un quarto e uno occorso del primo periodo, ma più d’ogni altra cosa è stata di capitale importanza la giocata di Ryan Kerrigan nel quarto decisivo, uno strip-sack che ha permesso una meta di Preston Brown rivelatasi determinante per il risultato finale.

Ed è esattamente qui che risiede la questione principale, in quanto Kerrigan è capitato addosso a Prescott a cinque minuti dal termine dell’incontro in un giro di eventi che ha portato i Redskins sopra di dieci lunghezze, ma ancora una volta la partita non è stata chiusa adeguatamente da un attacco pur privo di tre elementi importanti – Crowder, Thompson, Richardson – ma clamorosamente incapace di guadagnare almeno un primo down e mettersi il cuore in pace con tempistiche corrette. La difesa ha recuperato due palloni, segnato una meta, tenuto Zeke Elliott a 2.2 yard per corsa, ed è davvero impensabile permettersi di chiedere qualcosa in più. Anche stavolta l’attacco ha segnato solamente sei punti nella ripresa, restando perfettamente in media con il resto della stagione, uno spreco del quale non ci si può più permettere il lusso, non potendo sempre contare su un incompleto in endzone all’ultimo secondo o su un palo preso da un kicker dopo una penalità rocambolesca, che ha distanziato il buon Brett Maher di 5 yard dal bersaglio.

Continuando a giocare con il fuoco, non ci si potrà che bruciare.

3) I CHARGERS SONO IN STRISCIA VINCENTE, MA ATTENDIAMO TEST PIU’ IMPORTANTI

Non è semplice tastare con mano la consistenza di una squadra, perché una mini-striscia di vittorie può essere giudicata in tanti modi differenti. Di certo si può asserire che i Chargers non siano quelli di inizio stagione, che la squadra si sia sufficientemente raddrizzata per cominciare a rispecchiare le aspettative del pre-campionato, e che servano ulteriori test per capire veramente dove la franchigia sia veramente diretta, contando sulla positività del ritrovarsi in una posizione senza dubbio migliore rispetto al torneo scorso, giocato sostanzialmente tutto in rimonta dopo una brutta partenza.

La streak dei Chargers, attualmente pimpante e vegeta, ha messo a tacere 49ers, Raiders, Browns e Titans e si capisce che non stiamo parlando della crème de la crème della National Football League, pur considerando che la difesa di Tennessee è tutt’altro che un facile ostacolo da valicare e che talvolta il successo è giunto facendo più fatica del dovuto. Tuttavia storia insegna che contano di più i numeri alti quando si tratta di osservare la casellina delle vittorie, ed a Los Angeles la stessa sta aumentando le sue proporzioni di settimana in settimana. L’aspetto più importante è sottolineato dalla crescita degli ultimi pezzi offensivi che dovevano già tempo fa completare il quadro gestito da Anthony Lynn, con un Philip Rivers ancora pienamente efficiente – si viaggia a 117.8 di qb rating – e la sicurezza di possedere uno dei migliori running back di quest’epoca, lo stesso Melvin Gordon estromesso dalla partita giocata a Londra da un problema al quadricipite dell’ultimo minuto. I Chargers hanno vinto lo stesso, ed è il primo aspetto che colpisce, mentre il secondo riguarda la particolare produzione di giocate altamente spettacolari e produttive di Tyrell Williams, firmatario di tre mete negli ultimi due incontri, nonché primatista di squadra in termini di touchdown ricevuti in co-abitazione con l’altro Williams, Mike, il quale dopo i problemi fisici che ne hanno contraddistinto l’annata da rookie si è rivelato essere la minaccia profonda che questo attacco aveva necessità di abbinare alla costanza di Keenan Allen.

La difesa è senza dubbio cresciuta, ma anche qui ci sarebbero considerazioni da eseguire che dovrebbero tener conto della qualità degli avversari affrontati. Le ultime tre uscite parlano di 14.3 punti al passivo di media contro due quarterback in piena crisi (Carr, Mariota) ed uno in rampa di lancio (Mayfield), il che fa presumere di dover possedere ulteriori prove – ad esempio una dimostrazione di forza in trasferta a Seattle dopo la meritata bye week – prima di assegnare i Chargers alla fazione delle possibili contendenti al trono dell Afc. Le uniche due sconfitte dei californiani portano i nomi delle due squadre più forti dell’intero panorama professionistico, Rams e Chiefs, e sarebbe interessante capire che confronto ne verrebbe fuori oggi dopo tutti i progressi ottenuti dai Chargers per arrivare a questo più che positivo 5-2.

Per i ritmi che sta tenendo l’attacco e vista la capacità della difesa di generare palloni persi, fattore che potrebbe essere alimentato dal prossimo rientro di Joey Bosa, non c’è motivo di pensare che i Chargers non possano misurarsi quantomeno degnamente con il resto della concorrenza che vuole i piani alti, il calendario offrirà molta generosità grazie agli impegni contro Raiders e Cardinals, parte del cammino dei prossimi 30 giorni di attività, per poi non scherzare più. Rivers sta conducendo una delle stagioni più prolifiche di una lunga ed onorevole carriera, Derwin James sta dimostrando di essere stato un letterale steal del primo giro del più recente Draft, e Lynn sta ottenendo dai suoi ragazzi la consistenza che avrebbe desiderato nella prima metà del 2017, che con una minor propensione all’errore (ed uno special team migliore) avrebbe senza dubbio visto la squadra presenziare ai playoff, un gettone che questa stagione dovrebbe trasformare in realtà quanto prima.

4) LA DIFESA DEI RAVENS STA TORNANDO GRANDE

Il reparto difensivo è sempre stato ciò che ha contraddistinto i maggiori successi della storia dei Ravens, con grandissimi nomi in grado di fornire quell’attributo di leggenda alla franchigia e collettivi a dir poco mostruosi, in grado di intimidire, picchiare duro, e non concedere yard nemmeno versando sangue sul campo. Quest’anno, a seguito di un notevole numero di stagioni difficoltose rispetto alle abitudini della squadra da quando John Harbaugh ne dirige le operazioni, le quotazioni del reparto storicamente più efficiente di Baltimore è tornato ad offrire sostanza e determinazione, annichilendo la maggior parte degli attacchi sino a questo momento affrontati, e le conseguenze dei notevoli progressi già in parte iniziati nello scorso torneo sono tra le principali motivazioni del più che positivo inizio di campionato della squadra basata nel Maryland.

Magari si sarebbe potuto fare meglio del 4-3 attualmente detenuto, tuttavia non sempre i conti vanno fatti con le cifre esatte e vanno smascherati alcuni aspetti determinanti che possono intervenire a modificare l’esito delle partite, come l’extra-point sbagliato domenica da Justin Tucker – il primo di carrera! – di fatto la differenza che ha consentito ai Saints di imporsi sui Ravens. Nessuno può garantire che Baltimore avrebbe poi vinto qualora la situazione si fosse poi assestata sul pareggio, e nessuno può tuttavia nemmeno sostenere il contrario. I fatti ci raccontano che la squadra di Harbaugh ha perso di un punto contro uno degli attacchi più possenti di tutta la Lega tenendo Drew Brees a 212 yard, Kamara a 75 yard di total offense, ed Ingram a 42, consentendo 24 punti al secondo reparto più produttivo della Nfl dopo quello di Kansas City.

Le motivazioni sono molteplici, e la disciplina con cui questo mix tra veterani e giovani in rampa di lancio sta eseguendo gli efficaci schemi del nuovo defensive coordinator Don Martindale sembra essere il primo componente della lista. La comunicazione non manca e di conseguenza l’applicazione sul campo dei concetti è molto vicina alla resa desiderata, merito dell’aver recuperato la gran parte degli stessi volti che c’erano l’anno scorso, della fortuna di non aver subito infortuni gravi, e di aver goduto di un’idonea profondità del roster quando le circostanze lo richiedevano, sostituendo qualche giocatore assente per due o tre settimane – su tutti C.J. Mosley – senza che l’unità ne risentisse troppo, evitando di ripetere alcuni errori determinanti commessi. Vedasi ad esempio la peggior partita stagionale giocata da Baltimore, la pesante sconfitta rimediata dai Bengals alla seconda di campionato, quando la difesa si è sostanzialmente disunita dopo l’infortunio al ginocchio del principale linebacker della squadra.

L’esperienza e la chimica hanno permesso a Martindale di essere maggiormente flessibile nei compiti assegnati ai giocatori, e di questa libertà, grazie anche all’esperienza accumulata dai più, evidenziando una maturità decisionale dei singoli nel calcolare modi e tempi di intervento nello sviluppo dell’azione. I Ravens hanno dominato più di qualche confronto e si sono misurati adeguatamente contro parte dell’élite offensiva di Lega: il saper approfittare della discesa delle quotazioni morali dei Bengals e delle notevoli difficoltà degli Steelers passa soprattutto da un attacco molto discontinuo, ma possedere una difesa in grado di contenere così tanto i possibili danni non solo riporta alla mente piacevoli ricordi, ma fornisce già un ottimo punto di partenza per il prosieguo del presente cammino.

5) I JAGUARS DEVONO RICONSIDERARE IL FUTURO NELLA POSIZIONE DI QUARTERBACK

Da realtà in cerca di eseguire il passo successivo nella Afc, i Jaguars sono passati ad essere una squadra dal bilancio mediocre e perdente, frutto delle tre sconfitte consecutive ad oggi rimediate a causa di problematiche assortite, che riguardano tanto l’attacco quanto la difesa. Il tema portante di questa settimana – nonché di molte di quelle scorse – è tuttavia Blake Bortles, non abbastanza maturo per assolvere ai compiti richiesti del gestire i possessi senza creare danni, che per molti è sempre stata la differenza determinante nel separare la franchigia dalle ambizioni di Super Bowl. Doug Marrone non è certo uno che le manda a dire, è la stessa persona che l’anno passato aveva proclamato starter Chad Henne per recapitare un messaggio chiaro al titolare, il quale domenica è stato rimosso a seguito dei due fumble che hanno determinato l’ennesima prova offensiva del tutto priva di colore, e che è già stato nuovamente annunciato come titolare per l’imminente trasferta di Londra.

Quindi, da qui in poi, la questione si riduce ad un calcolo della possibile reazione di Bortles all’ennesima situazione di avversità, con la differenza che più passa il tempo e più aumenta la sensazione che non sia lui il quarterback con cui i Jags vinceranno qualcosa di serio. Un elemento da tenere in considerazione è rappresentato dallo status con cui Blake dovrà giocare, con sempre maggior pressione psicologica tradotta in un margine di errore inesistente, e Cody Kessler pronto a subentrargli nel caso Marrone decidesse di averne abbastanza. Un altro fattore da non sottovalutare è l’arrivo di Carlos Hyde, ottenuto via trade da Cleveland, una transazione che potrebbe sopperire alla lunga assenza di Leonard Fournette, il cui infortunio al quadricipite non è ancora risolto. Già l’anno scorso le imprese dell’ex- running back di LSU avevano permesso all’attacco di imporre il proprio backfield ed aprire molteplici soluzioni alle chiamate di passaggio, la chiave per tenere Bortles lontano dalle forzature e consentirgli di gestire la partita senza troppe preoccupazioni.

I Jaguars potrebbero ripartire proprio da qui, da un sistema simile a quello del 2017 che aveva generato diverse vittorie, e che non era più stato applicabile proprio a causa delle noie fisiche di Fournette. Hyde è un running back in grado di correre con efficacia in mezzo ai tackle, è fisico e produttivo, e può permettere quella continuità nello spostamento delle catene di cui Jacksonville ha assoluta necessità per raddrizzare la rotta della sua nave. Rimane inoltre da capire se Bortles avrà ancora la fiducia di tutta la squadra, se la frustrazione per una stagione di grandi proclami ma che sta affondando sormonterà l’effettiva capacità di riprendersi, e soprattutto studiare delle alternative al sorprendente rinnovo contrattuale elargito al quarterback durante la offseason, quando tutto sembrava pronto per un cambio al timone, un contratto che in questo momento non sta tenendo fede alle attese.

6) HOUSTON HA RAPIDAMENTE RISALITO LA AFC SOUTH

Esattamente un mese fa i Texans erano alle prese con una partenza a dir poco difficoltosa, una squadra produttiva ma assai poco concreta in redzone, un numero colossale di sack concessi tanto da far tremare il vecchio record del caro vecchio David Carr, e tre sconfitte consecutive a lasciare già dubbi, dopo nemmeno un mese di gioco, sulle ridotte possibilità di invertire l’inerzia. La squadra non si è persa d’animo, ha lottato ed ha vinto due scontri consecutivi dopo estenuanti supplementari, ed oggi capeggia la Afc South con due partite di stacco rispetto alla concorrenza.

Alcuni problemi sono rimasti, ma le notizie positive sono più d’una. Nelle ultime tre gare la difesa ha concesso 36 punti in totale salendo di conseguenza al posto numero otto della speciale classifica Nfl, e la squadra ha compreso come J.J. Watt sia tornato esattamente quello di prima a seguito dei lunghi problemi di infortunio, raccogliendo già 7 sack, il leader di un pacchetto di pass rusher nel quale sta dicendo la sua – e ad alta voce – anche Jadeveon Clowney, già autore di una meta difensiva. Questo ci fa capire come il reparto fosse ingiudicabile un anno fa, quando Houston perse letteralmente i pezzi per strada di settimana in settimana, ed ora le cose stanno volgendo proprio come coach O’Brien le aveva programmate.

Se nella gara vinta contro Buffalo – la cui difesa ha reso la vita impossibile a Watson – si può ringraziare Peterman per il pick six con cui Jonathan Joseph l’ha portata sostanzialmente a casa, molto interessante è l’analisi delle scelte offensive effettuate contro i Jaguars. Non servono difatti 400 yard del quarterback per avere successo nelle ultime 20 yard, e questo O’Brien l’ha pienamente compreso, ed il rientro in piena salute di Lamar Miller, autore del primo centello stagionale, ha rappresentato la corretta chiave d’interpretazione offensiva del confronto. Houston ha concluso due dei tre viaggi in redzone con una meta, e Miller – grazie anche ad una linea che non saprà proteggere, ma aprire i varchi sì – ha raccolto statistiche devastanti tra le corsie centrali (83 delle 101 yard corse vengono da lì) firmando anche uno dei touchdown di cui sopra.

Se si cercava il modo di risolvere le enormi difficoltà in redzone dei Texans forse la quadra è stata trovata. Si può vincere anche con Watson fermo a 139 yard ed una meta, una partita onesta e senza compiti straordinari, gli stessi che normalmente portano alle forzature. Non resta che sperare nella prolungata salute di Miller, parte essenziale di un attacco spettacolare sì, ma anche fisico all’occorrenza.

7) DALLAS HA SPESO UN PREZZO TROPPO ALTO PER COOPER

Il disperato bisogno dei Cowboys di inserire a roster un ricevitore in grado di smuovere una batteria dal battito cardiaco assai flebile, a cui immaginiamo di poter abbinare il sempre fervente desiderio di vincere di Jerry Jones, ha portato al classico tentativo di accorciare il percorso, sacrificando un prezzo sicuramente troppo alto per un giocatore che ad oggi, nonostante l’età ancora giovane, non ha mai dimostrato la consistenza della scelta di primo giro.

Amari Cooper ha avuto una carriera molto discontinua. Ricevitore capace di rompere la barriera nelle sue due prime stagioni nella Lega, ha di seguito vissuto una discesa contraddistinta dai problemi fisici del 2017, con i quali ha convissuto per gran parte della stagione, e nel calderone di pazzia che sono diventati gli Oakland Raiders ha alternato gare da 100 yard ad apparizioni con rispettivamente 9, 17 e 10 yard. Come sempre sottolineiamo che i numeri non raccontano tutta la verità e non stiamo sostenendo che Cooper non sia una bravo giocatore di football, perché vorrebbe dire aver sottovalutato la sua capacità di eseguire finte, di battere l’uomo nell’uno contro uno, e la sua precisione nel correre le tracce. Il fatto è che Cooper ha mostrato solo in parte di poter essere un grande wide receiver, e nonostante la convinzione che possa tornare ad esserlo ci sia tutta – giocare lontano da Gruden sarà un beneficio – Jones, da buon affarista qual è, avrebbe dovuto tentare di forzare di più la mano.

l proprietario e general manager dei Cowboys ammette implicitamente di aver sbagliato clamorosamente la strategia di mercato durante la scorsa primavera, e la cosa, visti i fatti, presenta un conto doppio rispetto al previsto. I ricevitori più produttivi sono lo slot receiver Cole Beasley e il rookie Michael Gallup – peraltro reduce da un bellissimo touchdown contro i Redskins – per il resto c’è il nulla più assoluto e l’inconsistenza di Hurns e Thompson, plagiati dai drop, non era semplicemente più sopportabile e di fatto viene a costare un primo giro. Attendiamo poi come di consueto le prove fornite dal campo, senza esse i giudizi definitivi non possono essere dati. Nel caso però le cose non andassero come da previsioni, i Cowboys si troverebbero circa 13 milioni da giustificare sul loro monte stipendi, in quanto Cooper, alla fine dell’anno, beneficierà della fifth year option che i Raiders avevano già esercitato per lui.

Meglio dimostrare di valerli, altrimenti quella prima scelta peserà come un macigno.

8) I BRONCOS NON HANNO PRODOTTO I PROGRESSI SPERATI

Per qualcuno il fatto che Vance Joseph sia rimasto al suo posto alla fine della scorsa stagione è stato un atto di carità da parte di John Elway, dato che – viste le altissime aspettative tradizionalmente nutrite dalla città di Denver – un suo licenziamento dopo un solo anno di permanenza sulla sideline sarebbe stato tutt’altro che sorprendente. I Broncos non sembrano competitivi, il loro general manager ed iconico ex-quarterback non le manda a dire definendo pubblicamente la difesa come soft, ed il bilancio di 3-4, nonostante tutti gli aggiustamenti resi possibili dal mercato, è molto deludente con effetti che si ripercuotono sulle presenze allo stadio.

La settimana scorsa era stata definita una linea ben precisa, tutti avrebbero dovuto giocare per tenersi stretto il posto, un concetto che sicuramente coinvolgeva anche il capo allenatore. La risposta è certamente arrivata, una sonante vittoria contro i Cardinals ha se non altro alleviato la pressione per una settimana in più, tuttavia le vittorie si giudicano anche con la qualità, e battere la peggior squadra Nfl non equivale certo a scacciare una crisi divenuta evidente a tutti. Di certo manca la stabilità degli anni d’oro, quelli di Pat Bowlen, quando Elway era in campo a lanciare passaggi da touchdown: negli ultimi sette anni gli allenatori sono stati tre, i coordinatori offensivi quattro, i coordinatori difensivi quattro, i quarterback partenti ben sei. Il quadro proposto quest’anno non aggiunge sostanzialmente nulla di positivo, perché Joseph potrebbe diventare il quarto head coach ad essere sollevato dall’incarico (il prossimo mese di gioco sarà determinante, da quanto si sente) e Case Keenum non sembrerebbe essere una totale sicurezza in termini di soluzioni in regia a lungo termine, nonostante il ricco contratto firmato in offseason.

Elway ha comunque delle colpe evidenti da espiare. Le sue scelte non hanno dato buoni frutti se si pensa al fatto che, della classe del Draft 2017, è rimasto il solo Garrett Bowles. Paxton Lynch è attualmente disoccupato. Clinton McDonald e Marquette King, due firme di offseason, sono già stati tagliati. Le cattive decisioni di business si riflettono anche sulla profondità dei backup, perché gli infortuni bisogna prevederli, e la qualità dei giocatori di riserva è essenziale: Denver ha patito grossi problemi per la linea offensiva e per le secondarie, con la guardia Ron Leary fuori per la stagione ed i defensive back ridotti così male da concedere troppi big play per motivi di semplice stanchezza o mancanza di un rimpiazzo adeguato, ed una volta terminate queste considerazioni le responsabilità non possono che direzionarsi verso Elway, che ha plasmato questo roster così com’è ora con un numero maggiore di errori rispetto a quanto azzeccato, con particolare riferimento al ruolo di quarterback.

9) I TITANS DEVONO MIGLIORARE IL LORO REPARTO RICEVITORI

Esclusa solamente la netta sconfitta contro i Ravens, il record di 3-4 non è veritiero nei riguardi dell’effettiva qualità della squadra allestita da Mike Vrabel, e dato che sulla difesa si può discutere assai poco, l’attenzione non può che andare verso l’altra parte del campo. E’ una questione di quarterback? Sì, anche, ma non del tutto. Siamo difatti abituati a cercare le colpe nella persona più importante dell’attacco quando ci sono invece undici persone che si stanno muovendo all’unisono per creare un’azione produttiva, in ogni frazione di secondo che intercorre tra lo snap ed il lancio o la corsa succedono decine di eventi che condizionano lo sviluppo del gioco.

Portare una particolare attenzione al numero di drop commessi dai ricevitori dei Titans potrebbe non solo esentare Marcus Mariota da alcune responsabilità, ma in alcune circostanze avrebbe potuto anche significare una vittoria invece di una sconfitta, e non saremmo qui a parlare di una squadra dal record perdente. Sì, i Titans valgono molto di più, la difesa è parecchio tosta nel gioco aereo, la pressione non manca e il rendimento nel contrasto delle corse aumenta quando ci si trova nelle ultime venti yard, un particolare che può fare tutta la differenza del mondo. Con alcune giocate in più – esatto, in più, perché non sono mancate – dei ricevitori avremmo probabilmente goduto di risultati più rotondi del 9-6 con cui si è vinto contro i Jaguars, e si sarebbe potuta tranquillamente evitare la sconfitta contro i Bills per un solo punto.

L’assenza di Delaine Walker, il fulcro delle opzioni offensive degli ultimi anni, pesa parecchio se relazionata all’assenza di un talento di quelli veri. Il più vecchio tra Taywan Taylor, Tajae Sharpe e Corey Davis ha 24 anni, ma qui non è una questione solo di età e prospettive, si tratta di capire se il giocatore possa crescere ancora, e quanto. Al momento le indicazioni paiono arrivare da Davis più che da ogni altro, manca ancora della costanza ma il potenziale c’è, come dimostrano le eccellenti cifre accumulate contro Philadelphia in uno scontro che senza le sue 161 yard con annessa meta i Titans avebbero molto difficilmente volto a loro favore. Il problema sono appunto le 83 yard ottenute nelle successive tre gare, frutto anche di alcune prese determinanti – tipo un terzo down di facile conversione contro i Chargers – lasciate cadere a terra con puntualità. Sharpe sembrerebbe invece un ricevitore perfetto per muovere le catene, è il giocatore più cercato da Mariota nelle conversioni di terzo e lungo, con otto delle sue ultime dodici prese arrivate a convertire proprio situazioni di questo tipo, un tratto che delinea la figura di un giocatore dal ruolo specifico, e quindi non primario. Taylor è molto veloce ma le mani non sono affidabili, il che sembrerebbe relegarlo ad essere un ottimo giocatore di special team e nulla più.

Difficilmente si potrà risolvere il problema portando inesperienza ad altra inesperienza, per cui è più facile immaginare i Titans operativi nel mercato dei free agent o via trade, piuttosto di dedicare un’altra prima scelta alla causa aspettando di veder crescere il prossimo ragazzo. L’attesa si è già fatta piuttosto lunga.

10) IL CAMBIO DI CULTURA STA PORTANDO DIVERSI BENEFICI AI LIONS

Ci si divertiva un sacco a guardare Stafford colpire Megatron per giocate da sogno, ma la realtà, per un motivo o per l’altro, ha sempre consegnato sentenze differenti. Conta lo spettacolo ma conta anche vincere, e la storia pone etichette a seconda dei risultati che si sono ottenuti. Detroit, da questo punto di vista, non è una delle migliori squadre Nfl, dal momento che dal 1999 ad oggi sono arrivate solo quattro qualificazioni ai playoff ed il relativo record è di 0-4. Matt Patricia è arrivato per correggere le tendenze, e se normalmente ci si aspetta da un allenatore che sistemi prima di tutto il reparto di cui è esperto – in questo caso la difesa – nella Motor City si può felicemente affermare che non è del tutto così.

Che fosse giunto il momento di calmare i grandi numeri del quarterback da Georgia era evidente già da qualche tempo, ma d’altro canto l’annosa assenza di un gioco di corse vicino alla decenza, una cosa protrattasi dal ritiro di Barry Sanders, non aveva lasciato altra scelta. Patricia l’ha vista diversamente, Stafford sta tenendo ritmi che lo potrebbero portare al career-low di yard lanciate per le stagioni in cui ha giocato tutte e 16 le partite, e sembra proprio questa la chiave per cominciare a cambiare positivamente la cultura di squadra. La partenza di 1-3 aveva già dato spacciati i Lions per molti, e nulla ci indica che qualora arrivassero ai playoff ne saranno assoluti protagonisti, tuttavia dovrebbe essere chiaro a tutti che i cambiamenti nella Nfl non nascono dal giorno alla notte e che i giudizi vanno sempre dati nel lungo periodo.

Le chiavi di lettura si chiamano linea offensiva e Kerryon Johnson. La prima è stata radicalmente ri-assemblata attraverso le numerose scelte investite negli ultimi tre anni, il secondo si è dimostrato abile nel percorrere i varchi da essa generati, aggiungendo molto di suo per ottenere i cosiddetti guadagni extra. Tutto questo ha consentito ai Lions di vincere in casa dei Dolphins – ivi precedentemente imbattuti – contando sulla sistematica demolizione della difesa, dominata dal fronte offensivo capeggiato da Frank Ragnow, producendo 248 yard totali su corsa (158 del solo Johnson) e vedendo terminare la partita di Stafford con un rating di 138, non esattamente una coincidenza, proprio il cambiamento che Patricia aveva visto per cominciare a creare un ciclo vincente.

Da qui a parlare troppo forte e senza coscenziosità ce ne passa, però a Detroit qualcosa è cambiato: la difesa va ancora aggiustata (in queste ore è arrivato Damon Harrison per tentare di contrastare meglio le corse), ma finalmente, dopo più di vent’anni, qualcuno ha capito cosa serviva per risolvere un problema diventato ovvio per tutti.

 

 

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