La squadra dei New England Patriots, come da copione, ha un inizio di stagione lento e si ritrova con 2 vittorie e 2 sconfitte nel mese di Settembre. Dopo una vittoria incoraggiante contro Houston in casa, i Patriots perdono le due trasferte successive contro Jacksonville e Detroit. La sconfitta contro i Jaguars ci può stare, anche se arriva per demerito della difesa dei Pats – incapace di fermare un attacco guidato dal mediocre Blake Bortles e privo della star running back Leonard Fournette – piuttosto che per merito della rinomata difesa dei Jags. La sconfitta contro Detroit ha decisamente fatto suonare molti campanelli di allarme tra i tifosi dei Patriots: l’attacco orchestrato da Brady non riesce a rimanere sul campo di gioco, registrando innumerevoli “3 and out” e facendo stancare la propria difesa che a fine primo tempo era già con il fiatone. Altro fattore determinante nella terza giornata è il coach dei Lions, Matt Patricia, ex coordinatore della difesa dei Pats. Patricia, conoscendo tutti i punti deboli della difesa dei Pats, riesce a pianificare uno schema di attacco efficace.
Dopo il flop contro Detroit i Patriots si ritrovano con un record di 1-2 e con due partite di svantaggio nella divisione su Miami, partiti a razzo con 3 vittorie di fila. Per molti – incluso il sottoscritto – la quarta giornata in casa contro Miami era una “must win”. I Patriots rispondono positivamente, umiliando la compagine della Florida del Sud. La difesa in particolare si mette in mostra con un piano perfetto, sfruttando efficacemente le lacune evidenti del quarterback Ryan Tannehill. Anche l’attacco mostra segni di vita, specialmente nelle portate del rookie Sony Michel, in ombra nelle prime partite per un infortunio al ginocchio.
Guardando puramente ai numeri, la AFC East è anche quest’anno ad un livello infimo e l’aspettativa – e quella dei bookmakers di Las Vegas – è che ci ritroveremo a Dicembre con i Patriots saldamente al comando, con un record di 11-5 o 12-4, il quale probabilmente garantirà alla compagine di Brady e Bill una bye week (ovvero il diritto di saltare la prima giornata di playoffs e di accedere direttamente al secondo round). Eppure quest’anno si ha il sentore che qualcosa sia cambiato: i Patriots sono sempre stati al top per quanto riguarda organizzazione ed intelligenza di gioco, evitare penalità sciocche, ed in generale, quella capacità di fare squadra dentro e fuori dal campo. In queste prime giornate, si è avuta la sensazione opposta. I giocatori in campo spesso non sembrano riuscire a comunicare o recepire lo schema di gioco, incorrono in penalizzazioni futili e sembra spesso mancare quella lucidità e freddezza mentale che permette di avvantaggiarsi degli errori dell’avversario. In poche parole, i New England Patriots sembrano mentalmente una squadra come le altre, mentre il livello dei giocatori continua a scendere di anno in anno per via di errori in fase di draft o di mercato estivo – e per colpa del tempo che passa. E’ anche evidente che l’enorme trambusto durante la passata offseason e le più recenti rivelazioni stanno giocando un ruolo fondamentale nella psicologia dei giocatori e dei tifosi.
Nella offseason, prima del draft del 2018, erano circolate voci riguardo un possibile trade di Rob Gronkowski. Il presidente Bob Kraft in persona smentì queste voci chiamandole “fake news”, “hogwash” e facendo tutto un discorso su come la società di oggi sia molto vulnerabile a questo tipo di false informazioni fatte circolare per fare ascolti – o click – o per creare problemi ad una persona o una organizzazione. A quel punto, tutti gli addetti ai lavori presero per buona la parola del presidente dei Patriots, non dando ulteriore peso a quelle voci di corridoio.
La storia di un Rob Gronkowski quasi ceduto ai Detroit Lions ritorna sulle prime pagine delle testate sportive il Lunedì successivo alla sconfitta contro Detroit, quando Adam Schefter (ESPN) fornisce dettagli succosi su quel tentativo di trade. Schefter scrive che la trade riguardava Gronkowski in cambio di scelte nel prossimo draft. L’accordo tra le due società c’era, tuttavia quando Gronk viene a conoscenza di questa trade imminente, interviene per bloccarlo attraverso – di nuovo – Tom Brady ed il presidente Bob Kraft. I Patriots hanno anche tentato di offrire a Gronkowski un’altra destinazione, come i Rams, i 49ers o i Titans.
Tuttavia Gronk era fermo sulla sua posizione: giocare con Tom Brady o il ritiro dalla NFL. A quel punto ogni tentativo di trade fallisce. Un paio di giorni dopo il report di Schefter, nello sconforto del momento dopo la sconfitta umiliante contro Detroit, Gronk non gioca la carta della diplomazia. Al contrario, alla domanda del giornalista di turno, Gronkowski conferma apertamente la storia di Schefter: “Yeah, it happened!”. Gronk continua dicendo che Brady è il suo quarterback e non sarebbe andato da nessuna parte senza Tom. Altro dettaglio succoso del report di Schefter è il fatto che Gronk sarebbe stato ceduto in cambio di un tesoretto di scelte nel Draft del 2018, non in cambio di uno o più giocatori di esperienza. Per capire perché questo sia un dettaglio fondamentale in tutta questa vicenda, bisogna guardare alla intera campagna acquisti – o meglio, campagna cessioni – della offseason più recente.
Bill Belichick nel mercato estivo rinuncia ad alcuni dei giocatori più importanti dell’attacco di Tom Brady: in ordine, i ricevitori Danny Amendola e Brandin Cooks, il running back di terzo down Dion Lewis, il left tackle Nate Solder. E ora Gronk ci conferma che anche lui faceva parte di questo piano di cessioni di massa, la cui trade non è andato in porto solo grazie al presidente Kraft che ancora una volta impone il proprio veto sulle decisioni di Bill. Ma qual era il piano di Belichick esattamente? Un osservatore esterno direbbe che i Patriots erano in “rebuilding mode”, ovvero quel volta pagina che una squadra vecchia si trova obbligata a fare nell’ottica di ricostruire una nuova squadra giovane e competitiva per un futuro non proprio immediato. Il fatto che Gronk sarebbe stato ceduto per scelte future piuttosto che giocatori di esperienza alimenta la tesi di un Bill Belichick pronto a smantellare l’intero attacco.
Eppure, l’idea del rebuilding non ha senso nel contesto dei Patriots. Nel Dicembre 2017 il pupillo di Bill Belichick, quarterback Jimmy Garoppolo, viene ceduto ai 49ers per una seconda scelta nel draft del 2018. Memorabile fu la conferenza stampa di Bill a seguire, in cui esprime il proprio rammarico personale per la cessione di Jimmy, sottolineando come per 4 anni avesse investito tempo e dedizione per crescere il giovane quarterback in quello che un giorno sarebbe stato il successore di Tom Brady. Da allora, la direzione dei Patriots è chiaramente e apertamente quella di “andare all in” e massimizzare i risultati negli ultimi anni di Tom Brady – questa stagione e forse la prossima – piuttosto che pianificare per il futuro post Brady. E allora, come spiegare da un lato la cessione di Garoppolo e dall’altro lo smantellamento – riuscito parzialmente – dell’attacco?
La risposta è semplice: queste sono state decisioni prese da persone diverse con obiettivi diversi, Belichick da un lato, il presidente Kraft sotto le pressioni di Brady e Gronk dall’altro. Sotto quest’ottica si spiegano anche i vari rumor durante l’ultimo draft in cui si ipotizzava Belichick tentare la scalata al quarterback Baker Mayfield, prima scelta assoluta. In sostanza Belichick, dopo vedersi imporre la cessione di Garoppolo, avrebbe tentato di accumulare un tesoretto di scelte da scambiare durante il draft per la seconda o terza scelta assoluta, da utilizzare per acquisire il prossimo Jimmy Garoppolo. Dal punto di vista di Bill, sarebbe stato anche una sorta di vendetta nei confronti di Brady, che almeno in due occasioni (Garoppolo e Gronk) ha forzato l’intervento della presidenza per ostacolare i suoi piani. Le cose sono andate un po’ diversamente, il trade di Gronk fu bloccato dal giocatore stesso – per sua stessa ammissione – e Mayfield venne scelto da Cleveland come prima scelta assoluta, il che avrebbe comunque reso vano il trade di Gronkowsky.
Bill, vista fallire questa strategia piuttosto azzardata, si ritrova in piena estate con un attacco decimato e uno spogliatoio mai così in subbuglio. In extremis si tenta di rimediare, acquisendo ricevitori come Eric Decker, Kenny Britt, Jordan Matthews o Cordarrelle Patterson. Tuttavia, l’unico a rientrare nella rosa di inizio stagione è Patterson, il quale non si è fatto notare durante le prime 4 giornate, se non per la sua abilità di inciampare da solo sul sintetico di Foxboro. L’incognita a questo punto è Julian Edelman, reduce dalla rottura del crociato anteriore che rientrerà nella quinta giornata contro i Colts, dopo aver scontato una squalifica di 4 giornate per doping. Edelman è un giocatore che ha fatto la sua fortuna sui cambi di direzione rapidi ed improvvisi: dovrà dimostrare di aver superato l’infortunio caricandosi sulle spalle l’intero attacco dei Patriots ed evitando allo stesso tempo ulteriori infortuni. Un compito non proprio semplice per il 32-enne ex quarterback.
I Patriots stanotte incontreranno i Colts in casa, entrambe le squadre dovranno gestire la settimana corta. Di solito in questa situazione la squadra che gioca in casa ne risulta nettamente avvantaggiata, potendo quanto meno utilizzare a pieno il tempo disponibile per pianificare la partita. Il pronostico per Giovedì è nettamente in favore dei Patriots, che se tutto va come da copione, si ritroveranno con 3 vittorie e 2 sconfitte solo 10 giorni dopo la sconfitta contro Detroit che ha visto i Patriots subire 2 sconfitte consecutive. Come si dice da queste parti, la vittoria è il miglior deodorante, tuttavia quest’anno servirà un record quasi perfetto per nascondere il malcontento evidente e quasi ostentato tra i giocatori della compagine del New England.