Il terzo posto in division della stagione 2017 è uno di quei risultati che fa un po’ storcere il naso. Non a caso nella postseason subito successiva Atlanta si è fatta valere, battendo in trasferta gli spumeggianti Rams e cedendo solo ai campioni in fieri degli Eagles senza però sfigurare, ma anzi dando ai Vikings usciti vittoriosi per miracolo dal loro divisional il vantaggio del pronostico perché Phila contro Atlanta ha faticato parecchio. Quel terzo posto sta stretto ai Falcons che sul mercato hanno lavorato bene aggiungendo qualche cosina in punti strategici ma continuando a puntare sugli elementi già a roster continuando nel percorso iniziato, che ha subito una piccola interruzione, ma che per certo è il percorso giusto. Una macchia nel mercato è forse la partenza di Dontari Poe, ma che in realtà lascia spazio ad alternative interessanti che vedremo. Il problema è che Poe si è accasato in una diretta concorrente, e questo non è mai furbo.
Attacco
Come detto non ci sono stati grandi stravolgimenti, ma l’acquisizione al draft del prodotto di Alabama Calvin Ridley con la scelta numero 26 ha il sapore di voler puntare da subito a risolvere i problemini in termini di punti segnati per partita che lo scorso anno si sono fermati a poco più di 20. Non tanti per una squadra che ha obiettivi alti. Ridley può essere infatti quell’aggiunta per riportare ai tifosi di Atlanta quell’attacco aereo atomico visto solo due anni fa. Tutti ricordano la bellezza e la micidialità di quei lanci che non sono sopravvissuti all’addio di Shanahan, partito l’anno scorso per diventare headcoach in casa 49ers, una squadra da guardare con moltissima attenzione.
Da attacco numero uno allo scorso anno, Ryan e compagni sono scesi alla piazza numero 8 registrando comunque la bellezza di 364 yard per partita ma sono precipitati alla quindicesima posizione in quanto a punti segnati mostrando un problema in red zone e un attacco senza fantasia. La dirigenza ha mostrato sapientemente di avere pazienza e di continuare con il lavoro di Steve Sarkisian ben consapevoli che le armi a disposizione sono solide: Ryan e Jones su tutti. Matt Ryan infatti è un top qb senza ombra di dubbio e se è vero che i 12 intercetti della scorsa stagione sono un po’ tanti è anche vero che colleziona stagioni su stagioni con 4000/4500 yard lanciate e può dimostrare ampiamente di essersi guadagnato quei 30 milioni a stagione. L’alchimia che cresce con il proprio coordinatore di attacco, un ricevitore top in più e un po’ di fantasia in red zone potranno aumentare il numero di TD.
Ridley sembra quindi arrivare con molta pressione addosso, ma in realtà non è vero perché il ricevitore numero 1 in roster sarà sempre Julio Jones con cui Ryan ha una chimica totale e che lavorando sul fisico potrà evitare di perdere partite importanti come lo scorso anno. La difficoltà nel segnare deriva sicuramente anche dalla sua parziale assenza e non credo ci sarà nessuna ripercussione dallo sciopero terminato poche settimane fa. Jones infatti, pur essendo discutibilmente il miglior ricevitore della lega, non è assolutamente il più pagato e guadagna, per esempio, la metà di quello che Benjamin riceve dai Bills (molto più giovane e con tanto da dimostrare by the way…). Pochi d-back possono tenere Jones e se pensiamo che Atlanta può schierare anche un terzo ricevitore di altissimo livello con Sanu capiamo perfettamente l’acquolina in bocca ai tanti tifosi Falcons.
Anche le corse continuano nel solco dello scorso anno. Freeman e Coleman continuano a spaventare le difese avversarie potendo dare a Ryan la doppia opzione di handoff ma anche di lancio laterale. Non paghi di un duo davvero completo al draft è stato aggiunto Ito Smith che quest’anno vedrà davvero poco il campo, ma in ottica futura è da tenere d’occhio, perché alla scadenza del contratto dei titolari Atlanta dovrà fare i conti con il portafoglio e sarà davvero dura mantenere entrambi i RB. L’attacco sulla carta è tra i più temibili della lega. Con due e tre accorgimenti i numeri del 2015 non sono affatto lontani.
Difesa
Analizzare la situazione della difesa e le mosse fatte in estate ci obbliga a guardare nel complesso la gestione della squadra e del progetto sportivo dei Falcons. Perchè apro così tanto lo sguardo? Perchè le poco comprensibili scelte di lasciar partire Poe e Clayborn (dettate più che altro da esigenze di portafoglio) mostrano una grande fiducia nel lavoro del coaching staff e nelle scelte passate della dirigenza. Forse sto esagerando, ma qui c’è proprio quel sapore della programmazione e del non agire in base alle necessità del qui e ora. Nessuno è infatti arrivato a sostituire i due partenti, questo vuol dire che ci sarà spazio per i più giovani in roster, con la possibilità per il coach di sperimentare, e noi sappiamo bene quanto le difese di Quinn siano malleabili sotto le sue mani e quanto il coach (ex defensive coordinator ai tempi della Legion of Boom) sappia costruire difese organizzate e coordinate, dove le stelle, se ci sono, spiccano e se non ci sono, spicca tutto il reparto. In particolare sarà interessante vedere McKinley, che al 99% percento prenderà il posto di Clayborn, portare in campo la voglia di confermare quanto di buon fatto vedere lo scorso anno con l’esplosività che gli ha portato sei sacks nella stagione da rookie.
Dietro la linea, Deion Jones e Vic Beasley continueranno nel loro ottimo lavoro, con Jones determinante sulle coperture da media distanza e Beasley a caccia di qb.
Quello che però più di tutto colpisce nel reparto dei front seven è la profondità di un roster senza stelle, a parte i citati, ma con tante ottime armi a disposizione dei coach, che potranno andare di fantasia, aggiungendo e aggiustando di volta in volta la propria difesa all’attacco che si affronta, con tutti gli ovvi benefici che immaginiamo, ma anche creando sorpresa e rendendo più difficile per gli avversari prepararsi, perchè a parte poche info raccolte dai video delle partite, per il resto dovranno aggiustarsi sul momento.
Andando ancora più giù la secondaria ripresenta i 4 titolari Allen, Trufant, Neal e Alford. Anche qui tanta qualità e continuità con il passato. D’altronde, perché cambiare se si trova la giusta formula? Interessante l’acquisizione di Isaiah Oliver al draft di quest’anno che potrebbe trovare il campo in alternanza col veterano Poole in nickel formation, ovvero quando si schiera un uomo della secondaria sulla linea di scrimmage. Un ruolo che Poole ha portato avanti alla grandissima e che potrebbe prendere sotto la propria ala protettiva il rookie, sapendo bene che il posto non glielo toglierà, ma che potrebbe crescere in prospettiva futura, quando Poole si avvicinerà alla fine del suo periodo in Georgia, a meno che non cambiano le condizioni del salary cap in casa Falcons. Avere in mano un piano B è comunque un idea saggia.
Bisogna registrare anche qui un’ottima profondità della panchina che fa dormire sonni tranquilli, oltre per le possibilità di sperimentare, ma anche per la tranquillità in caso di infortuni. Un reparto solido, giovane e imprevedibile che si farà notare, aggiungendo qualche W nelle partite punto a punto.
Special Team
Parola d’ordine: continuità. Ottima soluzione quando le cose vanno bene. Tutti i titolari sono di ritorno e l’unico problema sono state le molte flag dello special team e su questo si sta concentrando il lavoro estivo. Nel ruolo di ritornatore, ci sarà una bella alternanza, dando spazio a qualche seconda linea che potrà mettersi in mostra e tornare utile anche come RB o WR.
Tanta continuità quindi, nel segno di un progetto chiaro e di una dirigenza concreta. Cosa si vuole di più? Ad Atlanta abbiamo un clima sereno dove allenatori e dirigenza mostrano una grande fiducia nei propri giocatori in roster mostrando di avere le idee e di non fare le cose a caso. Con un clima di lavoro così motivante Atlanta non può che fare bene e migliorare l’annata (parzialmente) sottotono dello scorso. Il secondo posto in division non glielo toglie nessuno, puntando alle 11/12W.
Si avvicina agli sport americani grazie a un amico che nel periodo di Jordan e dei Bulls tifa invece per gli Charlotte Hornets. Gli Hornets si trasferiscono in Louisiana ed è amore a prima vista con la città di New Orleans e tutto quello che la circonda, Saints compresi, per i quali matura una venerazione a partire dal 2007 grazie soprattutto ai nomi di Brees e Bush. Da allora appartiene con orgoglio alla “Who Dat Nation”.