Prima di partire nell’analisi delle considerazioni che seguiranno è necessario considerare che l’argomento di cui ci stiamo accingendo a parlare sarà da considerarsi ufficioso fino al prossimo 14 marzo, data di apertura del nuovo cosiddetto league year della Nfl, giorno a partire dal quale si potranno inchiostrare firme definitive. Ovvio, nel frattempo non accadrà nulla che possa comportare il ritorno sui propri passi di qualunque parte coinvolta, tuttavia è bene sapere che tutto ciò che verrà scritto e discusso qui, su Espn o in qualsiasi altro luogo idoneo allo scopo, sta campando su base condizionata dal verificarsi di un ben determinato evento.
Premesso ciò, la prossima occupazione di Alex Smith sarà quella di spulciare gli annunci immobiliari cercando una consona abitazione per la sua famiglia in quel di Washington, nel quadro di una trade che trasuda un carattere esclamativo tipico del front office dei Redskins, ben conosciuti per l’audacia (ad effetto boomerang) con la quale spesso hanno condotto i loro affari durante la corrente fase di ingombrante proprietà esercitata da Dan Snyder e da tutta la sua voglia di assecondare il suo ego da ricco e navigato tifoso locale attraverso l’acquisto di tutti i giocattolini che il vil denaro gli avesse potuto permettere.
Per carità, non è assolutamente detto che Smith debba per forza iscriversi al lungo elenco di costosi fallimenti verso i quali i Redskins si sono rivolti per tentare di accorciare la strada verso improbabili vittorie, questo lo sapremo tra un paio di stagioni quando si vedranno i frutti effettivamente prodotti dalla transazione, tuttavia non si può negare che il modus operandi rispecchi da vicino tutte quelle avventate mosse che hanno irrimediabilmente marchiato il passato, attraverso le quali il free agent più ambito veniva puntualmente accaparrato un minuto dopo la mezzanotte del giorno che sanciva l’inizio della free agency (vale la pena ricordare il capolavoro allestito dall’allora general manager Vinnie Cerrato per firmare Albert Haynesworth…) , oppure qualche giocatore dal nome importante ma in chiara discesa di carriera, spesso scambiato per scelte al Draft sacrificando del potenziale giovane ed in prospettiva maggiormente utile alla causa (vero, Donovan McNabb?).
Le prime reazioni sono certamente comprensibili nella loro negatività. 71 milioni di garantito (le cifre esatte, però, non sono ancora conosciute e non è detto che siano queste) non sono certo briciole per un giocatore di 34 anni, ed il tutto arriva ad un costo potenzialmente importante, magari non rappresentato dalla scelta di terzo giro spedita in direzione Kansas City (dovrebbe rientrare come compensation pick quando Cousins firmerà per un’altra squadra), ma dagli ottimi progressi effettuati dal cornerback Kendall Fuller, assai migliorato rispetto all’anno da rookie e rivelatosi versatile al punto di poter giocare tranquillamente sia all’interno che all’esterno, con tutta l’intenzione di piantare un picchetto ben saldo per stabilizzare le secondarie di Washington, che tra le altre faccende di offseason avranno pure a che fare con la free agency di Bashaud Breeland.
Eppure, letta in un’altra maniera, la mossa rappresenta il raggiungimento di una tranquillità che l’ambiente ricercava oramai da anni, spezzando finalmente una fune tirata da troppo tempo. Kirk Cousins, che ha nettamente superato le aspettative ed avrebbe meritato a nostro stretto e personale parere un rinnovo contrattuale commisurando le sue capacità a quelle di altri colleghi più pagati e meno produttivi, costituiva una distrazione da troppo tempo, una questione annosa ed irrisolta che ha in qualche modo corroso la fiducia nei confronti del management, un sentimento non nuovo per chi è affezionato alle sorti dei Pellerossa. A posteriori, è intuibile come il futuro di Cousins nella Capitale fosse legato in maniera cruciale alla figura di Scot McCloughan, improvvisamente sollevato nella primavera del 2017 dal suo incarico di general manager nonché figura che aveva finalmente fatto rinsavire l’ottica gestionale di squadra, l’unico che abbia mai parlato seriamente con il Capitano Kirk mettendo sul piatto motivazioni e traguardi ben chiari prima di cacciar fuori la grana a lungo termine.
Seppur profumatamente pagati (44 milioni di dollari in due anni…) i tag con cui i Redskins hanno immobilizzato Cousins nelle ultime due stagioni hanno costituito il miglior segnale di sfiducia che si potesse mai ricevere, ragione per la quale il destino dell’ex-quarterback di Michigan State pareva già essere scritto, a maggior ragione dopo le offerte ridicole e mal gestite che Bruce Allen aveva fatto pervenire all’agente del giocatore dopo aver preso il posto di McCloughan nelle trattative. Mancanza di eleganza a parte, Washington ha anticipato gli avvenimenti mettendosi al riparo dalle conseguenze, ben comprendendo che un terzo tag sarebbe stato poco sensato ed assai dispendioso, e che il rischio di lasciare che Cousins testasse il mercato solo per vedere la franchigia costretta a pareggiare le esose offerte che sarebbero certamente arrivate con il pericolo di perderlo a parametro zero, non era assolutamente da correre.
C’è poi da considerare, e non sottovalutare, il fattore-Gruden. Per chi ha già cominciato ad affrontare la lunga pausa che separa dal prossimo kickoff inaugurale è necessario programmare con un minimo di stabilità, e già da due stagioni questo non accadeva. Il capo-allenatore il suo messaggio l’ha spedito chiaro e tondo, ed il management ha raccolto il suo senso: niente più contratti provvisori, perché con questo sistema non è possibile lavorare nel lungo periodo e creare i presupposti per costruire qualcosa di vincente. Una consistente parte del significato della trade per Alex Smith è racchiusa esattamente qui, nella necessità di dare alla squadra un giocatore di caratteristiche simili al suo predecessore e di lunghe prospettive (il contratto di Smith sarà rinnovato di altri quattro anni a trade ufficializzata), capace di giocare una filosofia offensiva ad alta precisione come la West Coast Offense, ed ancora più che sufficientemente atletico per eseguire schemi in bootleg o guadagnare preziose yard improvvisando.
Gli effetti della notizia li conosciamo tutti. Il mondo Nfl starà sicuramente ridendo a crepapelle assemblando questa nuova situazione che vede i Redskins sperperare nuovamente le loro risorse riempiendo di dollari la persona maggiormente individuata per giustificare i fallimenti dei Chiefs. Rimane il fatto che una trade è davvero buona quando migliora entrambe le squadre, ed in questo specifico caso le premesse ci sono tutte.
Smith è un quarterback con ottime credenziali di regular season nel rapporto tra touchdown lanciati e turnover commessi, ha esperienza nei playoff più di quanta ne abbia mai avuta Cousins a trent’anni, e le sue caratteristiche tecniche si potranno senz’altro ben sposare con una batteria di ricevitori composta dal promettente Josh Doctson, dai dinamici Jamison Crowder e – salute permettendo – Jordan Reed, senza contare l’indispensabile appoggio fornito dal running back Chris Thompson. I Chiefs, da parte loro, si liberano del capro espiatorio preferito dai media ed aprono con decisione l’era di Patrick Mahomes, mettendo a tacere le chiacchiere ed acquisendo un corner che appaiato a Marcus Peters potrebbe davvero costituire un tandem difensivo molto interessante. E vince anche la terza parte indirettamente coinvolta, Kirk Cousins, che non potrà che portare benefici ovunque scelga di proseguire la sua carriera, viste le chiare insicurezze nello specifico ruolo che Jets, Broncos, Browns e Bills hanno sofferto nell’ultima stagione.
Appuntamento dunque al 14 marzo per le dichiarazioni ufficiali di circostanza e per le prime foto con le nuove uniformi, e poi via, fino a settembre, quando l’unico foro competente nell’emettere sentenze – il campo – ci darà le prime indicazioni su questo specifico argomento.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Alex Smith, non è mai stato, non è e non sarà mai un franchise QB. Non conosco i pick dei Redskins al prossimo draft (evidentemente molto bassi), ma l’ingaggio di Smith non può che preludere ad ennesime stagioni low profile a Washington…. POco braccio, poca personalità carriera mediocre… un perfetto comprimario! Jets e Browns (anche se questi ultimi hanno picks coi fiocchi per il prossimo Draft) con lui avrebbero conseguito un miglioramento nella posizione di QB, non certo i Redskins…