Solamente undici partite -più il Pro Bowl, se per voi conta come partita- ci separano da quell’infinito purgatorio chiamato offseason, quindi adesso per parlare di NFL servirà molta più fantasia e, purtroppo, la speculazione prenderà il sopravvento su fatti concreti e tangibili.
Quest’articolo altro non rappresenta che un modo per essere creativi, e perché no, aprire pure una piccola discussione: io, il grande Davide Lavarra, Andrea “Cern Cornaglia e Michele Comba diremo la nostra su chi dovrebbe vincere ogni premio nella notte degli NFL Awards che avrà luogo a Minneapolis il 3 febbraio.
MOST VALUABLE PLAYER
Mattia Righetti: ed ecco che la fantasia evapora subito, in quanto nonostante tutti i Gurley e Brown di questo mondo, la mia scelta è Tom Brady. Lo so, nell’ultimo mese il numero di intercetti lanciati si è alzato in modo sospetto, ma a 40 anni Tom “Freaking” Brady è riuscito nell’impresa di condurre la lega in yards lanciate, e 32 touchdown a fronte di soli 8 intercetti valgono bene un MVP. Noioso, lo so, ma non lasciamo che sia la noia a determinare se uno meriti o meno questo premio.
Davide Lavarra: Un pensiero va a Tom Brady e ai suoi quarant’anni che sembrano trenta, ma il voto va a Todd Gurley, che ha fornito alla Lega la miglior interpretazione di ciò che furono, a loro tempo, Marshall Faulk e LaDainian Tomlinson. Un running back completo, rinato sotto le filosofie offensive di Sean McVay, un atleta straordinario che ha deciso ogni partita dei Rams, per i quali è stato il vero barometro tra vittorie e sconfitte. 1.305 yard corse, 788 ricevute, 19 touchdown totali. Cifre da migliore della classe.
Cern: Todd Gurley, ovverosia l’arma totale. Gurley ha dimostrato come, con un minimo di guida tecnica (e ci torneremo), è in grado di fare veramente tutto: corse di potenza, solide ricezioni, accelerazioni brucianti, avversari elusi come birilli e la possibilità di creare giocate da TD in ogni occasione. Sebbene il premio normalmente vada a un QB, spero che la scelta cada su di lui.
Michele Comba: dovrebbero darlo a Todd Gurley, per uscire dai soliti schemi e premiare un giocatore che in campo ha letteralmente fatto quello che voleva. Se i Rams hanno vinto la division dopo anni, lo devono soprattutto alle sue infermabili corse. Ma visto che gli USA hanno ancora problemi coi neri e coi premi, lo daranno a Tom Brady. Già ancora lui, ma in fondo finché c’è lui, lui è sempre il migliore, anche in una stagione “sottotono” come questa che lo ha porta “solo” al primo posto in conference, di nuovo, e a essere il qb con più yard lanciate. E ha 40 anni.
OFFENSIVE PLAYER OF THE YEAR
Mattia Righetti: se non avesse perso le ultime due partite Antonio Brown sarebbe stato il favorito per l’MVP… peccato! A lui dunque il “contentino” dell’Offensive Player of the Year: Antonio Brown è il giocatore più determinante di tutta la NFL, con le sue catch è riuscito spesso e volentieri a mettere Pittsburgh in condizione di vincere partite. 101 ricezioni, 1533 yards e 9 touchdown in sole 14 partite? Ma questi sono numeri da MVP…
Davide Lavarra: Antonio Brown, senza dubbio. Ci stava anche uno dei tanti running back candidati, per carità, ma Brown ha vinto da solo alcune partite per Pittsburgh, basti pensare ai touchdown decisivi o alle ricezioni che hanno permesso un calcio che ha di conseguenza vinto una gara. Nonostante abbia giocato quattordici partite su sedici ha vinto la classifica per yard ricevute staccando Julio Jones di quasi un centinaio di yard, ha prodotto 109 yard a gara, ha giocato in maniera irreale.
Cern: pure per me, Antonio Brown. Saranno scelte in controtendenza, ma Brown per un’altra stagione è stato semplicemente immarcabile: oltre 100 ricezioni, oltre 100 yards in otto delle partite giocate, e una sensazione di poter fare quello che vuole quando vuole. Peccato per l’infortunio patito contro i Patriots, la speranza è quella di vederlo in azione nuovamente nei playoff.
Michele Comba: Alvin Kamara. Già, un rookie. Uno che zitto zitto è arrivato in una squadra così così e l’ha rivoltata come un calzino, correndo con una facilità e un divertimento fuori dall’ordinario e facendo dei Saints una seria contendente oltre che vincitrice della division più competitiva dell’intera lega. Ma visto che non si può lasciare Gurley senza premi, e che Kamara ne ha un altro già in tasca… Todd Gurley, per i motivi di cui sopra!
DEFENSIVE PLAYER OF THE YEAR
Mattia Righetti: senza dubbio, Aaron Donald. In sole 14 partite -come Brown!- Donald ha fatto registrare 11 sacks e 91 pressioni, unico interior lineman in grado di superare quota 90: giocatore pauroso, senza alcun punto debole e completo sotto ogni punto di vista. Quest’estate probabilmente riceverà un mega contratto, più che meritato, in quanto nelle quattro stagioni disputate finora si è guadagnato quattro convocazioni al Pro Bowl e tre First Team All-Pro: deve vincerlo lui.
Davide Lavarra: Calais Campbell. Arrivato in Florida dopo una vita in Arizona ha deciso di scommettere sulla rinnovata e ringiovanita difesa dei Jaguars per continuare una carriera giunta appena al di là dei trent’anni, una soglia fatidica per qualsiasi giocatore di football. E’ stato il miglior giocatore della miglior difesa NFL, un leader, un feroce pass rusher, un playmaker in grado di far girare da solo l’inerzia delle gare.
Cern: quoto Calais Campbell. Eddai su, un premio a un Jaguar in questa stagione non poteva non esserci. Da zimbelli della lega ai playoff grazie a un certosino lavoro di costruzione di quella difesa che è già stata rinominata Sacksonville. Campbell, arrivato nell’ultima offseason da Arizona, poteva essere l’ennesimo veterano venuto a godersi il sole della Florida, ma si è trasformato in sack artist implacabile, leader di un reparto che si è distinto per il nulla concesso agli avversari.
Michele Comba: sarebbe forse giusto darlo a Calais Campbell che a Jacksonville a portato quella cazzimm’ ed esperienza che forse un po’ mancavano, ma Xavier Rhodes quest’anno è stato davvero, a mio avviso, fenomenale. Si è imposto come shutdown corner e contro di lui hanno sofferto TUTTI. Non vedo l’ora di vederlo ai playoff, e fatemelo dire, al Superbowl.
OFFENSIVE ROOKIE OF THE YEAR
Mattia Righetti: 1554 yards in soli 201 tocchi e 13 touchdown, sto ovviamente parlando di Alvin Kamara. È imbarazzante quanto faccia sembrare facile una posizione nella quale avere successo è veramente complicato: grazie a lui l’attacco di New Orleans ha trovato un’efficienza ed un bilanciamento che potrebbero portarli lontano in postseason.
Davide Lavarra: Si getta sostanzialmente la moneta tra Kareem Hunt ed Alvin Kamara, e la mia preferenza – dopo attenta analisi – va per il secondo. Il motivo è da ricondurre alla maggiore produttività di Kamara nel complesso, essendosi rivelato una preziosa arma a doppio taglio in grado di procurare giocate di grande importanza sia correndo che ricevendo, trovandosi ad essere sempre costante. 13 touchdown totali sono stati di grosso aiuto per un attacco dove Brees è stato sorprendentemente relegato in secondo piano.
Cern: per me invece è Kareem Hunt, e c’è bisogno di chiederlo? Per me Hunt otterrà percentuali bulgare in questa votazione, in quanto ha messo in quadro da solo il backfield di una contender, che altrimenti sarebbe stato assai misero (il secondo back della squadra ha corso infatti 72 yards in tutto l’anno), e portato i Chiefs a vincere la AFC West. Prossimo passo? Sostanza ai playoff.
Michele Comba: Alvin Kamara. No question. C’è davvero bisogno di spiegare perché?
DEFENSIVE ROOKIE OF THE YEAR
Mattia Righetti: vorrei premiare Reuben Foster, ma ignorare la fantastica stagione di Marshon Lattimore è impossibile. Settimo miglior cornerback nel ranking posizionale di PFF, ha tenuto egregiamente testa a qualsiasi ricevitore incontrato: in una division in cui ci si incrocia due volte all’anno con Julio Jones e Mike Evans, ciò non abbastanza impressionante.
Davide Lavarra: i Saints si aggiudicano anche questo premio avvalorando un draft di ottima efficacia, Marshon Lattimore ha migliorato una difesa con diverse lacune nel gioco aereo in maniera sostanzialmente istantanea. I numeri parlano chiaro, 5 intercetti, una meta difensiva, passaggi battuti a terra in quantità industriali, ma soprattutto la capacità di essere l’ombra del suo ricevitore assegnato è ciò che ha permesso al pass rush dei Saints di essere così efficace.
Cern: rompo la monotonia e vado per Reuben Foster. Nella paradossale stagione dei 49ers, il giocatore scelto nel modo più paradossale ha dimostrato perché il suo talento al netto degli infortuni lo faceva stimare tra le prime 10 scelte del draft. Nonostante sei partite mancate, si è subito imposto come leader della difesa e più di uno sulla baia sta iniziando a intravedere flash di un #52 di nome Patrick che dominava da MLB fino a pochi anni fa.
Michele Comba: ed io ritorno su Marshon Lattimore. Sarò tifoso Saints, ma anche qui non ho dubbi. La sua presenza è stata determinante nel sollevare la difesa nero-oro che scorrazzava al fondo delle classifiche da qualche anno. Ha portato intercetti, fatti anche col culo, ha rinvigorito una secondaria in difficoltà e al primo anno in NFL si è subito preso tutti i ricevitori top senza paura. No fear.
COMEBACK PLAYER OF THE YEAR
Mattia Righetti: non sarai riuscito a farmi vincere il campionato fantasy, in quanto ti sei spento proprio durante i playoff, ma il mio voto è tuo, Keenan Allen. Gli infortuni sembravano aver avuto la meglio su un talento immenso ed aver influito sulla sua pulizia e fluidità nella corsa delle tracce pressoché senza eguali, ma un 2017 da 102 catch e 1393 yards ha ribadito il concetto: quando in campo Keenan Allen è immarcabile per chiunque.
Davide Lavarra: Keenan Allen veniva da due stagioni penalizzate dagli infortuni, che lo avevano costretto ad un totale di nove presenze, la prima a causa di un polmone lacerato, la seconda – durata solo un quarto di gara – per la rottura del crociato anteriore. Quest’anno ha prodotto la sua miglior stagione di carriera per yard ricevute con 1.393 realizzando 6 mete, tornando ad essere il ricevitore primario per un Philip Rivers che grazie a lui è tornato a confezionare big play in serie. Bentornato!
Cern: Ho faticato a decidere in questa categoria, in quanto diversi altri giocatori avrebbero avuto qualche possibilità, tra cui Rob Gronkowski, ma il modo in cui Allen ha risollevato le sorti dei Chargers nella seconda parte di stagione, vincenti in sei delle ultime sette partite, non ha per me paragoni. È una macchina da highlights che si spera resti sano.
Michele Comba: plebiscito per Keenan Allen. Anche se testa a testa con Rob Gronkowski. Il TE di New England, dopo aver perso metà stagione lo scorso inverno quest’anno è tornato a massacrare le difese, chiedete a Pittsburgh, ma se lui è tornato a giocare ai suoi soliti livelli, va premiato quell’Allen che sta giocando il suo miglior football di sempre. Nella seconda metà di stagione ha ricevuto quasi mille yard e convertito una tonnellata di terzi down. Grazie a lui i chargers hanno chiuso la stagione in maniera positiva, nonostante ai playoff ci vadano gli altri.
COACH OF THE YEAR
Mattia Righetti: Bill Belichick è sempre lì, ci mancherebbe, ma io voglio premiare la novità e la freschezza di Sean McVay, il cui acume offensivo ha completamente trasformato una squadra ferma nelle sabbie mobili Fisher per troppi anni. La rinascita di Gurley e l’esplosione di Goff, per quanto semplicistico possa sembrare, vanno pienamente attribuite a lui, ed il fatto che a soli 31 anni sia in grado di essere inserito nella conversazione dei migliori coach ci mette davanti a quello che potrebbe essere, un giorno, un Hall of Famer.
Davide Lavarra: Sean McVay e per quanto mi riguarda il premio poteva già essere assegnato dopo il primo mese di campionato. Pensiamo al contesto: 31 anni, nessuna esperienza da head coach, una squadra totalmente disastrata ed alle prese con un trasloco infelice. La risposta? Vittoria della Division, playoff, miglior attacco NFL per punti segnati con corrispondente resurrezione delle carriere di Goff e Gurley. Un’autentica potenza.
Cern: Sean McVay. Altra scelta assai obbligata, se così si vuol dire, ma McVay ha dimostrato come il gruppo di giocatori, specialmente per ciò che riguarda l’attacco, che pareva di scarso livello e impaurito sotto l’head coach precedente Jeff Fisher, in realtà è un gruppo di valore capace di vincere 11 partite e presentarsi ancora abbastanza integro per i playoff. Dark horse coming?
Michele Comba: Mike Zimmer. Lo so lo so, Rams di qua Rams di là, McVay, McVay, McVay… ma fatemi spiegare perché invece il migliore è stato Zimmer. Perchè Minnesota andrà al Superbowl a sfidare il champ dei champ Brady. Perchè il suo attacco ha saputo giocare con diversi qb e far sembrare Case Keenum un elite qb. Perchè la sua difesa ha tenuto testa a tutti gli attacchi. Perchè i Vikings sono un vera squadra, compatta, che vince insieme e perde insieme. Perchè nei Vikings di quest’anno il singolo si è annullato per esaltare il gruppo e rendere al 110%.
Mattia, 27 anni.
Scrivo e parlo di football americano per diventare famoso sull’Internet e non dover più lavorare.
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Zimmer non ha nè Donald nè Goff nè Gurley, il premio è suo.
E per quanto ammirevole Brady, Garoppolo ha dimostrato che i Patriots avrebbero vinto lo stesso. L’MVP di New England è Gronkowski.
Oddio, non che Griffen, Barr, Rhodes e Smith -per dirne alcuni solo della difesa- siano proprio i primi pirla che passano per strada!
Certo, ma McVey ne deve mangiare di pagnotte… e intanto ne ha appena ricevuta una mica male da digerire.