1) LA RETROCESSIONE IN PANCHINA DI ELI MANNING E’ INDECOROSA
D’accordo, i Giants stanno vivendo una stagione che definire penosa potrebbe ancora non bastare, d’altro canto per trovare una partenza composta da due sole vittorie nei primi dodici impegni è necessario scavare a fondo fino alla seconda metà degli anni settanta, e questo qualcosa dovrà pur significare. Non significa però che l’organizzazione debba spedire segnali di questo genere ad una bandiera rimasta in campo dinanzi a tutte le avversità e pur sempre simboleggiante i più recenti successi di squadra, entrambi pervenuti contro le corazzate guidate da Belichick e Brady.
I dubbi sulla gestione del campionato non possono allora moltiplicarsi dato che sono già sorti da un pezzo, rendendo lecite alcune domande determinanti. Che senso ha far accomodare in panchina Eli Manning se non quello di vedere all’opera un suo potenziale sostituto a lungo termine, dato che trentasette anni sono pur sempre un’età importante per un giocatore e più prima che poi bisognerà cominciare a programmare la fatidica sostituzione? Stando così le faccende allora non troviamo un solo motivo per giustifcare la presenza in campo di Geno Smith, che un bel nulla ha da far vedere e che il futuro dei Giants non lo rappresenta se non da discreto backup, dato che a New York – dall’altra sponda – il ricordo dei suoi fallimenti è ancora vivo.
Ci sono possibili demeriti da parte di Manning o gli si vuol semplicemente risparmiare l’agonia di giungere in fondo a questo imprevedibile disastro? Il primo caso ci sembra da escludere con forza e totalità, perché altrimenti McAdoo avrebbe dovuto lasciare nella cosiddetta tribuna anche signori come Janoris Jenkins e similari, ovvero tutti quelli che hanno mollato gli ormeggi davanti agli occhi di tutti, mentre Manning è rimasto a prendersi colpi gratuiti e dolorosi con un reparto ricevitori ultra-decimato dagli infortuni e con un tight end rookie quale miglior bersaglio a disposizione. Nel secondo caso il timing è quanto meno discutibile, perché dare un possibile mese di vacanza gratuita al proprio franchise-qb ha senz’altro meno senso che risparmiargli – come spesso si usa fare – l’ultima partita di campionato, quando tocca alle riserve.
A New York farebbero meglio ad essere espliciti e chiarire che è guerra aperta con i Browns – che di vincere comunque non ne vogliono sapere – per la prima scelta assoluta, una forma non esattamente velata del tanking più spudorato. L’alternativa era fare piazza pulita levando cortesemente di torno chi ha preso questa decisione e chi non ha fatto nulla per contrastarla, proprio ciò che ha fatto la proprietà in queste stesse ore dando il benservito sia a McAdoo che a Jerry Reese, insabbiando una settimana disgraziata e restituendo ad Eli ciò che gli spetta. Anche se la striscia di gare consecutive oramai è rovinata…
2) I SEAHAWKS NON SANNO COSA SIGNIFICHI DARSI PER VINTI
Spesso, e se seguite queste pagine crediamo che ve ne siate facilmente accorti, abbiamo sottolineato come i Seahawks rendano il doppio o il triplo di quello che potrebbero quando si trovano condannati con le spalle al muro. Mentre molti media hanno scritto la parola fine sul loro campionato un tantino troppo presto, qualcosa dentro ci diceva di avere fede e credere che questa squadra ancora una volta non si sarebbe arresa, utilizzando tutta la sua capacità di coesione tra giocatori, un fattore campo tra i più evidenti di tutta la Nfl, ed un’esperienza ad affrontare avversità di questo genere che fa invidia a tre quarti delle compagini che compongono questa Lega.
Riassumendo abbiamo: una linea offensiva che espone eccessivamente il suo quarterback e che non è abbastanza fisica per imporsi costantemente nel gioco di corse, un attacco rimasto in sterilità per gran parte della prima frazione di campionato, l’assenza di un protagonista certo nel ruolo di running back ed una conseguente rotazione che vede cinque giocatori avvicendarsi a seconda della situazione, ed una difesa priva degli elementi più importanti delle secondarie e non certo invalicabile come due o tre anni fa.
La somma di tutti questi elementi non dovrebbe, almeno nella teoria, portare chicchessia a prendere a schiaffi il miglior attacco Nfl ed annichilirlo tramite la concessione di soli dieci punti, sconfiggendo non di poco una squadra che non assaporava la sconfitta dallo scorso 17 settembre. Difesa dominante, il solito Russell Wilson che se potesse lascerebbe il cuore direttamente in campo per uno qualsiasi dei suoi compagni, Doug Baldwin che confeziona giocate che nessuno avrebbe pronosticato per lui ad inizio carriera (anzi, molti non gli pronosticavano nemmeno quella…), Jimmy Graham che ha ritrovato il feeling con la endzone ed il consueto grande Pete Carroll, che trova risorse dove gli altri non riescono estraendo dal cilindro il Mike Davis della domenica.
Ed ora? Per numerosi motivi la moltitudine ha dato i Seahawks per finiti, ancora una volta troppo presto, come se la lezione non bastasse mai. Indovinate chi si è ricavato un’ottima posizione per qualificarsi alla Wild Card? Mettete il navigatore in direzione nord-ovest degli Stati Uniti, avrete già trovato la risposta…
3) L’INERZIA DEI BILLS HA PRESO LA STRADA SBAGLIATA
Il film attualmente in proiezione in tutte le sale di Buffalo sembra provenire da un copione già visto. Va evidenziato che, al di là di ciò che vorremmo esprimere nel paragrafo, i Bills sono attualmente vivi e vegeti nel rush finale che vede in palio la qualificazione ai playoff della Afc, un 6-6 nell’ingarbugliata situazione della Conference ed una concorrenza non esattamente irresistibile rappresentano pur sempre una discreta situazione per guardare avanti con un minimo di speranza.
Il bilancio di una squadra non va però letto come un semplice numero che fornisce una semplice posizione di classifica, sotto c’è molto di più. Il primo aspetto da sottolineare riguarda quello che la compagine ha ottenuto oggi a differenza di un inizio di campionato molto più sostanzioso, dove le indicazioni fornite erano ben altre rispetto a queste. La seconda valutazione gira interamente attorno a Tyrod Taylor, sostituito a tradimento attraverso una decisione scellerata che rischia di compromettere l’ottenimento della postseason, ed ora infortunato – seppur non gravemente – al ginocchio, con possibilità di saltare un’altra partita e la prospettiva di vedere quindi in campo nuovi disastri combinati dal backup Nathan Peterman.
L’inerzia è drasticamente cambiata, e semmai si dovessero sfogliare i petali della classica margherita scegliendo le pretendenti che campeggiano tra il 7-5 ed il 6-6 in questo momento, probabilmente i Bills sarebbero tra i primi ad essere esclusi per una questione di rendimento dell’ultimo mese e di sopravvenuta mancanza di affidabilità. La squadra non è la stessa del 5-2 iniziale e lo stupore per la buona partenza si è sopito dopo aver meglio compreso i valori effettivi delle avversarie (una vittoria contro Denver ad inizio campionato era clamorosa, oggi è solo un’affermazione scontata contro una squadra mediocre), le incertezze in attacco sono sempre le stesse e la miscela produttiva installata grazie alle prodezze di McCoy ed alla cura del pallone di Taylor medesimo non funzionano con la costanza dovuta, oltre al fatto che la difesa ha visto calare drasticamente il rendimento nei punti concessi, ben 33 di media durante il ciclo attualmente aperto di una sola vittoria nelle ultime cinque uscite.
La fortuna, se Taylor non dovesse recuperare, è rappresentata dalla benevolenza del fato, dato che i prossimi avversari sono i Colts e le possibilità di vincere non sono poi così drasticamente ridotte, ed i Ravens, detentori di ciò che desiderano i Bills, giocano invece il rivalry-game contro Pittsburgh. Il filo è ad ogni modo sottile, se dovesse partire titolare Peterman replicando anche metà degli orrori visti contro i Chargers si potrebbe far calare tranquillamente il sipario, e confermare quella scomoda sensazione di né carne né pesce che i tifosi di Buffalo oramai non sopportano più.
4) LA TRASFORMAZIONE DELLA DIFESA DEI PATRIOTS E’ COMPLETA
A volte ci sembra persino strano, non sembra di parlare della stessa squadra nella stessa stagione. Quella dei Patriots era una difesa sotto assedio, la medesima in grado di scrivere un traguardo storico sgradevole da ricordare, vale a dire quello di essere divenuta la prima di sempre a concedere più di 300 yard su passaggio in sei gare consecutive appesantendo il tutto attraverso la concessione di oltre 26 punti di media e ben diciotto giocate superiori alle venti yard nelle prime quattro partite.
Oggi, a poche ore dalla demolizione dell’attacco dei Bills, parliamo invece di un reparto che ha elargito solamente poco più di 11 punti di media prendendo in esame le ultime otto uscite – tutte coincise con una vittoria – ma c’è un dato addirittura clamoroso da analizzare: mai, da quando Bill Belichick allena i Patriots, la squadra aveva infilato otto gare consecutive tenendo gli avversari sotto i venti punti, una statistica che non può non fare scalpore se colleghiamo la figura di Belichick ai ritmi vertiginosi tenuti da New England in questi anni di autentico dominio. In soldoni, quello che sta facendo la criticata difesa dei Patriots oggi, non l’ha mai fatto nessuna delle squadre che hanno vinto cinque Super Bowl giocandone sette.
In questo momento il reparto coordinato da Matt Patricia sta davvero rendendo ad alti livelli, e nel discorso vanno inglobati anche gli infortuni. La difesa ha dimezzato il numero di big play concessi dovendo trovare differenti combinazioni di cornerback a causa delle assenze di Gilmore e Rowe, ha sopportato la perdita per la stagione di Dont’a Hightower, ha visto giocare raccatti da practice squad o special teamer tappando i buchi quando andava fatto senza risultati disastrosi. Il tutto è sfociato in prestazioni corali eccellenti all’interno della redzone, New England è stata la terza miglior squadra Nfl per efficienza nelle ultime venti yard sommando tutte le ultime otto partite di cui sopra, solo un’altra delle dimostrazioni di forza mostrate da una franchigia cui non bisogna certo insegnare come vincere, e che in questo momento sembra semplicemente essere un treno in corsa con poche possibilità di essere fermato.
5) I LIONS HANNO PERSO DEL TERRENO DECISIVO NEGLI ULTIMI QUINDICI GIORNI
La situazione dei Lions non sembra essere cambiata molto rispetto agli anni scorsi, e le incompletezze della squadra ed i difetti ricorrenti sono vicini a rovinare le aspettative di un’altra stagione partita con auspici differenti. Per quanto Matthew Stafford si sia immolato alla causa rinnovando l’iscrizione annuale al club degli dei della rimonta, Detroit ha giocato male nei primi tempi di troppe partite scavandosi fosse che non sempre il suo magico quarterback riesce a riempire con i noti picchi di rendimento nel quarto periodo.
La partita, come ci insegnano, va però giocata per intero ed il no-show detroitiano dei primi quarti, momento nel quale non si segnano mete da un mese, permette troppo facilmente agli avversari di scappare con il malloppo. Significa giocare con la sorte troppo da vicino, e se qualche volta può andare tutto bene, in differenti circostanze ci si può far male sul serio. Ed i Lions in questo momento di male se ne sono fatti parecchio, perché le ultime due uscite hanno posto la squadra fuori dalla prospettiva playoff giungendo ad un 6-6 che – con Carolina e Seattle a comandare i bottoni della Wild Card- non sa assolutamente di nulla, il che rappresenta il tema portante delle ultime due stagioni condotte da coach Jim Caldwell, mai più capace di ripetere il bilancio di 11-5 ottenuto al suo primo anno trascorso in città.
Le lacune del roster sono semplicemente troppe per tenere fede alle incoraggianti prestazioni di inizio campionato e proiettarle su una stagione intera, c’è troppa pressione su uno Stafford tenuto assieme con il bi-adesivo oramai da troppo tempo (si aggiunge la grana dell’infortunio alla mano riportato domenica…), non c’è possibilità di gestire i possessi perché i Lions non sanno semplicemente correre da circa vent’anni e nessuno degli allenatori giunti in zona è stato capace di ovviare alla pecca, e la pass rush generata dal front seven è del tutto insufficiente. Restituire vita ad un attacco moribondo come quello dei Ravens non è inoltre il modo migliore di proseguire l’inseguimento del traguardo minimo stagionale, i playoff.
Mentre scriviamo ci sono due partite di stacco tra i Lions ed il sesto posto utile per l’accesso postseason: se l’unica arma a disposizione è quella di affidarsi alle rimonte, ci sembra di poter asserire che il polso dei Lions risulti quantomeno debole.
6) LA AFC WEST RIPARTE DA ZERO, ED E’ GIA’ CLIMA-PLAYOFF
Risalendo anche ad un solo mese fa la situazione pareva già ben definita, con i Chiefs i grado di veleggiare tranquillamente verso la vittoria divisionale ed una bye week di postseason sempre più concreta, dato il distacco creato verso la mediocrità di tutte le altre concorrenti dirette. Oggi però Kansas City non sa davvero più come vincere ed è nel mezzo di una crisi difficilissima da scacciare che ha visto il conto divenire ancor più salato, e presentare alla cassa un computo di sei sconfitte nelle ultime sette partite, portando ad un rocambolesco ed incredibile bilancio in pareggio. Il problema è che mentre Kansas City si faceva un lungo sonnellino gli altri hanno smantellato pian piano tutte le distanze, ed ora il numero di squadre ferme a quota 6-6 nella Afc West è salito a tre in un battito di ciglia, grazie alla combinazione di risultati pervenuti nell’ultima domenica.
Nulla è deciso, tutto è nuovamente posto in discussione. Finisse oggi Kansas City avrebbe il tie-breaker a favore e vincerebbe nei calcoli incaricati di risolvere le situazioni di pareggio sia contro i Chargers che nei confronti dei Raiders, ma la realtà dice che mancano ancora quattro gare da disputare e che, di fronte all’improvvisa e longeva impossibilità di vincere dei Chiefs, il livello di fiducia nei loro confronti è drasticamente colato a picco. L’operato di Kansas City costringe ora la franchigia a respirare con netto anticipo l’aria della postseason, perché adesso ogni gara potrebbe compromettere in maniera incontrovertibile una stagione cominciata dominando.
Sarà divertente capire la reazione di Alex Smith e dei suoi compagni dinanzi all’enorme pressione che si sta per presentare loro davanti, dato che il Chiefs-Raiders previsto per la prossima domenica diventa uno scontro diretto con in palio la supremazia divisionale, con i Chargers da affrontare tra quindici giorni in un uno-due che potrebbe sancire la rinascita degli uomini di Andy Reid o decretarne l’ingloriosa fine, senza possibilità di percorrere vie di mezzo che servano a tamponare la situazione. Tutto diventa allora una questione di edge e momentum, due termini che indicano una valutazione da farsi nel preciso momento di forma delle protagoniste coinvolte e non nel complesso del loro cammino, il che pone i Chargers in una posizione privilegiata dall’alto delle loro tre vittorie consecutive, mentre i Raiders hanno il calendario probabilmente più difficile delle tre (oltre ai due scontri divisionali rimasti c’è un impegno ad alto tasso di difficoltà contro gli Eagles) ed in singola partita sono forse i meno affidabili di tutti, vista l’esigua continuità di risultati mostrata sinora.
Ad ogni buon conto, la corsa è completamente riaperta, e le gare della Afc West saranno tra le più elettrizzanti da seguire in questo ultimo mese di azione di stagione regolare.
7) IL RIENTRO DI JOSH GORDON E’ MOLTO PROMETTENTE
Quasi tre anni fuori dal football ed un cumulo di sospensioni dalla Nfl per abuso di sostanze non esattamente benefiche rappresentano un curriculum che avrebbe fatto fuori chiunque, ma non Josh Gordon. Etichettato come causa persa dopo aver definitivamente abbandonato le speranze su di lui, Gordon si è ricostruito una vita attraverso la riabilitazione e la forza di volontà, con il traguardo fisso davanti agli occhi di poter fornire un nuovo inizio alla sua stessa esistenza, ma anche alla sua carriera di giocatore di football americano professionistico.
Dunque, non può non impressionare ciò che Gordon è riuscito ad ottenere in questo lungo periodo di fatiche mentali e fisiche, dato che per potersi ripresentare alla corte dei Browns si sarà certamente allenato con la dovuta costanza, e l’abbondanza di talento a sua disposizione rimane un qualcosa di cristallino e straordinario, per quanto Gordon è riuscito ad ottenere da se stesso alla prima presenza in campo da quasi tre stagioni senza il beneficio di un training camp, e con un’organizzazione drasticamente cambiata a livello tecnico (purtroppo per Gordon, i risultati sono rimasti quelli di prima…).
Analizzando il contesto il senso di stupore aumenta. Gordon ha trascorso più di mille giorni senza entrare in un campo da football in via ufficiale, ha preso il primo pallone della partita di domenica, ha terminato la gara con quattro ricezioni per 85 yard con Kizer (inesperto ed in difficoltà in questo primo anno) da quarterback, ed è il secondo giocatore stagionale a ricevere per tale importo contro la secondaria dei Chargers. L’altro era stato Odell Beckham. A condimento del tutto va inserito il promemoria che il ragazzo ha pur sempre solo 22 anni, tratti fisici fuori dall’ordinario (ricordate Randy Moss?) ed un talento che gli ha permesso di giocare come se mai nulla fosse accaduto. Nulla è scontato, per carità, ma se Gordon dovesse tenere la testa a posto i Browns avrebbero trovato parte dell’aiuto che stanno disperatamente cercando.
8) ARIZONA STA PAGANDO CARE ALCUNE VALUTAZIONI FATTE IN OFFSEASON
I programmi di Bruce Arians non si sono certamente svolti secondo la direzione desiderata in questa stagione, di sicuro parte delle delusioni patite sono imputabili all’assenza della macchina offensiva chiamata David Johnson e a tutte le conseguenze negative che ciò ha portato alla gestione dell’attacco, esponendo Carson Palmer e tutti coloro che l’hanno rimpiazzato ad una quantità di pressione non programmata, modificando sostanzialmente lo stile di gioco dei Cardinals.
Gran parte dell’attenzione è stata risucchiata dalle dinamiche offensive dato che la mancanza dei pezzi fondamentali dell’attacco sono sfociate nel notevole calo dei punti segnati rispetto al 2016, ma parte delle motivazioni del 5-7 attuale va assolutamente ricondotto alle prestazioni difensive, sicuramente penalizzate da alcune decisioni prese dal GM Steve Keim durante la pausa primaverile/estiva, periodo nel quale molto personaggi-chiave del reparto sono stati lasciati andare altrove. Viene subito in mente, per ovvie ragioni, il nome di Calais Campbell, candidato al premio di giocatore difensivo dell’anno grazie all’eccellente rendimento espresso ai Jaguars, ma vanno considerate le abilità di playmaking di Marcus Cooper, la versatilità tattica di Tony Jefferson, la capacità di lettura di Kevin Minter e la pass rush di Alex Okafor, ognuno dei quali ha traslocato le proprie peculiarità altrove.
Ciò si aggiunge agli infortuni di Markus Golden, una delle chiavi della pash rush del 2016, e di Tyvon Branch, ambedue fuori gioco per tutto il resto dell’anno, ma il fattore principale resta comunque che i sostituti scelti per chi è partito in free agency non hanno prodotto in egual modo o sono stati dei bluff colossali (vero, Robert Ndemicke?). I risultati sono sotto gli occhi di tutti e raccontano di una difesa che oltre al già citato calo in termini di punti segnati ha diminuito la sua efficienza nel contrastare le conversioni dei terzi down altrui, e la resistenza prodotta all’interno delle ultime venti yard è insoddisfacente. Il fallimento di questa stagione nel deserto, si può spiegare anche così.
9) I PANTHERS HANNO UNA SOLA PARTITA PER RIALZARE LA TESTA
I meccanismi della Nfl sono spietati, si può sbagliare davvero poco, e quel poco rischia davvero di rovinare un’intera stagione di risultati positivi e lavoro duro. E’ questa l’idea che i Panthers stanno fornendo di loro stessi in questo preciso momento, giunti alla seconda sconfitta delle tre gare affrontate contro quelle che sono considerate le vere avversarie con cui misurarsi, e la vittoria contro i Patriots è molto lontana nel tempo per poter fornire un indizio consistente sulle reali possibilità della squadra di Ron Rivera. Vero che Carolina ha trovato una continuità che non tutti sono in grado di reperire come dimostra la perfezione dell’ultimo mese di gioco (4-0 prima della domenica appena trascorsa con margini molto convincenti nei punteggi), vero anche che con le grandi potenze della Nfc il conto piange e dice 0-2, e la gravità degli errori commessi in campo sembra rappresentare l’elemento più idoneo nel differenziare la caratura dei Panthers da quella, ad esempio, di Eagles e Saints, proprio le squadre con cui hanno avuto l’opportunità di incrociare le armi.
Non significa certo che Carolina non sia in grado di misurarsi con le avversarie appena citate, ma a causa dell’errata gestione di quelle due particolari gare la conseguenza è che i Panthers si giocheranno un must win ogni singola domenica sino al termine della regular season e molto probabilmente non vinceranno la Nfc South, vedendo le possibilità di giocare la Wild Card in casa scendere drasticamente. Ricordiamo difatti come determinanti i due intercetti commessi da Newton con l’attacco in posizione per segnare in occasione del Thursday Night contro Philadelphia, e quei punti avrebbero facilmente variato l’inerzia di una partita dove Carolina si è scontrata con pochi dubbi alla pari, mentre lo scontro con i Saints ha portato cattive giocate degli special team, responsabili di 10 punti a favore di New Orleans, nonché della difesa, colpevole di un paio di penalità evitabili che hanno restituito linfa vitale all’attacco opposto e di una galoppata di Ingram con otto uomini nel box.
Rivera ha parlato di ferite auto-inflitte sottolineando il come questa squadra valga di più di quello che racconta il suo bilancio, ed ora il tempo per scoprire la propria vera caratura è davvero ridotto all’osso. Il calendario darà ai Panthers una possibilità di riscatto offrendo lo scontro con i Vikings, che sarebbe un bel modo di dichiarare le proprie intenzioni al mondo, per poi affrontare dei Packers che potrebbero aver ritrovato Aaron Rodgers. Dicembre va assolutamente chiuso con tre vittorie sui quattro tentativi che Newton e compagni hanno ancora a disposizione.
10) IL MATRIMONIO TRA GAROPPOLO ED I NINERS E’ COMINCIATO IN MANIERA INTERESSANTE
Una rondine non fa primavera, ma Jimmy Garoppolo ha reso credibile l’attacco dei 49ers in una sola partita. Troppo poco da prendere in esame per essere così sfrontati? Può darsi, però i cambiamenti sono visibili ad occhio nudo, la fiducia dell’ambiente verso le capacità del ragazzo si percepisce nonostante lo schermo di un pc faccia da filtro alla realtà, e le cose sono cominciate a girare bene così all’improvviso che non può essere tutto ridotto all’affidarsi al caso.
Garoppolo ha eseguito le chiamate offensive come meglio poteva, ha creato sinergia con Marquise Goodwin e Trent Taylor facendo loro mancare d’un soffio una doppia prestazione da 100 yard, la sua precisione ha permesso di mantenere il 100% di realizzazione tra lanci tentati e ricevuti in direzione dei due compagni. Il 26/37 per 293 yard ed un intercetto (di responsabilità riconducibile al ricevitore) non saranno cifre da Tom Brady, ma sono statistiche più che sufficienti per restare ottimisti e continuare ad assistere alla posa in opera delle idee di Kyle Shanahan, che ha finalmente trovato un esecutore degno di nota. Domenica i Niners hanno registrato un solo 3 & out invertendo le loro stesse tendenze, e Garoppolo ha condotto il reparto offensivo ad un drive di 92 yard che ha permesso di vincere la partita grazie alla gamba di Robbie Gould, segno che oltre alle abilità tecniche sussistono pure degli aspetti mentali che né Hoyer e né Beathard avevano mai espresso.
Anche qui il contorno va a costituire un fondamentale parametro di giudizio. I due ricevitori sopra menzionati non sono esattamente il top della Lega, il gioco di corse ha prodotto una miseria a causa di una linea offensiva dal rendimento insufficiente, e la protezione stessa ha latitato, ma se non altro ha permesso di valutare la qualità decisionale del quarterback sotto pressione. Quindi, la logica domanda che viene dopo è: cosa diventeranno i 49ers quando attorno a Garoppolo ci sarà del talento vero?
La risposta sarà uno dei temi più interessanti della prossima stagione o due.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.