1) I FALCONS DEVONO IMPARARE A TERMINARE LE PARTITE
La concomitanza dell’attuale striscia di tre vittorie consecutive porta sicuramente a pensare che qualche tipo di cura alla fine sia giunta a guarire i mali dei campioni Nfc in carica, anche se l’impressione generale rimane quella di non trovarsi davanti alla squadra offensivamente onnipotente dell’edizione 2016, un ruolo che in questa stagione – escludendo i soliti Patriots – pare appartenere esclusivamente agli inarrestabili Eagles.
Vincere fa bene in ogni caso, e vincere senza Devonta Freeman in campo fa ancora meglio, perché denota l’ampiezza delle possibilità di una squadra che all’inizio ha deluso ma che propone pur sempre una qualità maggiore rispetto a molte concorrenti della sua stessa Conference. Quello che effettivamente manca ai Falcons oggi è la capacità di saper chiudere le partite, un fattore che non certo per coincidenza il team si porta dietro dallo scorso Super Bowl, e c’è da sperare che il confronto con i Buccaneers sia servito di ennesima lezione per una compagine che possiede i mezzi per puntare in alto.
La gara contro Tampa rappresenta lo specchio della situazione della squadra guidata da Dan Quinn. Un primo tempo spettacolare, un 27-6 di vantaggio senza ammissioni di repliche, Julio Jones letteralmente incontenibile capace di passare la soglia delle 200 yard già all’ingresso del quarto periodo, ed infine un Tevin Coleman vestitosi da Freeman rappresentano una somma di caratteristiche in grado di rendere ottimista chiunque per il proprio futuro in chiave playoff, ma sono anche tratti somatici corrispondenti a quelli di una franchigia che non deve sostanzialmente sbagliare nulla da qui a fine anno per sperare in una Wild Card. Se i Falcons si trovano in questa situazione lo devono anche a gare come questa, dominata con la gentile concessione di far rientrare in partita l’avversario nell’ultimo quarto con la possibilità di pareggiare, un evento sventato solo da un quarto down inopportunamente giocato alla mano da Fitzpatrick e soci e dalla segnatura (la seconda di giornata) della sicurezza di Coleman per il 34-20 definitivo.
Se i Falcons non possono chiudere gare di carattere storico per Julio Jones e dove la produzione di Freeman viene comunque garantita dai backup, allora quali partite potranno mai chiudere nei playoff? Questo è il ragionamento da eseguire nel preciso momento per Quinn ed il suo staff.
2) L’ASSENZA DI ELLIOTT E’ SOLO UNA PARTE DELL’ATTUALE CROLLO DEI COWBOYS
Magari avrebbe coperto tante altre lacune grazie ai tanti big play che normalmente produce e non staremmo qui a parlare di certe cose, e di certo la sua presenza non avrebbe permesso ai Cowboys di trascorrere ben ventisette possessi senza un misero touchdown, ma a conti fatti la mancanza di Zeke non è certo l’unica motivazione che riconduce alla progressiva frantumazione delle speranze di dare un seguito ad un 2016 straordinario, un cammino che un anno fa vedeva i Cowboys saziarsi con il tacchino dall’alto di un 10-1. Molte delle responsabilità vanno più o meno equamente suddivise coinvolgendo la difesa, la qualità del gioco di Dak Prescott, la linea offensiva, e la mancata produttività del caldo Dez Bryant.
Dal punto di vista difensivo non può essere la sola assenza di Sean Lee a determinare lo sviluppo eccessivo delle grandi giocate elargite dal reparto, altrimenti non sarebbero giustificabili i 72 punti complessivi che la squadra possiede al passivo sommando gli ultimi tre secondi tempi giocati, così come gli otto giochi di venti o più yard lasciati ai Chargers nella deprimente prestazione nel giorno del ringraziamento. Il gioco di corse ha prodotto, ma chi è stato coinvolto al posto di Elliott non ne possiede in ogni caso le innate capacità istintive, anche perché di mezzo c’è pur sempre uno stile differente di corsa, il che porta ad aggiustamenti non sempre rapidi a carico della linea offensiva. L’occasione è stata propizia per capirne di più anche su un Prescott non più alleggerito dalla presenza del compagno, e di certo l’alto numero di turnover ha una grossa relazione con la grande crisi offensiva dell’ultimo periodo, se non altro perché in due gare sono arrivati cinque intercetti (compreso un pick six di 90 yard contro Los Angeles) ed il paragone con i soli quattro lanciati in tutta la stagione scorsa nasce di conseguenza.
Fortunatamente Tyron Smith è rientrato ponendo termine alle disgraziate prestazioni dei suoi sostituti (pur commettendo una penalità che ha cancellato uno spettacolare touchdown su corsa di Prescott), ma i problemi restano ed inglobano anche un Bryant che, fermo a neanche 600 yard e 4 mete dopo 11 partite, non ha certo mancato di sottolineare la sua mancanza di coinvolgimento in parecchie situazioni di gioco. Il risultato di tutto questo sono tre partite consecutive con l’attacco tenuto sotto i dieci punti, fatto mai accaduto nella storia. Difficilmente Jerry Jones sarà disposto a tollerare oltre.
3) LA STAGIONE DEI JETS E’ UN MISTO DI PROGRESSO E DELUSIONE
Torniamo ai discorsi di inizio stagione e pensiamo che questa doveva essere una squadra per la quale si pensava possibile una quota di vittorie variabile tra lo zero e il due, una prospettiva addirittura peggiore rispetto a quella dei Browns, ma pur facendo i conti con un rendimento ben superiore rispetto al previsto i Jets hanno sprecato così tante occasioni per essere competitivi per i playoff che questo campionato si sta riducendo ad essere ricordato tanto per gli inaspettati progressi quanto per il dispiacere di non aver potuto fare di meglio quando la possibilità concreta di farlo era lì, pronta per essere presa.
Oggi il record delle ultime sei gare è di 1-5, ed il margine medio di sconfitta ammonta a 5.4 punti, un chiaro segnale del calo di rendimento generale in occasione dell’arrivo del quarto periodo, momento nel quale si sono sommate tutte le giocate più negative generate dalla squadra. Tre di questi confronti, inoltre, sono stati persi dopo aver condotto nel punteggio nel periodo conclusivo della partita, che determina delle pecche gestionali che emergono proprio nel momento-clou delle gare. Le ferite auto-inflitte stanno alla base anche della sconfitta contro i Panthers in un confronto dove la difesa bianco-verde aveva tenuto Cam Newton a 196 yard totali, macchiando una prestazione sostanzialmente impeccabile nei primi tre quarti attraverso la concessione di due mete derivanti da un fumble e da un ritorno di punt, nonché dall’incapacità di chiamare un gioco sensato in occasione dei tre tentativi fruiti dalla linea della yarda con il punteggio ancora vicino, circostanza nella quale sono stati chiamati tre passaggi consecutivi.
Seppure McCown abbia giocato al di sopra delle aspettative ed i Jets abbiano scovato una gemma come Robbie Anderson dal bidone degli undrafted del 2016, è giunta l’ora di dare priorità all’attacco con le scelte alte, recentemente utilizzate quasi tutte per la difesa (con ottimi risultati peraltro) o per giocatori del tutto inefficienti (Devin Smith, Christian Hackenberg, per il momento ArDarius Stewart), perché il salto di qualità offensivo dipende anche dal tasso di talento. La questione su questi ragionamenti pende sul chi li eseguirà, dato che Todd Bowles pare aver ottenuto di più di ciò che ci si aspettava da questo roster ma nel contempo la sua triennale esperienza è in discesa in termini di bilancio.
Ora si gioca esclusivamente per migliorare il 5-11 dello scorso anno, e la prova sembra assolutamente alla portata di questi Jets, seppur spreconi.
4) ALEX SMITH E’ L’OVVIO CAPRO ESPIATORIO PER LA CADUTA DEI CHIEFS
Una stagione da sogno si è trasformata in un incubo che i Chiefs stanno vivendo ad occhi aperti, settimana dopo settimana, e la caduta non pare trovare risoluzione. Dato che Alex Smith ha sempre avuto gli occhi addosso di tutti quanti quei critici che hanno spesso trovato in lui il motivo principale per distanziare Kansas City da eventuali Super Bowl, è fin troppo ovvio che l’evidente regressione del quarterback fornisca ulteriore materiale da aggiungere all’elenco delle negatività, con la conseguenza di vedere Smith alle prese con un momento di vero e proprio assedio, nel quale fan e media locali hanno chiaramente chiesto la testa dell’ex-regista dell’università di Utah.
Servirà a qualcosa? Sicuramente no, perché Andy Reid sa che non può permettersi di eseguire cambi improvvisi avvalendosi di un ragazzo molto grezzo come Patrick Mahomes, non in questo momento e non in questo contesto, per cui la sua scelta di continuare ciò che resta del percorso attraverso i contributi di Smith è più che comprensibile. Gettare il rookie in pasto alla ferocia delle difese Nfl con i playoff in palio non sarebbe una buona mossa e significherebbe gettare via la stagione ora, non certo per demerito del talento da Texas Tech, ma per la sua mancanza di esperienza a questi livelli. Meglio tentare di recuperare mentalmente un quarterback che ad inizio stagione ha letteralmente dominato e che fornisce pur sempre la miglior carta da giocarsi per tentare di aggiustare un quadro che sta andando lentamente a pezzi, e sperare in un ritorno di fiamma.
Il messaggio spedito ai Chiefs dal resto della Lega è che tutti sembrano aver trovato il modo di annodare i punti di forza dello spumeggiante gioco aereo visto nel primo mese di regular season, Smith ha perso fiducia ed è diventato più esitante accumulando mancate occasioni e turnover precedentemente prima inesistenti, e la qualità delle sue decisioni è nettamente calata. Non ci sono più grossi spazi per i big play confezionati con l’ausilio di Tyreek Hill e Travis Kelce, molti coordinatori difensivi avversari puntano sulla pass rush in superiorità numerica avvalendosi di ripetuti blitz rispetto al quintetto di trincea, scommettendo quindi sulla tardiva reattività del quarterback e sull’eliminazione di Kareem Hunt quale ricevitore esterno, e la cosa sta certamente dando i suoi frutti facendo nel contempo intuire il come gli avversari non temano più di tanto questo gioco di passaggi.
Da onnipotenti ora gli uomini di Reid si trovano a dover rincorrere, almeno nelle idee generali negli equilibri delle forze in palio. New England e Pittsburgh viaggiano forte e si sono distanziate con forza, ma grazie alla mediocrità divisionale Kansas City conserva due gare di stacco sulle concorrenti, anche se la spinta emotiva con cui stanno giocando i Chargers e la pericolosità de Raiders in singola gara non sono fattori da sottovalutare. Per Smith – e per l’improvvisa mancata produttività di Hunt – è ora di svegliarsi a partire da ieri, perché adesso anche la Wild Card rischia di non essere più qualcosa di troppo garantito.
5) EAGLES E VIKINGS HANNO SOSTANZIALMENTE IPOTECATO LE RISPETTIVE DIVISION
A cinque settimane dal termine della regular season la Nfc vede sostanzialmente ipotecate due delle sue quattro Division, con Eagles e Vikings oramai in dirittura d’arrivo per quanto riguarda la chiusura della pratica del primo posto divisionale, ed ambedue in prima fila per trascorrere la prima settimana di postseason a riposo grazie all’interruzione della lunga serie positiva dei Saints.
Per Philadelphia i giochi sono oramai fatti, sarà difatti più che sufficiente replicare il ruolino di marcia tenuto fino a questo esatto momento ed accumulare un altro paio di vittorie, archiviando anzitempo una situazione che vede Dallas e Washington rimpicciolirsi sempre più nell’immagine riflessa dallo specchietto retrovisore del bolide guidato da Carson Wentz, peraltro con l’orizzonte dello scontro diretto tra le due arci-rivali di questo giovedì, che aggiungerà un’altra sconfitta al bilancio di una delle due compagini. La difficoltà del calendario fa presumere che Philadelphia non patirà grosse noie per raggiungere questo primo traguardo parziale della sua stagione, dato che pur essendo impegnata in due trasferte difficoltose contro Seahawks e Rams chiuderà affrontando Giants, Raiders e Cowboys, per cui un record di 14-2 o 13-3 sarà presumibilmente quello più vicino alla possibilità di concretizzarsi.
Per i Vikings la situazione è un po’ diversa perché la concorrenza dei Lions è leggermente più concreta, ma allo stato attuale delle cose non c’è nulla che faccia pensare che una squadra di valore ma troppo discontinua come Detroit possa impensierire l’estrema solidità di una Minnesota capace di dominare i Rams e battere gli stessi Lions nel giro di soli quattro giorni, peraltro senza più poter usufruire di scontri diretti per accorciare le distanze. Anche il percorso dei Vikings alterna sfide impegnative ad altre che la squadra non dovrebbe aver problemi a fare sue, c’è da completare il confronto con la Nfc South affrontando in trasferta Atlanta e soprattutto Carolina, per poi chiudere con Bengals e Bears con i Packers di mezzo, mentre Detroit, nonostante tre dei cinque impegni siano contro squadre dal record perdente, non può permettersi di sbagliare nulla e qui la faccenda si fa un po’ più complicata, in particolar modo con la difesa dei Ravens di mezzo.
6) ALVIN KAMARA E’ IL NUOVO FAVORITO PER LA CORSA A ROOKIE OFFENSIVO DELL’ANNO
Le quotazioni di Alvin Kamara sono ascese in maniera impressionante grazie al suo tangibile contributo all’interno delle vittorie in serie portate a casa dai sorprendenti Saints, ed una corsa che pareva sostanzialmente chiusa dalle prodigiose partite messe assieme da Kareem Hunt è ora una parentesi riaperta a suon di yard dallo scrimmage da parte di un’altra gradevole sorpresa giunta al professionismo dal terzo round dello scorso Draft, una vera e propria pesca dei miracoli che accomuna i due giocatori appena menzionati.
Mentre le quotazioni di Hunt si sgonfiano tanto quanto il rendimento della sua squadra e Deshaun Watson è già fuori dai giochi da tempo per il noto infortunio terminale al ginocchio, Kamara continua una marcia insospettabile ma assolutamente concreta, che lo ha portato a rompere il muro delle 1.000 yard dallo scrimmage grazie ad un equo utilizzo nelle due fasi del gioco offensivo, che ha portato il suo nome in accostamento ad altri molto interessanti. Kamara è difatti il primo rookie dal 1965 ad oggi – ed il secondo di tutta la storia – a raccogliere più di 150 yard totali, un touchdown su corsa ed uno su ricezione in gare multiple da quando l’esercizio venne svolto da niente meno che Gale Sayers, ed è il primo giocatore dal 1986 ad oggi a correre per più di 500 yard e riceverne per altrettante, statistica registrata in precedenza da Herschel Walker.
Il rookie da Tennessee ha messo scena colpi ad alto tasso atletico per tutta la serata losangelena trascorsa contro i Rams, dimostrando di essere un pezzo che si incastra alla perfezione nel puzzle tecnico di Sean Payton grazie alla sua capacità di rompere più placcaggi nella stessa azione, alle doti di accelerazione ed elevazione, ed alla sicurezza con cui riceve palla. Il record positivo dei Saints sicuramente testimonierà a favore quando sarà ora di tirare le somme, ed anche se tutto è ancora aperto al dubbio crediamo vivamente che in questo specifico momento il front runner per aggiudicarsi il premio riservato alle matricole offensive vesta in nero ed abbia il casco dorato.
7) MIKE TOMLIN HA GESTITO LO SPOGLIATOIO COME MEGLIO NON SI POTEVA
Chi pensava, durante le prime fasi stagionali, che gli Steelers si sarebbero confermati quali top contender della Afc? Noi stessi eravamo caduti nel gioco dei se e dei ma assistendo a ciò che succedeva fuori dal campo più che al suo interno, ma d’altra parte tali domande erano perfettamente lecite rapportando il rendimento sul campo alla capacità di gestire uno spogliatoio che stava letteralmente scoppiando di casistiche scomode ed utili solamente per inopportune distrazioni. La lezione è sempre la stessa, e ci insegna che il compito del capo allenatore riguarda sì tutti gli aspetti tecnici possibili ed immaginabili, ma che il tutto è destinato a non servire a nulla senza un adeguata proporzione tra bastone e carota.
Storia insegna che l’epoca dei sergenti di ferro è finita da un pezzo, e che pur essendo la disciplina sempre importantissima, a nulla serve tentare di sottomettere mentalmente un gruppo di giocatori che desiderano uscire dalla mentalità collegiale ed essere trattati da uomini adulti. Mike Tomlin si è rivelato un maestro in questo, forse perché la verde età in cui è stato investito del suo attuale incarico gli ha permesso di allenare giocatori mentalmente molto vicini al suo modo di pensare, con la conseguenza del gettare le basi per un rapporto amichevole che quando serve stringe la presa e mette molto bene in chiaro le cose. L’armonia dello spogliatoio è alla base di tutto, lo scherzo ci sta, ma quando si manca di rispetto alla squadra si pagano le conseguenze.
Il caso-Martavis Bryant ne è l’esempio più brillante, ed oggi tutte le lamentele prodotte pubblicamente da Le’Veon Bell ed Antonio Brown, situazioni che altrove avrebbero diviso anziché cementare il legame, si sono trasformate in tutti quei sorrisi che abbiamo visto dagli stessi protagonisti dopo la sfida vinta in volata contro i Packers, assieme alla desiderata conferma che il declino di Ben Roethlisberger potrà anche essere in corso, ma non con i pesi e le misure che tanti media hanno fatto traboccare dai loro pensieri.
8) I CHARGERS HANNO PRESO FUOCO NEL MOMENTO PIU’ OPPORTUNO
C’era solo un lumicino di probabilità che ci avrebbe portato a pensare ad una riapertura dei giochi nella Afc West, ma la sensazione generale è drasticamente mutata ora che i Chiefs sono riusciti a scavarsi una fossa dalla quale non è ancora stabilito il momento in cui usciranno. Questo ci insegna che i giudizi debbono sempre essere soppesati ed avere una natura parziale, perché il football – più di altre discipline – vive di momenti di inerzia variabile, nel bene e nel male, e ciò vale soprattutto per i Chargers, che al primo posto oggi detenuto dai Chiefs cominciano davvero a credere.
Abbiamo più volte sottolineato in queste righe che Los Angeles vale molto di più di ciò che ha mostrato sul campo a causa di errori gestionali commessi sotto pressione, un problema che perdura dalla stagione scorsa e dal quale si spera siano state tratte le dovute lezioni. Oggi i Chargers sono roventi, lontani anni-luce dalla squadra partita a quota 0-4 che era già stata inserita nella corsa alle primissime scelte del prossimo Draft, e senza il pasticcio di Jacksonville avrebbero potuto vincere sei delle loro ultime sette partite. I meriti della risalita vanno equamente distribuiti. Philip Rivers sta giocando tratti di football di altissima qualità e le sue ultime due prestazioni sono risultate assolutamente superlative (685 yard, 5 mete, nessun turnover), la linea offensiva ha concesso solamente due sack nell’ultimo mese di gioco, e la difesa, seppur tenda a concedere molte yard specialmente su corsa, è capace di serrare i ranghi quando arriva l’ora della verità, come dimostrano le sole 11 opportunità trasformate in punti dagli avversari in redzone sui 27 tentativi complessivi, un dato che vale il terzo risultato assoluto di Lega.
La corsa è difficile, ma non impossibile. Los Angeles affronterà questa domenica i Browns e di certo non vorrà passare alla storia dal lato sbagliato dell’ingresso, e le ultime quattro partite propongono gli ultimi due scontri diretti con concorrenti divisionali tra cui la ghiotta trasferta a Kansas City, che avrà un valore nettamente superiore rispetto a quanto preventivabile. L’inerzia è a favore dei Chargers mentre la pressione va contro dei Chiefs che hanno sempre meno tempo per raddrizzare la nave, facendo di questo confronto a distanza uno degli aspetti più intriganti da seguire in questa parte finale di regular season.
9) BALTIMORE E’ IN CORSA, MA L’ASSETTO OFFENSIVO LATITA
I Ravens hanno collocato un altro mattoncino molto importante per tenersi momentaneamente stretto il sesto ed ultimo posto utile a giocare la postseason, ma la ugly win riportata nel Monday Night contro i Texans non migliora l’opinione generale sulla consistenza del reparto offensivo coordinato da Marty Mornhinweg, il quale è sempre più dentro all’occhio del ciclone della critica. Baltimore ha cercato un minimo di varietà offensiva riuscendo in particolari giochi, ma senza ammassare statistiche per cui valga la pena di strapparsi i capelli.
Nonostante una finta di punt convertita in un primo down, un quarto down trasformato alla mano con un pitchout ed una formazione che ha visto Joe Flacco schierarsi da ricevitore con Alex Collins a prendere lo snap, alla fine la realtà è risultata quella di sempre, e la partita l’ha portata a casa la difesa. I Texans, dopo il touchdown di Lamar Miller nel primo quarto, non hanno più varcato la endzone avversaria per il resto della competizione ed hanno commesso due turnover fatali negli ultimi cinque minuti di gara con il punteggio ancora in bilico, merito di uno strip-sack procurato dall’immenso Terrell Suggs e di un intercetto lanciato da Tom Savage, continuando a fornire possibilità ad un attacco che ha corso complessivamente bene ma che ha comunque terminato con il 21% di conversioni di terzi down e con un quarterback ancora una volta fermo ben al di sotto delle 200 yard.
L’opportunismo della difesa dei Ravens non si discute così come la sua pericolosità (i 18 intercetti complessivi sono il primo dato Nfl assoluto) ma su singola partita, dovesse arrivare la qualificazione ai playoff restando così la situazione, ci permettiamo di avere più di qualche perplessità sulla possibile costruzione di un cammino troppo lungo nel mese di gennaio, dato che oggi gli attacchi Nfl sono spietati e basta solo una giornata storta della difesa per mandare tutti i piani all’aria. Mornhinweg non ha fatto miracoli finora, e non crediamo possa farne di grossi da qui al termine della stagione.
10) IL LICENZIAMENTO DI MIKE MCCOY NON RISOLVE I PROBLEMI DEI BRONCOS
Non comprenderemo mai completamente il significato di alcuni licenziamenti a stagione in corso, per quanto facciano parte del gioco. A maggior ragione non riusciamo a giustificarci la scure caduta sulla testa di Mike McCoy, offensive coordinator che non avrà reso l’attacco di Denver chissà in che maniera produttivo dato che si staziona nella parte bassa della classifica in quasi ogni statistica offensiva, ma che non può certo essere ritenuto il responsabile per il mancato successo nel gioco su passaggio, dato che talento e propensione al turnover non sono fattori direttamente a lui riconducibili.
Alla fine McCoy ha ottenuto risultati simili a quelli del suo predecessore, Rick Dennison, e le prospettive non sembrano certo invitanti per colui che si occuperà del provare a sistemare il disastro nelle ultime partite rimaste, Bill Musgrave. McCoy ha lavorato con quarterback mediocri e senza margini di miglioramento, e dal discorso ci sentiremmo di togliere Paxton Lynch con una certa tranquillità visto lo scarso lasso di tempo in cui il medesimo ha potuto dimostrare qualcosa, a causa dell’infortunio che lo ha estromesso dalla sua prima gara stagionale e nonostante le cifre raccolte siano state del tutto insufficienti a livello qualitativo.
Tirando le somme, se questo è il materiale a disposizione della squadra difficilmente chiunque potrà fare meglio di così, più indizi conducono ad una prova e sia Osweiler che Siemian hanno avuto ampio spazio per dimostrare di non appartenere alla cerchia di quarterback titolari di questa lega. E dato che i problemi offensivi dei Broncos si basano soprattutto sulla mediocrità delle prestazioni dei registi che si sono avvicendati (di certo Thomas e Sanders non sono diventati due brocchi dal giorno alla notte…) e sull’eccessivo accumulo di intercetti che a loro volta derivano dalle decisioni personali di chi lancia, vediamo il licenziamento di McCoy come la classica occasione propizia per dare la colpa al primo che capita sotto tiro. Una grossa fetta di responsabilità se la gioca invece di sicuro John Elway, del quale abbiamo spesso ammirato e lodato l’operato, ma non si può certo sostenere che fino a questo momento abbia selezionato un quarterback in grado di sostenere l’enorme vuoto lasciato da Peyton Manning.
A conti fatti, il risultato dello scouting fatto da Elway ha portato risultati non molto differenti da quelli ottenuti dai Jets con Hackenberg e Petty…
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Davide, I problemi in attacco dei Ravens c’erano anche lo scorso anno e quindi mi chiedo (al netto degli infortuni) perche’ non abbiano deciso di sostituire Marty Mornhinweg ad inizio stagione.
L’unico motivo che mi viene in mente è che necessitassero di dargli una stagione intera di prova per vedere miglioramenti (era arrivato a stagione scorsa in corso), ma a quanto pare non sono arrivati…