1) L’INVOLUZIONE OFFENSIVA DI MIAMI E’ CRISTALLINA
Portare a casa alcune importanti affermazioni non significa necessariamente candidarsi come sorpresa stagionale, in particolar modo se voltando la medaglia dall’altro lato sbucano figure barbine. E’ un esempio che rappresenta degnamente dei Miami Dolphins che potevano sentirsi galvanizzati dalle tre vittorie consecutive ottenute in condizioni di precarietà ed emergenza, affermazioni avvenute non esattamente con le ultime arrivate (Tennessee, Atlanta, NY Jets) e per questo annoverabili come indicazioni di qualità.
Ci sentiremmo tuttavia di non poter contare più di tanto sulle possibilità di una squadra che sta vivendo una stagione offensiva particolarmente sgraziata, il che ci porta a trarre delle conseguenze particolarmente pesanti sulle reali possibilità di evoluzione a seguito della già sorprendente annata scorsa, sfociata con la sospirata rottura del digiuno-playoff. In questo momento i Dolphins sono il peggior attacco della Nfl, e non è una questione da valutare solamente attraverso le prestazioni dei quarterback. Quanto prodotto finora ha generato 13.1 punti a partita ed appena 252 yard offensive di media, statistiche di bassissimo profilo per poter sperare in una seria corsa alla postseason, una situazione che deriva tanto dagli errori del regista – sia esso Cutler piuttosto che Moore – quanto dalle alterne prestazioni della linea offensiva, latente nella protezione in fase di passaggio ed alterna nel dare dinamicità ad un gioco di corse che già nel 2016 si è dimostrato determinante per le sorti di squadra.
Parte della responsabilità in fase di protezione va anche ai running back, pescati in parecchie situazioni a non fornire una copertura adeguata, nonché agli aggiustamenti pre-snap, con Moore particolarmente inefficace nella sistemazione dei vari assegnamenti in determinate circostanze. Le scuse delle assenze semplicemente non reggono, i problemi riscontrati sono stati sempre gli stessi, con o senza Cutler, con o senza DeVante Parker. Chiaro che il rientro del wide receiver da Louisville se non altro riporterà la possibilità di effettuare giocate da oltre 20 yard per i mismatch offensivi che è in grado di creare, poi però bisogna anche segnare. Ed ora che Ajayi è partito verso Philadelphia, l’impresa si fa sempre più difficile.
2) I BROWNS SONO UN PUZZLE IRRISOLVIBILE
Si cambia aria e si cambia piano di gioco, ma il risultato rimane sempre fallimentare, la trasferta londinese dei Browns ci insegna esattamente questo. La revisione dei conteggi porta ancora una volta alle medesime conseguenze, raffigurate dal secondo 0-8 consecutivo e dall’aggiunta dell’ennesima sconfitta dell’era Hue Jackson, ancora fermo ad un solo successo di regular season nel giro di un anno e mezzo. Numeri che giustificherebbero pienamente un licenziamento in tronco che tutto sommato non servirebbe a nulla, perché Jackson poco ha potuto per cambiare radicalmente la cultura perdente dello spogliatoio, e solo in parte è stato responsabile della selezione del materiale a disposizione.
Ricominciare daccapo significherebbe allungare in maniera penosa l’attesa per un minimo di risalita, sistemare invece i problemi esistenti sembra un aiuto migliore. Che cos’è allora ad impedire anche solo una misera vittoria? La difesa ci pare costruita in maniera adeguata, tanto da indurci a dedicarle un paragrafo di questa rubrica dopo la prima esibizione stagionale per sottolineare una notevole prova di contenimento ai danni di un certo Le’Veon Bell, sottolineando come il futuro potesse aprire spiragli positivi in caso di prosecuzione della tendenza. A metà stagione il fatto si è confermato, con i Browns sesti per yard concesse su corsa e addirittura primi per yard al passivo di media per portata, ed anche se tali numeri possono essere fuorvianti dato che – come l’anno passato – gli avversari corrono poco contro Cleveland perché è fin troppo facile colpirla con i lanci, il dato rimane comunque significativo. Guardando indietro a domenica, restano amnesie letali come la mancata comunicazione in copertura sul touchdown di Adam Thielen, ma la prestazione globale rimane comunque soddisfacente considerando le assenze di McCourty, Peppers e soprattutto Garrett, nonché dando il giusto peso al fatto che la difesa sia spesso sfiancata dal poco riposo generato dalle più che brevi permanenze in campo dell’attacco.
Le lacune principali sono dunque proprio nel settore offensivo, e qui ci sentiremmo di responsabilizzare Jackson in quanto co-firmatario delle decisioni manageriali, ovvero le scelte di Cody Kessler e DeShone Kizer per sistemare un ruolo che aveva bisogno di una chiara superstar. Kessler ha già avuto ampio spazio ed ha combinato poco di positivo, Kizer è già stato dentro e fuori dalla lineup titolare e per il momento gli si è dovuto cucire addosso un piano di gioco fortemente improntato sulle corse per evitare di far salire eccessivamente il conto dei suoi turnover, ed è un giocatore che avrebbe necessità di passare più tempo a migliorare la sua tecnica che non a deprimere il suo ego in campo. Magari Kizer migliorerà tantissimo e non discuteremo più dell’annosa faccenda, ma per il momento dobbiamo ricordare che questa organizzazione è la stessa che ha ceduto la seconda scelta assoluta del 2016 agli Eagles (Carson Wentz), che nella medesima manifestazione, come tanti altri, è passata sopra a Dak Prescott e che al Draft 2017 non ha dato priorità al ruolo con Deshaun Watson disponibile. Aggiungiamo l’assenza di un wide receiver con i fiocchi, ed il quadro di necessità per la tornata di selezioni del 2018 è già chiaro.
3) PER I VIKINGS E’ TEMPO DI DECISIONI DETERMINANTI
Nonostante le tonnellate di sfortuna che hanno afflitto i Vikings nelle ultime due stagioni, la franchigia non se la passa affatto male. Il merito è da ricondurre alla profondità delle risorse a disposizione, alla qualità costruttiva della formazione nonché all’intelligenza tattica di Mike Zimmer, che in questo periodo di tempo ha certamente dimostrato di saper lavorare molto bene con il materiale a disposizione e farlo rendere al meglio delle sue possibilità, caratteristiche imprescindibili per un head coach di successo. I Vikings avevano già svolto un lavoro eccellente nel 2016 prima di collassare sotto una quantità di infortuni insostenibile per chiunque, e quest’anno hanno fatto buon viso a cattivo gioco nonostante l’assenza prolungata di Sam Bradford, la brusca interruzione della stagione di Dalvin Cook, e il forfait di due partite appena terminato da Stefon Diggs, procedendo spediti verso un 6-2 con un attacco i cui protagonisti di rilievo sono Case Keenum, Jerrick McKinnon e Adam Thielen.
Ora, nonostante Minnesota sia attesa da una provvidenziale settimana di riposo, incombono le decisioni importanti. Zimmer ed il suo staff dovranno sedersi a tavolino e valutare le condizioni fisiche di ognuno dei quarterback a disposizione, per poi scegliere se privilegiare il talento o preservare la salute. Nel primo caso significa scommettere sulle precarie condizioni del ginocchio di Sam Bradford, autore di una delle migliori prestazioni di carriera contro i Saints nell’opener stagionale prima di fermarsi e quindi aggravare l’acciacco nel Monday Night contro i Bears, e decidere se inserire Teddy Bridgewater a roster in tempo utile per poter essere ufficialmente attivato, ad una vita e mezza dal gravissimo infortunio sostenuto al ginocchio. Nella seconda ipotesi significa invece rinnovare la fiducia a Case Keenum, che in questo sistema sta producendo 230 yard a partita ed un bilancio di sette passaggi da touchdown contro tre intercetti, statistiche sublimi se paragonate alla pessima esperienza del medesimo ai Rams.
Qualunque sia la direzione intrapresa la necessità primaria sarà quella di non alterare i ritmi di squadra. La difesa sta continuando a fornire prestazioni di grande livello confermandosi come uno dei reparti più incisivi della Lega, mentre dal punto di vista offensivo abbiamo tre prospettive differenti a seconda di chi sarà il protagonista scelto per proseguire l’avventura. Con Bridgewater andremmo molto cauti se non altro per gli alti sacrifici richiesti dalla lunga riabilitazione e considerando che non avrebbe il ritmo-partita in corpo da subito, fattore probabilmente penalizzante calcolando l’importanza del rush finale, di Bradford rimangono misteriose le reali condizioni fisiche così come non sono chiarissimi i tempi di recupero, con il rischio di una seconda ricaduta assai tangibile. In ciascuno dei due casi Keenum fornisce la presenza di un backup più che affidabile, più i Vikings vinceranno e più potranno permettersi di raccogliere ulteriori sicurezze sui recuperi degli altri due registi, un quadro dal quale Minnesota pare uscire in ogni caso vincente.
4) I BILLS HANNO GIA’ VINTO LA LORO STAGIONE, CON O SENZA I PLAYOFF
L’affermazione potrebbe creare qualche dubbio, lo sappiamo bene, ma va spiegata approfonditamente. Come giudicare positivamente un’altra stagione senza una qualificazione ai playoff che manca dagli infami tempi del Music City Miracle? Un modo c’è, anche se comprendiamo bene che assistere ad una nuova debacle a seguito di una mezza stagione così promettente provocherebbe nuove ondate di disperazione in quel di Orchard Park.
Proviamo a pensare alle mosse di mercato effettuate dal nuovo regime dirigenziale, atte a cancellare gran parte dell’operato di Doug Whaley, il precedente general manager in carica, impacchettando una serie di giocatori che avrebbero teoricamente dovuto rappresentare il futuro vincente dei Bills, destinati invece altrove per ottenere in cambio nuovi pezzi di ricostruzione. I movimenti fatti li conosciamo tutti, ma è bene riassumerli brevemente. In agosto giunge a sorpresa la trade di Sammy Watkins, che porta a Buffalo il cornerback E.J. Gaines ed una scelta di secondo giro del 2018. Quindici giorni più tardi è il linebacker Reggie Ragland a dover preparare le valigie, in cambio perviene una quarta scelta del 2019. L’ultimo scambio in ordine cronologico è quello di Marcell Dareus, mandato a Jacksonville per una sesto giro, ultimo di una sommatoria di talento di cui i Bills si sono appositamente privati per essere competitivi domani.
La differenza? Vada come vada, i Bills sono invece già competitivi oggi. I segnali sono interessanti, perché una partenza a quota 5-2 non la si viveva da sei stagioni, ed il ruolino di marcia casalingo è ad oggi illibato, un avvenimento che non accadeva da quando Jim Kelly era il quarterback titolare (anno astrale 1995). La squadra, privandosi del cervello vuoto e dell’enorme contratto di Dareus, ha spedito un messaggio chiaro sostenendo che non importa quale sia il tasso di talento del singolo giocatore, chi viene dopo può sempre fornire una soluzione adeguata. Sammy Watkins ha deluso le attese? Si cerca una nuova strada attraverso l’arrivo di Jordan Matthews. E.J. Gaines e Ramon Humber sono infortunati? Ci sono sostituti adeguati come Trae Elston e Matt Milano, nomi che non vengono certo in mente con immediatezza, ma che troviamo nel resoconto delle giocate più importanti giunte nell’affermazione contro i Raiders. Da dove arriva Milano? Da una scelta di quinto giro ottenuta in cambio di Mike Gilleslee, un altro peso di cui i Bills si sono scaricati.
Lungi da noi sostenere che è tutto perfetto e che la franchigia ha trovato la strada per dominare la Afc, ma già il fatto che di essa sia necessario tenere conto seriamente – finché McCoy corre così, Taylor rimane preciso a sufficienza, e si difende duro – rappresenta un progresso anticipato che non può più passare inosservato.
5) I REDSKINS NON POSSONO PENSARE DI COMPETERE CON UNA SIMILE BATTERIA DI RICEVITORI
Philadelphia è già scappata abbondantemente via e non c’è modo di tentare la rimonta, perché i Redskins hanno già perso entrambi gli scontri diretti contro Carson Wentz e compagnia bella. Dallas è sopra di una lunghezza, frutto della fresca vittoria dei Cowboys in quel della Capitale. La situazione non è disperata, la Nfc porta con sé una confusione terrificante di settimana in settimana ed è davvero difficile pensare di elaborare previsioni definitive, certo è che in queste sette partite disputate Washington ha dimostrato di non sapersi misurare adeguatamente con le squadre più forti della sua Division, come dimostra il computo di 0-3 a fronte di altrettanti confronti persi di netto.
Se Atlanta sta pagando a caro prezzo l’uscita di scena di Kyle Shanahan, a Washington si sente la mancanza della creatività di Sean McVay, anche se questo è solo un piccolo punto visibile all’interno di un quadro complessivo molto più grande. I Redskins hanno eseguito scelte dirigenziali sensate arrivando ad allestire una buonissima difesa, decisamente progredita rispetto a dodici mesi fa, ma altrettanto non si può sostenere per un attacco attualmente privo di un ricevitore primario di talento, che ha dovuto reagire dalla doppia dipartita di DeSean Jackson e Pierre Garcon, due elementi che giusto una giocata o due le avevano fatte vedere.
Delle 1.900 yard sinora guadagnate da Kirk Cousins solo 851 sono state catturate da un wide receiver, un dato che definire mediocre ancora non basta, e la statistica è gonfiata dalle 123 yard rimediate da Jamison Crowder contro i Cowboys. Sono 24 yard a gara di media per ciascun ricevitore, ed un’attenta analisi delle prestazioni di squadra trova una diretta correlazione tra i momenti in cui i Redskins hanno vinto o sono rimasti in gara contro avversari di valore (Kansas City) e le positive prestazioni su ricezione di giocatori che non appartengono alla batteria di wide receiver. Chris Thompson ha compiuto autentici miracoli ed è primatista stagionale per ricezioni e yard guadagnate, di Jordan Reed e della sua efficienza crediamo di non dovervi spiegare nulla (anzi, semmai si trovasse un modo per farlo restare in campo per cinque minuti di fila siete pregati di comunicarcelo…), e Vernon Davis ha fornito una presenza importantissima per realizzare big play sul profondo.
Crowder ha già dimostrato di essere un’arma affidabile da 800 yard stagionali con il contorno dell’anno scorso, ma davanti all’inconsistenza odierna poco può fare, Doctson ha il big play in tasca ma deve crescere (ha droppato un pallone molto importante domenica contro Dallas) e Pryor finora è stato fallimentare. Segnali che più di tanta strada, a livello offensivo, i Redskins non sono destinati a percorrere…
6) DESHAUN WATSON STA RISCRIVENDO LA STORIA
Quando Dabo Swinney, capo allenatore dell’università di Clemson, avvertì ogni squadra Nfl dei pericoli che correva nel lasciar passare la selezione di Deshaun Watson, sapeva evidentemente quel che diceva. Watson ha preso l’attacco dei Texans e l’ha girato come un calzino, trasformando uno dei peggiori reparti offensivi degli ultimi anni di football in una meravigliosa macchina da punti. Al di là della vittoria sfumata a Seattle, l’impressione lasciata dal rookie in una giornata dove tutti gli esperti lo davano per disperso sotto la tremenda pressione della Legion Of Boom in un ambiente peraltro sempre ostile, è stata un qualcosa di sensazionale.
La risposta è arrivata attraverso una quasi totale sottomissione (c’è anche un pick-six da mettere in conto) della temibile secondaria dei Seahawks, nella quale Watson è pure diventato il fiero possessore del nuovo record di passaggi da touchdown lanciati da una matricola nelle prime sette partite da professionista con 19, e la prima gara nemmeno l’ha disputata per intero. Invece di continuare ad essere una risorsa semi-sprecata, DeAndre Hopkins è tornato a far registrare statistiche da top receiver della Lega. Will Fuller sta pienamente realizzando il suo potenziale e sta segnando a ritmi pazzeschi. Houston è il primo attacco di Lega per punti segnati e primi down ottenuti, un traguardo che fino alla prima settimana di stagione regolare non era pensabile nemmeno con il massimo sforzo. Il merito è largamente riconducibile a Deshaun Watson.
La risposta al primo grande test stagionale riporta 402 yard, 4 passaggi da touchdown, 3 intercetti e 67 yard prodotte su corsa, numeri grazie ai quali Houston è diventata la prima squadra dal 2012 a segnare 14 punti a Seattle durante il primo quarto. Se non abbiamo davanti ai nostri occhi qualcosa di davvero speciale, allora la definizione di speciale ci sfugge…
7) I LIONS NON SANNO COME GESTIRE IL LORO POTENZIALE
Durante le prime uscite stagionali, i Lions ci avevano fornito un’impressione nettamente migliore rispetto a quella attuale, ci sembrava una squadra in grado di misurarsi con il meglio della Nfc e in grado di gestire le partite punto a punto grazie alle pressoché infinite possibilità date da Matthew Stafford, un quarterback che non dichiara mai terminata una partita se non allo scoccare del triplo zero sul cronometro.
La compagine che ritroviamo a metà cammino è invece reduce da quattro sconfitte nelle ultime cinque uscite, un bilancio in ogni caso ottenuto senza subire battute d’arresto clamorose con la sola eccezione da farsi per il festival del touchdown difensivo organizzato dai Saints. Significa che il potenziale c’è, ma che Jim Caldwell ed il suo coaching staff non lo stanno sviluppando adeguatamente. La difesa è in netta crescita rispetto ai trend delle più recenti stagioni, lo schieramento propone diversi giocatori in grado di incidere come dimostrano i dieci intercetti già registrati nelle sette esibizioni fin qui disputate, mentre l’attacco i numeri li avrebbe, ma non li produce.
Il problema pare sempre il solito, perlomeno da quando Stafford ha preso il comando delle operazioni offensive, nel senso che questo attacco non è mai stato adeguatamente strutturato che supportare le corse, un fattore che si rivela determinante pensando a tutte le occasioni in cui i Lions non sono stati in grado di chiudere una partita o di stancare adeguatamente una difesa. Gli avversari semplicemente non rispettano il backfield di Detroit perché non rappresenta un pericolo, nonostante le indubbie qualità in possesso di Ameer Abdullah, un giocatore che può cambiare direzione sopra la classica monetina e lasciare il placcante a mani vuote. E pensare che Stafford e compagni si sono misurati più che adeguatamente sotterrando gli Steelers – la seconda miglior difesa contro i passaggi – con 423 yard su lancio, con la gravosa differenza di non aver segnato nessun touchdown.
Nonostante le linee di passaggio fossero occluse dalla mancanza di preoccupazione degli Steelers per il running back di turno, Stafford ha messo in piedi uno spettacolo offensivo degno di nota ottenendo il massimo stagionale dai due Jones e coinvolgendo anche l’ammirabile Golden Tate (in campo a tempo di record), una sommatoria di cifre che stride fortemente con i tre viaggi eseguiti da Detroit all’interno delle sei yard avversarie nel secondo tempo, possessi dai quali l’attacco è uscito con la miseria di tre punti. Possedere una linea offensiva poco propensa a spingere in maniera fisica ed il non presentare un goal line back adeguato avrebbe fatto tutta la differenza del mondo nel convertire in sette punti un determinante quarto ed uno del terzo periodo, piccoli ma significativi episodi che ci fanno intendere il come i Lions avrebbero potenzialmente portato a casa tante partite terminate invece nella colonna sbagliata del bilancio.
8) I DENVER BRONCOS SONO AD UN QUARTERBACK DALL’ESSERE COMPETITIVI
Alziamo la mano senza vergogna, ammettiamo tranquillamente di figurare tra quelli che si erano fatti prendere la mano dalle incoraggianti esibizioni iniziali di Trevor Siemian. Oggi ci scontriamo su una realtà dura, Siemian ha lanciato tre passaggi da touchdown in tutto il mese di ottobre e combinato un numero di turnover massacrante per le sorti di squadra, pesando in maniera determinante sulla striscia di tre sconfitte in fila – durante le quali si sono segnati 9.6 punti di media – che i Broncos stanno cercando di risolvere per evitare di rimanere esclusi dai playoff per il secondo anno consecutivo.
Ora è tempo di decisioni, perché Vance Joseph è pur sempre un allenatore esordiente in una piazza abituata a risultati di un certo prestigio, e la grana-quarterback rappresenta il primo problema da esaminare approfonditamente di fronte all’alternativa di continuare così, una decisione che rischia di sprecare ulteriori prestazioni positive di una difesa di grande efficacia e di un gioco di corse assolutamente funzionante. Il tipo di pressione che la franchigia deve sostenere in questo momento è tale da non potersi permettere un’altra partita di questo genere, in grado di creare imbarazzo. Cosa fare allora? Inserire Brock Osweiler nella lineup titolare? Quel Brock Osweiler? Bruciare i tempi nei confronti di Paxton Lynch, che ha perso significative opportunità di progresso a causa dell’infortunio alla spalla che lo ha tenuto fuori dai giochi fino alla settimana scorsa? Dare altri due quarti di possibilità a Siemian nella delicatissima sfida contro Philadelphia, la squadra che detiene il miglior record Nfl?
Dovunque stia la risposta la questione è assai delicata da risolvere, e tutto porterebbe a pensare che probabilmente – fatta salva una ripresa di un Lynch che nel 2016 non era minimamente preparato per scendere in campo da professionista – la soluzione giusta non sia nemmeno a roster in questo preciso momento, e che a John Elway sia in qualche modo riconducibile la responsabilità per la situazione che si è creata. Possedere la prima difesa per yard concesse, per primi down subiti, per touchdown presi su corsa, produrre 4.4 yard di media con il proprio backfield e vedere Demaryius Thomas ancora senza una meta segnata a metà campionato sono istantanee significative e contraddittorie, che giustificano un 3-4 nemmeno tanto strano se considerati i tanti possessi gettati al vento dalle azioni di un quarterback caduto in un vortice di mediocrità.
9) LA TRADE PER JIMMY GAROPPOLO E’ COSTOSA MA SENSATA
Lo zero che campeggia sulla casella delle vittorie dei 49ers ha evidentemente accelerato alcuni processi decisionali che avrebbero in ogni caso atteso il management al termine di questa infausta stagione. La decisione di puntare ora su Jimmy Garoppolo giunge al costo di una seconda scelta, un prezzo sicuramente alto per un giudizio che si basa sulle potenzialità e su un numero esiguo di partite, ma che permette ai Niners di mettere sotto esame il loro possibile quarterback del futuro.
A dover di cronaca va detto che San Francisco di scelte di secondo round ne possedeva due, fatto che ha alleggerito la decisione presa da John Lynch, e la questione va vista considerando la free agency di Garoppolo a fine anno. Il ragionamento dei Niners non è sbagliato, meglio assicurarsi ora un giocatore che avrebbe creato un certo mercato durante la prossima offseason (vero Cleveland?) senza dover concorrere con nessuno, e metterlo alla prova per ciò che rimane della stagione, cercando di avere più chiaro l’indirizzo da prendere nell’immediato futuro. In caso positivo si potrà discutere un rinnovo contrattuale a prezzi abbordabili senza costringersi ad intasare il cap per ottenere i servigi del Kirk Cousins di turno, in caso negativo Garoppolo potrebbe ricevere il franchise tag e passare un altro campionato sotto osservazione, rimandando le decisioni definitive al termine della stagione 2018.
Osservando il quadro nel suo complesso, la spesa di un secondo giro ci pare una scommessa equa. E’ chiaro che quanto mostrato in ambito Nfl da Garoppolo sia insufficiente per un giudizio che somigli ad un qualcosa di definitivo, ma i tratti paiono essere quelli di un quarterback vincente che, oltre a possedere delle indubbie qualità di base, può usufruire di un lungo periodo di lavoro sotto i consigli e la supervisione di Kyle Shanahan, che da questo punto di vista può essere un ottimo insegnante. Vincere la scommessa significherebbe potersi permettere un pluriennale meno costoso della media, evitando di bloccare risorse per aggiungere altro talento alla squadra. Messo così, è un insieme di obiettivi lungimiranti, e senza dubbio coerenti.
10) LE PARTITE LONDINESI PECCANO DI COMPETITIVITA’
E’ come sputare sul piatto dove si mangia, perché il fascino di poter toccare con mano una partita Nfl per noi europei è innegabile, tuttavia il costante ampliamento del portafoglio di gare da disputarsi al di qua dell’oceano deve necessariamente corrispondere ad un sensibile aumento qualitativo per avere un senso, prima ancora di cominciare a produrre tutte le paranoie relative alla famigerata futura franchigia inglese, un’altra iniziativa che troviamo abbastanza insensata.
Una revisione della decennale esperienza divisa tra Wembley e Twickenham non porta certo a risultati di tipo clamoroso, le partite sono state più a senso unico che non il contrario, e pochi sono stati gli scontri in grado di fornire al pubblico europeo una partita con forti conseguenze per un titolo divisionale, o per i playoff. Si è vista senza dubbio qualche partita spettacolare, su tutte la Saints-Chargers dell’edizione 2008, nonché qualche scontro extra-Conference di particolare rilievo come il Vikings-Steelers del 2013, episodi che se rapportati alle 22 partite disputate fino a questo momento rappresentano un piccolo granello di sabbia in un deserto di prevedibilità.
La versione 2017 del prodotto ha offerto due shut-out, una batosta terminata con un +37, ed una gara rimasta in equilibrio per il solo primo tempo, una qualità generica che ricorda più una partita d’esibizione che non uno spettacolo degno di una regular season. Una o due partite per aumentare la visibilità di una Lega in costante crescita rappresentava un qualcosa di senz’altro condivisibile, quattro partite – a meno che la posta in palio non si alzi drasticamente – sono molto poco giustificabili. E Dio salvi non solo la Regina, ma anche la folle idea di posizionare in pianta stabile una squadra Nfl a Londra.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Dalla baia la trade per Garoppolo ci stá tutta, ma da tifoso Pats, dico: ed ora? Dietro Brady c’è il nulla.
I bills hanno preso benjamin da Carolina
Scelta pessima considerando che era il primo ricevitore e che greg olsen è out per tutta la stagione
Pessima da parte dei panthers!