Una rondine non fa primavera, ne siamo perfettamente consci.
Tre giornate di gioco sono pochissime per giudicare una qualsiasi franchigia Nfl data la scarsa quantità di materiale assimilabile ed utile a proiettare un giudizio vicino al definitivo, ma è tuttavia possibile prendere dei piccoli dati oggettivi e trasformarli in indicazioni puramente temporanee, anche se molto significative. Il caso specifico riguarda proprio i Los Angeles Rams.
Nonostante nessuna delle considerazioni che seguiranno siano dettate da una qualsiasi facilità d’entusiasmo, in California sussistono parecchie ragioni per pensare al futuro con un minimo di ottimismo, un sentimento che i disastri dell’ultima parte dell’era-Fisher aveva cancellato più o meno totalmente. Pensare che questi siano dei Rams già così differenti rispetto a quelli della passata edizione può persino sembrare non credibile, ma è evidente di come il repulisti attuato dalla società a livello di coaching staff abbia rinfrescato l’ambiente a livello tanto psicologico quanto tattico, cominciando a scrollarsi di dosso la discutibile fama raccolta dodici mesi fa.
L’IMMOBILISMO OFFENSIVO DEL 2016
L’identikit della vecchia Los Angeles è presto fatto. Una squadra letteralmente incapace di segnare ed in possesso di un reparto difensivo di qualità, quest’ultimo frustrato per aver sprecato un’enormità di energie giocando davvero bene e lottando per le sorti di una squadra moralmente schiacciata dalla povertà delle sue statistiche offensive. 224 punti e poco più di 4.200 yard di total offense sono risultate cifre valide solamente per l’ultimo posto di Lega per per quei specifici settori, il tutto ottenuto mentre la difesa si dannava inutilmente terminando la regular season al nono posto assoluto per yard concesse, ma crollando di ben quattordici posizioni nel computo delle segnature elargite, un chiaro sintomo di come l’inefficienza offensiva andasse sistematicamente a deteriorare la tenuta fisica e mentale dei compagni di squadra medesimi.
Con lo spogliatoio in procinto di sprofondare negli abissi non restava che sollevare Jeff Fisher dal suo incarico, episodio avvenuto con tre gare di regular season ancora da disputare, tirando gli ultimi spaghi per confezionare il definitivo 4-12, con l’aggravante dell’ultima vittoria risalente addirittura alla decima settimana di campionato contro i non certo entusiasmanti New York Jets. Bentornati a L.A., Rams.
Tra i numerosi problemi da risolvere c’era un particolare di non poco conto, vale a dire il recupero attitudinale di un Jared Goff giunto con diversi pesi da sostenere ancor prima aver messo piede in campo, lui che della California è figlio e che – come noto – era costato qualche lieve investimento futuro alla franchigia che aveva deciso di salire al fatidico primo posto assoluto del Draft 2016. Goff, oltre che combattere contro le demoralizzazioni sul campo, ha dovuto psicologicamente evitare di affossarsi sotto la pressione dei detrattori, un fattore che già in passato ha rovinato la carriera di tanti giovanotti di belle speranze poi incapaci di ricalibrare il loro percorso secondo le aspettative fatte intuire nel percorso al College.
Non ha certo aiutato il fatto che i Philadelphia Eagles, che nel Draft 2016 scelsero per secondi, avevano nel frattempo fatto esordire il concorrente Carson Wentz da subito e con ottimi risultati (almeno per le prime gare) mentre Goff non veniva ritenuto ancora pronto a scendere in campo, così come non ha giovato lo 0-7 da starter racimolato quando finalmente lo staff ha deciso di dargli in mano la squadra, completando appena il 54.7% dei suoi tentativi a fronte di 5 passaggi da touchdown e 7 intercetti, oltre alla solita – immane – fatica nel muovere le catene.
LA CURA MCVAY
Jared Goff e Sean McVay sono mossi da motivazioni del tutto simili. Vige il senso di rivalsa, dato che pure l’ex-offensive coordinator dei Washington Redskins deve e dovrà rispondere alle critiche che lo hanno afflitto durante la preparazione a questo campionato, periodo nel quale vecchie conoscenze dei Rams (chi ha detto Mike Martz?) hanno pubblicamente disprezzato l’assunzione del verdissimo Sean (31 anni) per una posizione che richiede vasta esperienza.
Avendo osservato all’opera il giovane allenatore durante il suo incarico in quel della Capitale, la possibile traslazione delle sue peculiarità in un contesto che necessitava di una netta ristrutturazione offensiva è quanto di più positivo ci si potesse immaginare, proprio per la spiccata attitudine di McVay alla gestione diretta delle chiamate offensive, aspetto che non ha difatti deciso di delegare, almeno per il momento. Il solco che ha lasciato a Washington è molto profondo: sotto le sue direttive il reparto offensivo dei Redskins è tornato a produrre dopo anni di agonia, passando dal venticinquesimo al decimo posto per yard totali nel corso del 2014, si è quindi classificato terzo per yard su lancio superando le 300 a partita durante lo scorso campionato, ma soprattutto ha reso Kirk Cousins ciò che è oggi, un’ex-riserva con poche speranze mutato in un quarterback titolare di tutto rispetto.
I risultati sono già sotto gli occhi di tutti. Los Angeles ha già segnato la bellezza di 107 punti in tre gare, una cifra incredibile se rapportata al fatto che sfiora il 50% del fatturato di tutte le sedici partite dello scorso anno, superando peraltro quota 40 punti in due di queste tre circostanze. Le yard prodotte per ciascun snap sono aumentate passando da 4.4 a 6.6, Goff sta viaggiando con il 70% abbondante di completi, segno di una maggiore qualità del suo supporting cast ma pure di una rinnovata sicurezza nei propri mezzi, proprio l’aspetto che più degli altri pareva essere stato messo a rischio durante il disastro dello scorso torneo.
La coppia Goff-McVay possiede parecchi punti in comune, ed ha molto da dimostrare. La giovane età può significare una crescita da affrontare assieme, con intenti comuni e velocità d’intesa, dato che non sussiste il gap generazionale che normalmente separa la mentalità di coach e giocatori.
Il futuro è lì, che attende di essere scritto.
I NUOVI ARRIVI
I profondi cambiamenti operati nell’allestimento del reparto offensivo sono da evidenziare quale motivo principale di questa riscossa.
Anzitutto, la batteria di ricevitori è cambiata quasi integralmente aumentando contemporaneamente il tasso di talento a disposizione. Salutati Kenny Britt, Brian Quick ed il tight end Lance Kendricks, il management ha ottenuto Sammy Watkins – oltre ad un sesto giro dell’anno prossimo – dai Buffalo Bills sacrificando il cornerback E.J. Gaines ed una seconda scelta del 2018, ed in precedenza aveva già firmato Robert Woods in free agency, curiosamente anch’egli proveniente da Orchard Park. Il Draft aveva già portato a bordo le qualità atletiche del tight end Gerald Everett, un’arma tattica importante perché schierabile anche in contemporanea al titolare Tyler Higbee, nonché il sorprendente Cooper Kupp, un ragazzo che si era già preso l’onere di riscrivere il libro dei record collegiali per la FCS vestendo la maglia di Eastern Washington e che pare riuscire ad incidere anche tra i professionisti, nonostante il livello competitivo sia nettamente superiore.
Se Watkins potrà fornire una dimensione dinamica in più grazie alla gran velocità ed alla concentrazione nell’aggiustarsi in traiettoria, e se Woods può finalmente mettersi alla prova in un contesto offensivo di livello superiore, la vera chiave dell’upgrade offensivo pare tuttavia essere portata dall’enorme esperienza del tackle sinistro Andre Whitworth, un giocatore magari un po’ in là con l’età (35 anni) ma che non ha ancora mostrato alcun tipo di segni di cedimento proteggendo in maniera eccellente il lato cieco del quarterback, nonché rendendosi in parte responsabile del successo del gioco di corse.
Della sua presenza ha direttamente beneficiato Todd Gurley, l’indiscussa superstar di squadra, running back che ha ricominciato a giocare a livelli altissimi dopo un’annata di buio semi-totale (3.2 yard per portata nel 2016), tornando ad essere l’assoluto protagonista di un attacco che vive sulla sua multi-dimensionalità, dato che McVay gli sta cucendo su misura appositi schemi per farlo ricevere fuori dal backfield, ottenendo dividendi immediati. Per Gurley, che sta segnando due mete di media a gara, potrebbe essere solo l’inizio di un’annata strepitosa.
Per come la faccenda andrà a finire dovremmo ri-sintonizzarci più avanti e attendere test più duri per questi Rams, teniamo conto che la difesa sta subendo moltissimo nonostante le sue spiccate potenzialità – lo dimostra la partita contro i deboli 49ers – e che la tenuta mentale di McVay, occupato nella doppia veste di head coach e responsabile delle chiamate offensive, andrà comprovata nel lungo periodo, ma possiamo tuttavia sostenere con certezza che il linguaggio del corpo della squadra è davvero cambiato, e che Goff sembra pronto a guidare questo gruppo di giovani verso le nuove conquiste cui i Rams possono finalmente ambire, con la ghiotta possibilità di rendere Los Angeles nuovamente rilevante nel settore del football professionistico.
Per Jared l’occasione è di quelle da non far fuggire: la possibilità di scrivere la storia a casa propria non ha prezzo.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.