Siamo arrivati al quarto episodio di questa rubrica: le premesse sono già chiare, perciò partiamo senza indugiare oltre.
1) Non è una lega per romantici.
Nulla di nuovo, ma il trasferimento dei Raiders a Las Vegas non può che ricordarci una verità tanto scontata quanto triste: non conta l’attaccamento della città alla franchigia, non conta la volontà dei giocatori, desiderosi di rimanere fedeli ad una della fanbase più calde del mondo, alla fine tutto si riduce a quale sia l’opzione migliore per far aumentare sempre più i ricavati ed anche questo non rappresenta nessuna novità. Però dopo due mesi dal discusso trasferimento dei San Diego Chargers a Los Angeles, sinceramente non mi aspettavo un altro ricollocamento di franchigia, ma pure in questo caso tutto era tenuto in piedi dalla mia effimera convinzione che Mark Davis alla fine non riuscisse a spostare i Raiders da Oakland, ma nel mio inconscio tutto era già piuttosto chiaro: è questa cinica mentalità il principale motivo per cui i ricavi NFL aumentano vertiginosamente ogni singolo anno anche se, sempre per colpa di questa mentalità non si può parlare di una lega per romantici.
2) Jump around? Stop.
Non sto ovviamente parlando della celebre canzone degli House Of Pain, ma della regola passata in settimana: nel costante sforzo di rendere il gioco più sicuro non sarà più possibile tentare di bloccare i field goal saltando via la kicking unit della squadra avversaria. Per quanto fosse divertente vedere i vari Chancellor o Collins bloccare piazzati in questo modo, la scelta appare molto saggia, poiché il pericolo a cui il saltatore era esposto non poteva più essere ignorato in nome di uno spettacolo che spesso sembra dimenticarsi che stiamo discutendo pur sempre di esseri umani. Tuttavia sarà qualcosa che ci mancherà: basti pensare che l’unico field goal “sbagliato” da Tucker viene proprio da un perfetto salto di McClellin, oppure al fatto che i Broncos, grazie ad un extra point bloccato in questo modo e poi riportato nella endzone avversaria, sono riusciti ad imporsi contro i Saints.
Ma giustamente, safety first.
3) Un Brady è per sempre.
Deve essere parecchio frustrante ciò a cui 31 franchigie stanno assistendo: nonostante i 40 anni oramai dietro l’angolo, stando a quanto detto dal presidente Robert Kraft Tom Brady ha intenzione di giocare per altri 6-7 anni, il che vuol dire che per altri 6-7 anni i Patriots saranno la squadra da battere, come lo sono da 15 anni a questa parte. Salvo clamorose implosioni a la Peyton Manning, il livello del gioco di Brady non sembra essere destinato a diminuire, in quanto il così detto football Q.I. con l’età non può far altro che aumentare: se a tutto ciò ci aggiungiamo un regime di allenamenti curato in ogni minimo dettaglio accompagnato da una delle diete più rigide nel mondo dello sport, non dovremmo essere stupiti se a fine carriera anche la sua mano sinistra sarà adornata di anelli.
4) Josh Gordon, che sia la volta buona?
Lo spreco di talento per cui Josh Gordon verrà ricordato non ha probabilmente precedenti nella storia della lega: wide receiver a lunghi tratti indifendibile, è stato l’unico giocatore in grado di ricevere per 200 yards in partite consecutive, il tutto giocando per i simpaticissimi Cleveland Browns la cui situazione quarterback è oramai diventata fenomeno mainstream di derisione. Nelle ultime tre stagioni le partite giocate sono state solamente cinque, ed appare sempre più difficile fidarsi del ragazzo il cui problema con la marijuana potrebbe avergli definitivamente compromesso la carriera: in una foto postata su Instagram, il quasi 26enne ha mostrato il proprio fisico scultoreo facendoci intendere che, in attesa di essere reintegrato da Goodell, questa volta sta prendendo sul serio quella che potrebbe essere la propria ultima possibilità.
5) Manziel-Saints? Probabilmente no.
Parlando di giocatori in redenzione, la scorsa settimana in questa colonna avevo accennato ad un possibile interesse dei Saints verso Johnny Manziel: il ritorno di Chase Daniel nel ruolo di backup di Brees sembra chiudere definitivamente le porte della Big Easy all’ex Cleveland, che a questo punto difficilmente verrà ingaggiato come QB3, in quanto per il ruolo marginale che coprirebbe all’interno della squadra, porterebbe troppe distrazioni. E’ certamente un peccato, però vale la pena lodare la ritrovata serietà di una persona che in questo periodo dello scorso anno stava sfasciando case e abusando di ogni sostanza possibile.
6) Un cognome, una garanzia.
Il mio amore per i fratelli Bennett non è certamente una novità: parlano senza filtri in ogni caso, sono due fra le personalità più interessanti ed eccentriche della lega e soprattutto spesso concretizzano le effervescenti parole in azioni. Dopo avervi parlato di Michael e del suo impegno nella battaglia (purtroppo utopica) per la parità dei sessi, questa settimana è stato il turno di Martellus: con un tweet il tight end dei Packers ha espresso la propria volontà di devolvere i soldi guadagnati dalla vendita delle maglie dei Packers a progetti di doposcuola. I Bennett parlano, i Bennett vincono ma soprattutto i Bennett agiscono.
7) L’emblema dei Vikings.
La stagione 2016 dei Minnesota Vikings passerà alla storia come una delle stagioni più sfortunate nella storia del gioco: a partire dal terribile infortunio sofferto da Teddy Bridgewater, con ogni probabilità lontano dal campo pure la prossima stagione, gli infortuni gravi patiti dalle stelle dei Vikings hanno iniziato ad accumularsi settimana dopo settimana. Uno, fra i molti, infortuni gravi è senza dubbio quello di Shariff Floyd che nel giro di poche settimane è passato da day-to-day a season ending, fino a rischiare di diventare career ending: secondo USA Today, durante la relativamente semplice pulizia del menisco potrebbe essere stato danneggiato il nervo che controlla il quadricipite che a sei mesi di distanza dall’operazione non risponde ancora come dovrebbe. Anche se è ancora troppo presto per emanare sentenze definitive, i segnali non appaiono incoraggianti ed il rischio che una promettente carriera venga stroncata a soli 26 anni aleggia sinistramente sopra le enormi spalle del massiccio defensive tackle.
8) Lifelong Cowboy.
Definire il concetto di professionista nell’epoca dei social media è diventato più difficile: in un momento storico in cui ogni giocatore è ad un video amatoriale di distanza dal compromettersi la carriera, Jason Witten è rimasto sempre un magnifico esempio per le nuove leve nonché modello di consistenza in campo.
Per premiare tutto ciò, i Cowboys gli hanno esteso il contratto fino al 2021 o in altre parole fino a fine carriera: 1089 ricezioni e 11388 yards in carriera, una leadership impeccabile ed un acume tattico che rende il cliché di “allenatore in campo” per una volta vero garantiranno sicuramente un posto a Canton ad un giocatore la cui storia personale vale ben 18 minuti del vostro tempo.
9) Il makeover di Cam.
Dopo un 2016 estremamente punitivo costellato di concussion dichiarate e non, costole rotte e dulcis in fundo la parziale rottura della cuffia dei rotatori sofferta contro gli allora San Diego Chargers, Cam Newton è andato sotto i ferri: quattro mesi è il tempo di recupero, anche se non è da escludere una degenza ben inferiore anche se l’ex MVP avrebbe veramente bisogno di questi quattro mesi di stop per non rischiare di replicare l’errore commesso la scorsa offseason da J.J. Watt.
10) Nuggets!
Nulla di nuovo sul fronte Peterson-Charles-Blount e ciò non deve essere motivo di stupore: l’imminente draft propone una decina di runningback in grado di essere starter since day one. L’ex Patriots Chris Long ha firmato un contratto di un anno per circa 2.4 milioni di dollari con i Philadelphia Eagles, lasciandomi alquanto perplesso: andato via dai Patriots inseguendo una maglia da titolare approda in una squadra con un’invidiabile profondità nel ruolo. Si arricchisce la rotazione di safety dei Seattle Seahawks: messo sotto contratto per un anno Bradley McDougald, versatile safety particolarmente efficace contro le corse, la cui firma garantisce una valida alternativa ai degenti Chancellor e Thomas.
Mattia, 27 anni.
Scrivo e parlo di football americano per diventare famoso sull’Internet e non dover più lavorare.
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