Se avesse giocato Hester contro Atlanta, la partita sarebbe stata più tesa e in bilico di quanto non sia stata. Le penalità, gli infortuni e i soliti errori di Seattle hanno reso vano un partitone di Hester e si sono arresi di fronte a un’Atlanta che schierava l’attacco numero uno e che non si è fatta abbattere dal pugno in faccia ricevuto al primo drive quando Seattle sembrava minacciosa e sembrava mettere paura. Invece no, Atlanta non si è scomposta e ha cominciato a fare quello che sa fare: segnare tanti punti e vivisezionare le difese avversarie, e ha ripreso il controllo della partita senza lasciarla più.
Il momento chiave, che ha cambiato le carte in tavola è stata la penalità stupida, ma così stupida che di più non si può, rimediata su azione di punt da Pierre-Louis. Quella penalità killer ha vanificato 69 yard di ritorno, ha obbligato Seattle a partire vicinissimo alla propria endzone e ha portato alla safety anche grazie a una leggerezza della linea offensiva che prima calpesta il piede del proprio qb al momento dello snap e poi permette alla linea dei Falcons di penetrare facilmente e andare a toccare Wilson già a terra causa pestone. Il risultato è un turnover con due punti di vantaggio in meno, ma soprattutto ha significato lo spostamento del “momentum”, del controllo della partita, della fiducia e anche del controllo del punteggio visto il sorpasso made in Falcons nel possesso subito seguente.
Se fino ad allora infatti i Seahawks avevano giocato una partita quasi perfetta, da lì in poi sarà solo una lunga strada in salita. Il drive di apertura è da accademia. Seattle inizia intorno alle proprie 20 yard (anche qui, ritorno di Hester ridotto da una penalità) e con metodica precisione mette a segno lanci completi, corse incisive e pur senza big play la palla arriva fino alla end zone avversaria consumando ben più di metà quarto e dando una dimostrazione di forza davvero impressionante. La palla passa quindi ad Atlanta e anche a distanza di tanti chilometri e con uno schermo a dividerci è percepibile che quella palla pesi molto più del normale. Ryan però la fa girare bene, completa dei difficili three & long e acquista coraggio. Il touchdown già nel secondo quarto dà un messaggio ai suoi, ma anche a Seattle, che torna in campo meno concentrata e mette a segno “solo” 3 punti e sul possesso successivo si arriva al fattaccio. Dopo aver fermato Ryan e avergli detto: “tu e il tuo attacco non ci fai paura” la flag omicida sul punt fa crollare la terra sotto i piedi di Seattle che non si riprende più e torna quella vista in stagione: con una linea pessima nel proteggere il qb da pressione e botte, il qb che lancia impreciso causa fretta, e una reparto corse che non produce molto venendo spesso placcato prima della linea di scrimmage.
Tutto il resto è storia già vista. L’attacco di Atlanta continua a fare quello che lo abbiamo visto fare finora. È una macchina ben oliata ed efficace che può fare a fettine ogni difesa contro cui gioca. Se Atlanta tiene in mano la palla può mettere una trentina di punti ad ogni partita e anche se la difesa non è delle migliori, obbligare gli avversari a fare più punti dei tuoi 30 è un compito molto arduo. Ieri sera Ryan e i suoi hanno però aggiunto qualcosa a una grande prestazione. Hanno dimostrato di sapere vincere e comandare perché hanno costantemente sfidato, e vinto, una secondaria di livello e hanno creduto nei propri uomini anche quando coperti dal presunto miglior cornerback della lega. Questo atteggiamento non è solo giocare bene, è anche e sopratutto una dimostrazione di mentalità vincente, cosa che ai Falcons è mancata in tutta la gestione precedente. Dan Quinn invece la testa del vincente ce l’ha, e la sta trasmettendo alla sua squadra che, per come stanno le cose ora, solo Kansas City potrebbe tenere sotto i 30 punti. Tutte le contendenti sono avvisate.
Se ieri l’attacco ha portato tanti punti, bisogna dire che anche la difesa, finora solida ma non eccepibile, ha fatto un passo in avanti. Due turnover, di cui uno costruito con tanta concentrazione (e fortuna) per chiudere definitivamente la partita, una difesa sulle corse che ha tenuto Rawls, massacratore di Detroit, a sole 34 yard guadagnate, e tanti placcaggi duri ed efficaci non possono che rallegrare i tifosi e farli ben sperare. E se si pensa che molte delle giocate sono venute da giovani giocatori come Brian Poole, Neal e sopratutto Vic Beasley questo non può che rallegrare anche il coaching staff perché si ritrova nelle mani tanti giovani e già solidi giocatori da plasmare e trasformare in élite. Nell’immediato forse no, ma in prospettiva certamente sì.
La stagione di Seattle finisce malino. Anche se è arrivata la vittoria in division il bilancio finale non può essere positivo. Troppe sconfitte, gioco di corse che non è riuscito a superare in maniera continuativa l’assenza di Lynch, attacco molto spesso discontinuo con un Wilson, acciaccato per gran parte della stagione, in difficoltà a trovare ricevitori e il tempo per trovarli. La linea offensiva infatti dovrà essere il primo punto di intervento e se, salay cap permettendo, non ci saranno gravi defezioni, i Seahawks continueranno ad essere lassù in alto in classifica per un bel po’. La stagione, difficile, altalenante e al di sotto delle aspettative non può però far dimenticare quanto di buon fatto perché quando tutto ha girato bene, ogni avversario si è ridimensionato.
Atlanta invece continua la sua stagione e si candida a contendente. La finale, sia che sia con Dallas che con Green Bay sarà davvero una bella partita e metterà Ryan e compagni di fronte ai propri demoni. Ryan finora infatti ha vinto solo due partite di playoff, ma quest’anno tra un attacco stellare e una difesa giovane e grintosa con ampi margini di miglioramento e crescita può essere davvero l’anno della svolta. Green Bay mette in campo molta esperienza e un qb che fa la differenza, e i Cowboys invece potrebbero giocare in casa di fronte a un pubblico caldissimo e in grado di farsi trascinatore dei giovani giocatori in campo. Matt Ryan da parte sua ha messo un punto esclamativo per la corsa all’MVP, e, raddoppiando le sue vittorie in post-season, si è tolto di dosso anche molta pressione, rispettando le aspettative e non deludendo nessuno. Come detto prima solo una difesa può, sulla carta, rallentare questo attacco e il più grande nemico di Ryan può solo essere Ryan stesso.
I numeri della stagione a volte non vogliono dire nulla di fronte alla pressione dei playoff, ma Ryan entrando con un record personale di 1-4 ieri sera ha tenuto testa alla pressione dimostrando di saperla gestire e vincere. Tutto molto positivo, ma circoscritto a una sola partita, in casa, contro un avversario che si è fatto molto male da solo. È troppo presto per dare Atlanta come favorita, ma se è in finale di conference non è un caso. Dopo il passo avanti di ieri sera si dovrà fare un altro passo avanti perché o Rodgers, o lo stadio di Arlington, sono avversari differenti e se da candidata alla vittoria finale, Atlanta vuole diventare una seria contendente, una partita non è abbastanza. Ma la partita di ieri ha certamente messo in guarda tutti.
Si avvicina agli sport americani grazie a un amico che nel periodo di Jordan e dei Bulls tifa invece per gli Charlotte Hornets. Gli Hornets si trasferiscono in Louisiana ed è amore a prima vista con la città di New Orleans e tutto quello che la circonda, Saints compresi, per i quali matura una venerazione a partire dal 2007 grazie soprattutto ai nomi di Brees e Bush. Da allora appartiene con orgoglio alla “Who Dat Nation”.
1) Si scrive in-eccepibile.
2) O-Line Seattle semplicemente scandalosa; in più, Rawls si dimostra una vera sega (Miller dei Texans al confronto ha fatto sfracelli) incapace di produrre yard in autonomia… a parte ciò:
3) Graham in formissima (ovvero immarcabile) tenuto fuori dal playcalling tutta la partita significa solo che i Seahawks sono stati, come dicono gli ammeregani, “outcoached”.
4) Matt Ryan semplicemente perfetto, stanotte: un solo errore in futuro potrebbe sgonfiare la baracca all’improvviso. Entrambe le 2 vittorie ai playoff giunte contro Seattle.