1 – Kansas City ed Oakland si giocano un Thursday Night da favola

Le gare del giovedì sono spesso ricordate per i colori sgargianti delle squadre quando invece dovrebbero offrire una qualità di gioco complessivamente superiore a quella sinora mostrata ma si sa, il tempo per preparare la partita è assai poco, ci sono da calcolare gli spostamenti aerei per raggiungere il luogo ospitante il confronto, e spesso la stanchezza della domenica si ripercuote su questa situazione di short week.

Questo giovedì farà certamente eccezione, perché Chiefs e Raiders si sconteranno all’Arrowhead Stadium con in palio una posta importantissima, che aggiunge pepe ad una rivalità magari non conosciuta come altre, ma in ogni caso molto accesa. Il quadro della Afc West, di netto la Division più competitiva di questo campionato, vede Oakland attualmente titolare di una bye week per i playoff e Kansas City piazzata in maniera ottimale per la Wild Card, ma la differenza è di una sola vittoria, e Denver insegue entrambe con fatica, ma dei Broncos è comunque necessario tenere fortemente conto.

Abbiamo visto i Raiders vincere in qualsiasi modo quest’anno, Derek Carr e l’attacco da lui gestito hanno portato a termine l’ennesima rimonta stagionale contro Buffalo confermando di essere una squadra tostissima e capace di non perdere la calma, e dieci vittorie oramai non possono più essere frutto del caso o della sola fortuna. L’ambiente ora si scalderà fortemente, perché c’è la Division da giocarsi e la palla scotterà più di prima, anche se Carr ha già dimostrato di avere nervi di ghiaccio e mani ignifughe. Cosa significa la gara di giovedì? Un’ulteriore affermazione porterebbe a due le gare di distacco sui Chiefs con tutti i benefici del caso, mentre una sconfitta consentirebbe ad Alex Smith e soci di pareggiare le sorti modificando in maniera sostanziale l’attuale griglia della postseason, rovinando per quanto poco il momento magico dei Predoni.

Ci sono tantissimi motivi d’interesse per assistere ad una delle sfide dell’anno – e chi avrebbe mai pensato di definirla così, a settembre – potremo assistere al duello a distanza tra due autentici maestri della pass rush come Khalil Mack ed il redivivo Justin Houston, ma lo scenario più interessante potrebbe vedere i Raiders ancora una volta in svantaggio nel quarto periodo con Carr messo nuovamente alla prova in un momento di tensione nervosa ancora più forte rispetto alle gare precedenti.

Il Thursday Night più eccitante dell’anno è alle porte.

2 – La Nfc South è tutt’altro che decisa

La recente striscia positiva dei Buccaneers e la capacità dei Falcons di complicarsi la vita da soli rappresentano l’incrocio di motivazioni per cui la Nfc South è stata clamorosamente riaperta nell’ultimo mese. Ricordiamo tutti molto bene l’aura dominante che Atlanta si è portata appresso per almeno metà di questo campionato facendo intuire che la conquista della Division sarebbe stata solamente una pratica da sbrigare in maniera piuttosto semplice, portando le prospettive della squadra di Matt Ryan ad una postseason ipoteticamente già acquisita.

Forse i Falcons hanno guardato troppo più in là del presente ed hanno perso la concentrazione su questo istante del loro cammino, forse si tratta solo di episodi, o forse una mistura dei due fattori. Il risultato non cambia, perché quell’acquisizione semi-automatica ora non è più una realtà così scontata, questo perché Atlanta ha vissuto una pessima giornata sul terreno di Philadelphia venti giorni fa permettendo agli Eagles uno dei loro rari risultati positivi della seconda parte di campionato, oltre al piccolo disastro domenica, dov’è stata gettata al vento l’opportunità di piegare i resistenti Chiefs nel momento stesso in cui Eric Berry ha intercettato e riportato in endzone la conversione da due punti che avrebbe messo i Falcons avanti negli ultimi quattro minuti di gara.

Gli insospettabili Buccaneers di Winston e dei suoi ricevitori poco conosciuti – sempre con le dovute eccezioni, vero Mike Evans? – marciano a ritmi altissimi ed hanno ottenuto quattro vittorie consecutive, tre delle quali di altissima qualità. Nelle ultime tre uscite Tampa ha avuto ragione di Kansas City nel sempre difficile Arrowhead Stadium, ha vinto in maniera eccellente contro Seattle ed ha rimontato una gara ostica contro San Diego, che in singola partita può mettere in difficoltà chiunque. Il risultato di queste coincidenze porta ora ad un record esattamente uguale in cima alla Division, ed ora tocca proprio ai Falcons, nonostante un calendario sulla carta più agevole, dimostrare di che pasta sono fatti ora che l’inerzia negativa è passata dalla loro parte.

3 – L’infortunio di Earl Thomas complica la vita dei Seahawks

Abbiamo discusso spesso della filosofia del next man up su queste pagine, ma in questo caso ci sentiremmo di fare un’eccezione. Molte squadre, su tutte Minnesota, hanno dimostrato che si può sopravvivere anche senza i propri giocatori chiave giocando un campionato comunque dignitoso, ma la perdita di Earl Thomas per la frattura della tibia ci sembra un colpo molto forte da assorbire anche per un reparto difensivo possente come quello dei Seahawks.

A Seattle qualche lacuna la si è certamente vista, e la stagione non è stata semplice da gestire fino a questo momento. Ci sono problemi di linea offensiva, Russell Wilson è troppo spesso esposto a colpi proibitivi che ad inizio anno ne hanno anche messo a repentaglio l’integrità fisica, l’attacco ha giocato in maniera scostante, a volte completamente insufficiente, ponendo degli effettivi dubbi sulla reale consistenza della comunque pericolosa compagine guidata da Pete Carroll.

Thomas è stato una parte fondamentale della difesa sin dal momento in cui venne draftato, nel 2010, e prima della scorsa settimana (aveva perso la partita contro Tampa per infortunio) aveva giocato 118 partite consecutive facendo da sostanziale regista del reparto, l’uomo onnipresente e capace di intuire lo sviluppo delle varie azioni, delle qualità che Carroll ha sempre utilizzato schierandolo da solo in cima all’allineamento difensivo, rendendo inefficaci molte tracce dei ricevitori avversari. Qualità fisiche ed intellettive come quelle di Thomas sono difficilmente replicabili, e non sarà semplice sostituirlo con un giocatore molto inesperto come Steven Terrell, fatto che potrebbe costringere Carroll a schierare due safety profonde anziché una soltanto, perdendo aggressività vicino alla linea di scrimmage a causa del possibile arretramento di Kam Chancellor.

Non dubitiamo del fatto che la Legion Of Boom serrerà ancora di più le mascelle diventando ancora più aggressiva per onorare il compagno infortunato, e che Seattle morderà ancora più forte perché la critica caricherà maggiori dubbi sul prosieguo del suo campionato, ma Earl Thomas è un pezzo troppo importante del puzzle e la difesa pare destinata a risentire della sua pesantissima assenza per tutta la rimanenza dell’anno.

4 – La Afc South si conferma mediocre

Non che ci volesse un intuito galattico per capirlo, ma lo svolgimento delle varie vicende legate alla Division confermano il fatto che chiunque vada ai playoff vincendo il raggruppamento è destinato a rappresentare l’anello più debole della Afc. I Texans, di cui sospettavamo fortemente già a settembre, hanno mollato gli ormeggi perdendo tutto il vantaggio che avevano accumulato nella prima parte di stagione, i Titans ci piacciono parecchio in prospettiva e stanno crescendo bene ma non sembrano ancora così competitivi come la postseason richiederebbe, ed i Colts dopo aver dimostrato di avere lacune difensive (e qualcuna anche offensiva) tali da presumere una stagione ben al di sotto delle aspettative, ora si trovano alla pari delle due rivali appena menzionate a quota 6-6, in testa alla Afc South.

Giocare una partita complessivamente vicina alla perfezione è certamente sollevante per il morale ma la cosa deve essere soppesata nella maniera corretta considerando che l’avversario affondato portava il nome Jets, e che quindi un’affermazione in trasferta per 41-10 contro un opponente vicino all’inesistente non dovrebbe accendere gli animi in maniera troppo esagerata. Che le cose stiano così a meno, la realtà ci racconta però un’altra storia, e questa vede Indianapolis in vantaggio morale rispetto alle due appaiate a patto che domenica i Colts non manchino l’appuntamento con la vittoria contro Houston, usufruendo del momentum positivo e del calore del pubblico amico.

I Texans arrivano da tre sconfitte in fila e difficilmente avranno voglia di perdere anche la quarta buttando via tutto il lavoro della prima parte di campionato, i Titans hanno perso entrambi i confronti contro Andrew Luck e compagni ed in caso di parità di record sarebbero in ogni caso svantaggiati, ed i Colts rimangono comunque la squadra che sta attraversando il momento più positivo delle compagne di gruppo, anche se la qualità di queste sei vittorie risulta tutt’altro che convincente.

Pensando ai Patriots, alla Afc West, e allo stato di forma di Pittsburgh e Baltimore, gli uomini di Chuck Pagano ci sembrano ancora troppo inferiori per poter incidere nei playoff, ed il pensiero non cambia né per Houston e né per Tennessee.

5 – I Raiders sono pronti a rompere l’incantesimo

Stagione 2002. Praticamente un’altra era di football, dato che i nomi più caldi di quel momento erano John Gruden, Rich Gannon, Bill Callahan, Charlie Garner, Tim Brown e Jerry Rice. Eppure sono i nomi legati all’ultima partecipazione alla postseason da parte dei Raiders, culminata con la deludente sconfitta al Super Bowl contro Tampa Bay, il punto massimo di un triennio che aveva visto la squadra di Al Davis vincere almeno dieci partite in tre stagioni consecutive. Negli anni successivi ci sarebbero volute poco più di due stagioni intere per poter mettere ancora assieme dieci vittorie, un completo disastro generato da mosse di mercato troppo audaci, contratti insensati, salary cap intasato, e scelte al Draft à la JaMarcus Russell, oltre ad una girandola di quarterback ed allenatori che aveva rischiato di deprimere anche il frequentatore più infervorato del leggendario Black Hole.

L’incantesimo è oramai spezzato, poco ci manca. I nuovi Raiders di Jack Del Rio (quando pensate all’ultima volta che Jacksonville è stata una squadra rispettabile ricordatevi molto bene il suo nome), di Derek Carr, di Amari Cooper, di Khalil Mack, sono letteralmente esplosi contro ogni aspettativa. Sarebbe dovuto essere un anno come un altro, un torneo di ulteriore crescita ma non certo da far presumere di raggiungere quota dieci vittorie in dodici partite, considerata la difesa peccaminosa e, tra l’altro, la continua distrazione data dalla possibile nuova sistemazione del team a Las Vegas.

Ora la domanda è diventata improvvisamente un’altra, e riguarda il fatto se la squadra sia pronta a comportarsi in maniera altrettanto prolifica ora che la situazione è psicologicamente differente. Da quattordici anni i Raiders giocano il football di dicembre per provare nuovi giocatori o per guadagnare qualche altra posizione al Draft, non certo per traguardi di alta categoria, ed ora la pressione che li attende non è certo poca. Una prima indicazione ci perverrà di sicuro dalla gara contro i Chiefs, delicatissima per entrambe le squadre in ottica futura, ed Oakland dovrà dimostrare di valere la piazza in cui si trova in questo preciso momento nella Afc, che tanto per farsi un’idea è condivisa con i Patriots.

Per il risultato ottenuto, per l’incantesimo rotto, Jack Del Rio merita forte considerazione per il premio di coach dell’anno. E Derek Carr sta giocando come un legittimo Mvp. In California sperano sia l’apertura di un ciclo simile a quello di Gruden e Callahan.

6 – I Bills no

Puntuali come un orologio svizzero i Bills sono invece scivolati nelle retrovie della Afc, complicando notevolmente la loro situazione e ponendo effettivi dubbi sul fatto che Rex Ryan possa essere l’uomo giusto per cancellare l’assenza attualmente più lunga di una squadra Nfl dalla postseason. Per capire la situazione di Buffalo dobbiamo pensare agli appena menzionati Raiders ed andare indietro nel tempo di altri tre anni, era difatti il campionato 1999 quello in cui si pronunciò la parola playoff dalle parti delle Niagara Falls, ed i Bills vennero eliminati alla Wild Card in una delle dieci partite più pazze di sempre, il Music City Miracle.

I fatti ci raccontano che la squadra non è pronta a vincere quando serve, nonostante i netti miglioramenti offensivi generati dal rapido cambio di offensive coordinator con particolare riferimento ad un gioco di corse da top della Lega. I Bills sono ancora una squadra troppo poco equilibrata per poter competere ad alti livelli, e sono rimasti fermi agli anni scorsi, quando dimostrarono di poter portare a casa uno o due confronti importanti all’anno ma senza dare l’impressione di poter progredire in maniera significativa. E’ una situazione di stallo a dir poco fastidiosa, perché nel ciclo normale del football è certamente preferibile perdere una trentina di partite in un paio d’anni, accumulare un pò di giovani talentuosi, e partire a caccia della risalita che prima o poi arriva per tutti. Non a Buffalo, che vive invece in un limbo fastidioso.

Attualmente la franchigia si trova a due gare di distacco dall’ultimo posto disponibile per i playoff, e la compagnia non manca. Miami e Pittsburgh sono davanti a quota 7-5, la lista di compagini a quota 6-6, che comprende i Bills, è quasi interminabile, e dato il crollo patito contro i Raiders in una gara comandata per tutto il primo tempo è lecito presumere che le possibilità dei Bills siano già terminate qui. Con i playoff fuori portata, a Buffalo sarà necessario sciogliere alcuni nodi importanti: prendere decisioni su Rex e Rob Ryan, capire se Tyrod Taylor possa essere una risposta a lungo termine, sistemare la difesa contro le corse e sperare che Sammy Watkins abbia terminato i suoi problemi fisici.

Troppe domande per poter competere seriamente.

7 – Il futuro di Rob Gronkowski è clamorosamente incerto

Cominciamo con il dire che non ci saremmo mai aspettati di scrivere una frase del genere nemmeno per scherzare. Però sappiamoche il football è tanto stupendo per noi quanto maligno per i suoi protagonisti, ed il domani non è assicurato nemmeno per le superstar più acclamate. E’ il caso del Gronk, un campionissimo che ha riscritto parte della storia del ruolo di tight end a suon di touchdown, un giocatore dominante che ha segnato quest’epoca Nfl in maniera indelebile, ma che ha pure subìto un elenco di interventi chirurgici mica da ridere.

Il più recente riguarda la stessa schiena già oggetto di ben tre operazioni e che fu oggetto di attentissime valutazioni da parte degli staff medici delle varie squadre al momento della sua uscita dal College, l’ernia al disco che ha sancito la fine del campionato del fortissimo tight end comporta anche un altro fatto, che accende una corrente di pensiero secondo la quale i Patriots dovrebbero pensare al loro futuro senza di lui. Questo perché tra un anno ci sarà da discutere di rinnovi contrattuali e le cifre saranno sicuramente esose, non potrebbe essere altrimenti dato il curriculum poco ripetibile che il Gronk può offrire, ma la dirigenza di New England metterà certamente sul piatto il fatto di non voler strapagare un giocatore che per quanto immarcabile sia ha giocato 16 partite solo nei primi due anni di esperienza Nfl, un fatto da non sottovalutare.

La struttura dei Patriots ci fa osare, facendoci sostenere che la squadra non dovrebbe avere grossi problemi nel percorrere una lunga strada nei playoff con diverse speranze di giungere nuovamente al Super Bowl soprattutto considerata la presenza di Martellus Bennett, molto più che una semplice polizza assicurativa per il festaiolo Rob, per cui mettiamoci dell’idea che se a breve le due strade dovessero separarsi, ci sarebbero delle motivazioni ben concrete al di sotto.

8 – David Johnson può dominare la Nfl

David Johnson è diventato cuore ed anima del reparto offensivo dei Cardinals, tanto che un numero altissimo di soluzioni schematiche passa dalle sue gambe senza differenziare troppo le situazioni di corsa da quelle di passaggio. Abbiamo davanti a noi il running back più completo della Nfl, difficilissimo da limitare, un’arma offensiva a 360 gradi che ci ricorda tanto giocatori del recente passato come Brian Westbrook, uno che a metà degli anni duemila poteva tranquillamente fregiarsi del titolo di most complete back in the game.

L’attacco su corsa di Arizona è il settimo di Lega per touchdown segnati, il che ci racconta di come Johnson porti felicemente a termine la maggior parte delle chiamate che gli arrivano nelle ultime 20 yard, ed il bello è che lo fa senza il contributo di alcun compagno, dato che le portate a lui assegnate sono totalmente sproporzionate rispetto a quelle dei suoi backup. All’attualità Johnson non è limitabile da alcuna difesa, e incide sulla gara anche quando il piano di gioco si deve per forza di cose allontanare dal rushing game. Se non corre segna su ricezione, e non gli è certo necessario superare ogni volta le 100 yard per trasferire effetti benefici sulle prestazioni di squadra.

Nelle ultime quattro partite Johnson è stato addirittura migliore che in precedenza, segnando un touchdown su corsa ed uno su ricezione in tre di queste occasioni. E’ un back che non va giù al primo contatto, sa giocare in maniera molto fisica ma possiede un potere di lettura fuori dall’ordinario, percorre i varchi con agilità ed ha movimenti laterali velocissimi per un giocatore dotato di quella massa muscolare. La sua fisicità, unita alla velocità, è un lusso per ogni accoppiamento difensivo gli si voglia abbinare, perché i linebacker se lo perdono sullo sprint, e i defensive back difficilmente riescono a contrastarlo viste le oltre 220 libbre che si porta a passeggio con un tasso atletico da paura.

L’ottantaseiesimo giocatore del Draft 2015 in uscita dalla poco conosciuta Northern Iowa si è trasformato in una superstar. I Cardinals hanno per le mani una perla di rara lucentezza.

9 – Justin Tucker è il re dei kicker

In un campionato contraddistinto da risultati determinati dagli errori dei kicker, Justin Tucker ha dimostrato una forza mentale impressionante, che gli ha permesso di scrivere una stagione fino a questo momento perfetta in un’epoca storica che verrà ricordata per la poca stabilità nel ruolo in cui gioca, e per il consistente abbassamento delle percentuali di realizzazione a seguito dell’arretramento del punto addizionale post-meta.

Abbiamo visto compagini cambiare kicker con una velocità impressionante, assegnare ruoli da titolare dopo competizioni vinte al camp da chicchessia solo per revocare il diritto poche settimane dopo a seguito di insufficienti prove sul campo, abbiamo assistito a crolli verticali come quello occorso al povero Blair Walsh, un ottimo special teamer che non si è più ripreso dall’errore che determinò l’eliminazione dei suoi Vikings dai playoff del 2015 e che oggi si ritrova disoccupato, mentre altri colleghi mantengono misteriosamente il loro lavoro – vero Mike Nugent? – anche dopo aver sbagliato l’impossibile da distanze ravvicinate.

La figura del kicker è troppo spesso sottovalutata, d’accordo che a tutti piace assistere al touchdown, allo spettacolo, al massimo di punti che si possa segnare, ma è proprio lui a togliere le castagne dal fuoco quando c’è seriamente il rischio di bruciarsi. Non è possibile calcolare scientificamente i meriti di Tucker sulle vittorie dei Ravens, ma è possibile correlare le sue ottime prestazioni al salvataggio offensivo di un sistema che fatica come pochi altri a produrre punti e yard. Escludiamo per un attimo l’exploit di domenica scorsa contro Miami e concentriamoci su tutte le conclusioni con le quali Tucker ha fatto la differenza, pensiamo ad ogni volta che i Ravens hanno passato la metà campo senza poi riuscire ad entrare nelle ultime 20 yard (è successo parecchio…) e si sono dovuti affidare al piede del kicker per ricavare tre punti da una situazione difficoltosa, con field goal per altri proibitivi. Il conto preciso non c’è, a meno di sviscerare in maniera maniacale l’esito di ogni drive offensivo di Baltimore, ma il fatto resta ugualmente evidente.

Quello che impressiona maggiormente è il 100% di bersagli centrati da distanze superiori alle 50 yard, percentuale che rassicura John Harbaugh per tutte quelle occasioni in cui deve decidere per un punt con il campo corto oppure per un field goal lungo. La seconda opzione finora gli ha dato sempre ragione, ed un occhio ai punteggi di gare non impossibili contro Cincinnati, Cleveland, Jacksonville e Buffalo dimostrano ampiamente che Tucker ha avuto un peso specifico enorme nel portare a casa il risultato finale, anche senza spulciare gli esiti dei drive di cui sopra.

10 – La stagione dei Panthers è ufficialmente un disastro

I veri Panthers li abbiamo visti in due o tre partite alla fine dei conti, mentre quelli che si sono esibiti a Seattle hanno chiaramente tirato i remi in barca e messo fine ad una stagione dove vincere il Super Bowl dopo la cocente sconfitta dello scorso anno era l’obiettivo primario. Lo spettacolo è stato di dubbio gusto, anche senza necessariamente essere tifosi di Carolina, a partire dall’improbabile primo gioco della gara, dove un Derek Anderson entrato a sostituire Newton per il primo snap del match ha combinato un intercetto con la grossa complicità di Mike Tolbert, dettando il ritmo per il prosieguo della partita.

I Panthers sono stati definitivamente seppelliti, demotivati da un’annata cominciata con il rematch del Super Bowl perso contro i Broncos dell’esordiente Simien e continuata accumulando sconfitte, trovandosi in una situazione di perenne rincorsa che ha trasformato in proibitivo l’obiettivo playoff sin dal primo mese di gioco. Più si discuteva del fatto che i Panthers si sarebbero ripresi, più gli stessi hanno deluso con una puntualità terrificante: l’inizio a quota 1-5 aveva già precluso parecchie strade, sono state perse praticamente tutte le occasioni propizie per risalire la china perlomeno in Division (0-3 nelle prime tre gare contro la Nfc South), e la vittoria contro Arizona – da noi individuata come messa in mostra della vera Carolina per una possibile ripartenza – non ha sortito gli effetti desiderati sul lungo termine.

Non parliamo delle violazioni di dress code di Newton, sarebbe solo un’inutile perdita di tempo per chi legge, i fatti dicono che Carolina ha fatto i conti per tutto l’anno con i vuoti sconquassanti lasciati da Josh Norman nelle secondarie, con infortuni che hanno penalizzato linea offensiva e gioco di corse (l’assenza di Stewart è stata determinante in negativo) e Cam Newton, sotto maggiore pressione, si è rivelato essere un passatore meno efficace rispetto al 2015. Il raccapricciante spettacolo difensivo di Seattle ha messo il punto esclamativo sulla stagione (lo sguardo inceneritore di Luke Kuechly a bordo campo la raccontava lunga…), ora non rimane che rimettere assieme i cocci dello spogliatoio dopo tutto il malumore patito quest’anno e ricominciare in vista di un 2017 di tutto riscatto.

 

3 thoughts on “Ten Weekly Lessons: Week 13

    • se non erro era proprio jon gruden, da poco strappato agli stessi raiders e fratello dell’attuale coach di washington :)

  1. Ma in tutto questo, della squadra che è solo 11 – 1, nemmeno una parola !!!!

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