Dopo l’esaltante vittoria di domenica a San Diego, c’è molto fermento e attenzione intorno ai Dolphins. Un’attenzione del tutto meritata per una squadra che partiva a settembre con più incognite che certezze e che ha aperto il suo 2016 con 4 sconfitte in 5 match, riuscendo a vincere solo contro i derelitti Browns contro cui quest’anno vincono davvero tutti, compresi i morti. Poi però qualcosa è cambiato, i Dolphins hanno spostato l’accento dal proprio altalenante qb e hanno puntato su un pesante gioco di corse, con Jay Ajayi che ha risposto presente all’appello.
Se vogliamo proprio cercare un responsabile per questo netto miglioramento la ricerca finisce non appena analizziamo il coaching staff. Molto merito va dato al capo allenatore Gase e al suo assistente per la difesa Vance Joseph che dopo un periodo di assestamento sono stati capaci di trovare i giusti punti su cui insistere, i giusti giocatori su cui puntare e quelli invece da allontanare e a cui lasciare meno snap e i primi difetti da nascondere o almeno provarci. Il risultato è una squadra giovane e funzionale che però sta ancora imparando a vincere. Tra i giocatori su cui puntare è innegabile che il rb sta ricoprendo un ruolo fondamentale. Il fatto che sia così importante negli schemi di un coach che non ha mai fatto mistero di amare i qb che lanciano e il gioco aereo non fa che aumentare le quotazioni di un giocatore che sta svoltato la stagione della sua squadra e anche la sua carriera.
Oltre al gran numero di yard corse e dei td messi a referto, quello che più colpisce del rb è la sua capacità di non mollare mai. In pochi riuscirebbero a segnare un td da 20 yard, contro la difesa numero uno su corsa subito dopo aver solo perso yard nelle corse precedenti. Contro i Jets invece Jay ha proprio fatto così. Dopo essersi ripetutamente scontrato contro un muro di uomini e la loro dichiarazione a voler interrompere la striscia di partite con più 200 yard corse, Ajayi non si è dato per vinto, ma ha trovato tutta la concentrazione necessaria e ha portato la palla là dove doveva. Una dimostrazione di forza fisica, ma anche mentale, e una grande dimostrazione di maturità per un ragazzo che al primo giorno al college si è subito fatto arrestare per furto, e che poi ha brillantemente superato un legamento e un menisco rotti. La vita da professionista poi non si è presentata da subito facilissima e dalla bassa scelta al draft fino a oggi Jay ha dovuto superare non poche difficoltà. Da vivere il confronto con un Gurley scelto al primo giro nonostante un ginocchio rotto (Ajayi è scivolato al quinto), alla costola rotta il giorno d’esordio, dal rientro in campo quando i Dolphins erano già fuori dai giochi, al debutto del 2016, seduto a casa a guardare i compagni perdere in tv. A questo si deve aggiungere anche il tentativo della società di portare via da Denver CJ Anderson e il conseguente sotteso messaggio che Ajayi non fosse sufficiente per fare il titolare e che il reparto corse avesse bisogno di un altra stella, perchè lui non lo era. E si deve aggiungere anche la firma di un secondo running back, ufficialmente per alternare le corse a rotazione tra i due, ma se il secondo si chiama Arian Foster è evidente che l’iniezione di fiducia per Jay è molto lontana.
Ciliegina sulla torta, a questo punto ad Ajayi viene chiesto di cedere il suo numero proprio al nuovo arrivato Foster. La risposta e un secco no, come secco rimane il suo impegno in allenamento e la capacità di mettersi in gioco per imparare i nuovi schemi e il nuovo stile di coach Gase appena arrivato a Miami. Ora è il quarto giocatore della storia a correre 200 yard back-to-back e il suo successo ha cambiato il volto alla squadra intera e l’affetto di una città intera che ora va allo stadio di più, ci sta per più tempo e ha un giocatore simbolo su cui catalizzare aspettative e speranze. Ajayi inizia quasi ogni corsa prendendo un colpo, ma lo supera e poi non si ferma più. Un atteggiamento che ha preso dalla vicende fuori dal campo e che sta cercando di trasmettere, in campo, a tutta la squadra intera.
Coach Gase fa il lavoro difficile e raffredda gli animi. Se è innegabile che la carica del rb è fondamentale per gli animi e per unire lo spogliatoio, è però altrettanto dubbioso immaginare una sostenibilità di un squadra tanto squilibrata e corse-dipendente. E’ dal 1978 che il regolamento lentamente sposta la bilancia a favore del gioco aereo, difendendo ricevitori e soprattutto qb. Le eccezioni ovviamente ci sono e nel football recente si sono sempre accompagnate a delle grandi difese, su tutte la Seattle del 2013. E’ per questo che poco prima ho citato il defensive coordinator tra le chiavi di volta della stagione. Attualmente la difesa di Miami è la migliore 16°, non proprio eccellente, ma quello che abbiamo visto nelle ultime partite può essere una tendenza in grado di far scalare non pochi posti.
Certo la perdita di Jones è un duro colpo, ma Miami è, con una buona alchimia nella secondaria, in grado di fermare le squadre che lanciano. Cameron Wake sembra essersi tolto 6-7 anni dalla carta d’identità e gioca sui livelli dei miglior Defensive End della lega e soprattutto Suh sembra essere all’inzio della sua migliore stagione e non fa rimpiangere la valangata di milioni che gli sono stati dedicati. Sicuramente i soldi sono tanti e soprattutto incideranno tantissimo sul salary cap dei prossimi anni, arrivanno a toccare da solo un ottavo del totale, a detta degli esperti. Ma immaginiamo dove i Dolphins potrebbero essere senza di lui. Jones e Misi stagione terminata. Howard che ancora non si vede eppure sono nella metà superiore della classifica per miglior difesa. Suh da solo è in grado con la sue abilità da pass rush e da stoppatore di corse a sopperire alle mancanze di una difesa che nonostante tutto si sta imponendo all’attenzione del mondo NFL.
Se, e solo se, la difesa continua a tenere alta la concentrazione, allora un attacco così squilibrato può portare lontano. Non tanto lontano da superare New England, ma abbastanza lontano da lottare per una wild card con i Bills. La concorrenza quest’anno è fortissima e con il resto della Afc non si scherza. Questi Dolphins non possono permettersi ulteriori rallentamenti e ricordando il recente passato di Tannehill, così bravo a perdere ogni sfida decisiva, il cauto ottimismo di cui si parla è decisamente consono. Per i playoff c’è ancora molto da migliorare, ma almeno la star a roster c’è.
Si avvicina agli sport americani grazie a un amico che nel periodo di Jordan e dei Bulls tifa invece per gli Charlotte Hornets. Gli Hornets si trasferiscono in Louisiana ed è amore a prima vista con la città di New Orleans e tutto quello che la circonda, Saints compresi, per i quali matura una venerazione a partire dal 2007 grazie soprattutto ai nomi di Brees e Bush. Da allora appartiene con orgoglio alla “Who Dat Nation”.