1 – La salvezza dei Cardinals si chiama David Johnson
Solo quindici giorni fa i Cardinals erano una delle due squadre – l’altra erano i Panthers – in procinto di cadere nel baratro di una stagione partita con determinate premesse e maturata con effetti esattamente contrari. A differenza dei panteroni della Carolina in Arizona un sistema per raddrizzare le prospettive paiono averlo trovato, e nel mezzo di tutti i micro-fattori che possono contribuire alla svolta di un campionato, all’interno di questo contesto il nome di David Johnson è senza dubbio quello da cerchiare quando si cercano i motivi del turnaround positivo messo in moto dalla squadra guidata dal sapiente Bruce Arians.
Sottolineiamo che l’aver affrontato in rapida successione San Francisco nella gara che ha segnato l’epigrafe di Blaine Gabbert e dei Jets disastrosi ha senza dubbio portato un beneficio, tuttavia non può essere sottovalutata l’importanza capitale che un giocatore dominante come Johnson ha assunto in questo preciso istante. Nelle ultime due settimane il piano di gioco ha visto maggiori opportunità per il running back uscito da Northern Iowa, il quale ha risposto adeguatamente alle varianti offensive approntate dallo staff. Stiamo parlando di 268 yard e 5 mete (!!) nelle due partite più delicate della stagione, e permetteteci di far notare che nonostante la poca caratura delle avversarie poc’anzi citate il punto di pressione dei Cardinals nel dover recuperare un 1-3 era talmente alto da non permettere sbagli di alcun genere e le prestazioni di Johnson, che si è preso le sorti di squadra sulle spalle facendo dimenticare gli intercetti di Palmer e qualche big play di troppo concesso dalla difesa, indicano la fortissima emergenza di un giocatore che si sta affermando tra i migliori running back della Lega. La rimonta porta il suo nome a caratteri cubitali, ed ora la sfida a Seattle è lanciata.
2 – Geno Smith non è la soluzione ai problemi dei Jets
Con una sola vittoria nelle prime sei uscite ci pensano le sole statistiche a condannare i Jets, talmente poche sono state nella storia le squadre in grado di ottenere una qualificazione ai playoff dopo una simile partenza. La postseason si è definitivamente allontanata e le prestazioni sul campo ci avevano già indicato che New York era ben distante dal potervi competere, e la controprova definitiva – quella che pone un pesante macigno sopra a qualsiasi ambizione dei bianco-verdi – è stata fornita dalla terrificante uscita contro i Cardinals nel Monday Night.
Non è tutta una questione di quarterback a nostro modo di vedere, nel senso che Ryan Fitzpatrick è sicuramente un problema, ma non è certo l’unico. Nessuno si aspettava numeri da fantascienza, anche se ad onor del vero l’anno passato qualche bella statistica era stata racimolata, la carriera di Fitz è indicativa della sua cronica tendenza all’errore, ma una stagione con un gioco offensivo anzitutto più ordinato e quindi più prolifico era certamente alla portata del team. Gli intercetti del regista da Harvard sono cresciuti ancora toccando quota 11 a nemmeno metà campionato, i dati sulle conversioni di terzo down sono da ultimi della classe, ma nel minestrone vanno sicuramente gettate alcune falle del roster e le prestazioni complessive della linea offensiva.
Nella formazione bianco-verde, orfana di Eric Decker, manca da tempo un tight end in grado di fare seriamente la differenza in ricezione e la firma del problematico Austin Saferian-Jenkins, una scommessa dubbia, non è detto sia la risposta più convincente del momento. Chi si era illuso del fatto che Matt Forte potesse essersi inventato una seconda carriera si è dovuto ricredere dinanzi alle cifre poste in atto durante le ultime settimane, dopo la sonante vittoria contro Buffalo troppe cose sono cambiate e proprio contro i Bills (era la week 2) si è registrata l’ultima partita rilevante di un Forte che nelle ultime tre settimane ha poi accumulato 27, 53 e 19 yard.
Se vi aggiungiamo una difesa che, oltre ad aver scoperto che Darrelle Revis non è più ciò che fu, ha concesso ai Cardinals 173 assai inconsuete yard su corsa, si evince che inserire Geno Smith in un quadro del genere non è una mossa destinata a migliorare drasticamente la situazione, dato pure l’intercetto che lo scalpitante quarterback di riserva ha lanciato nel garbage-time contro Arizona.
3 – La Nfl deve porre fine alla farsa delle celebrazioni post-touchdown
Ci permettiamo di toglierci un piccolo sassolino dalla scarpa, perché la Nfl sembra davvero destinata a diventare la Lega degli automi. Concordiamo senza dubbio alcuno sul fatto che alcune delle celebrazioni post-meta più accese possano spingersi troppo in là e che certe dimostrazioni troppo colorite vadano eliminate nel momento in cui deridono l’avversario, ma un touchdown conquistato con sudore e fatica, e magari pure con una bella botta ricevuta, va festeggiato come si deve.
Mimare un arco ed una freccia, gettare il pallone dentro ai pali come fossero un canestro improvvisato, far rotolare l’ovale, ballarci attorno, sono tutti piccoli aspetti dello spettacolo che il football racchiude in sè. Si chiama divertimento, ma si traduce nell’impossibilità di far esprimere i giocatori con piena libertà pur rimandendo nella consapevolezza del gesto, consci di non diver superare dei limiti ben precisi. Ci sembra l’ennesima sceriffata, l’ultimo tentativo di controllare esageratamente una Lega che non ha bisogno di freni come questo. In America, di libertà di espressione, ce n’è già poca, nonostante quello che sta scritto nella costituzione.
4 – I Seahawks, zitti zitti, sono sempre lì
Ma come, sono le stesse identiche parole che avevamo scritto esattamente dodici mesi fa? Esatto, ed è evidente che la tendenza dei Seahawks ad essere affossati dai media dopo una sconfitta all’alba della stagione sia un’abitudine da terminare quanto prima. Questi signori sono però abituati a giocare sotto l’occhio del ciclone, arrabbiati neri per come vengono trattati e sottovalutati, rancorosi per non essere considerati al top della Lega nonostante il loro curriculum degli ultimi anni indichi l’esatto contrario.
Seattle, a maggior ragione quando si trova con le spalle al muro (e non è quest’anno il caso…) non va mai presa sottogamba, perché storia insegna che la faccenda si può ritorcere contro in un attimo. Che i ragazzi di Pete Carroll siano ancora una volta pronti a competere per una grossa posta in palio ce lo suggerisce una prestazione difensiva sopra la media come quella stilata contro i Falcons, che di questi tempi sono una vera e propria macchina da guerra offensiva, e contro i quali ancora nessuno aveva trovato rimedio nel settore difesa contro le corse così magistralmente gestite da Kyle Shanahan.
La partita contro Atlanta non è stata certo un senso unico, anzi, scoccia dirlo in ambito Nfl ma è stata una svista arbitrale a decidere la contesa, essendo passata troppo inosservata una chiara interferenza su Julio Jones su un possesso che se completato avrebbe posto i Falcons i condizione di calciare il field goal della possibile vittoria. Però per tutto il primo tempo del grande attacco di Atlanta non v’è stata traccia, Jones è stato incontenibile solo dal terzo quarto in poi quando in precedenza non era quasi giunto a referto, ma la statistica che ha maggiormente impressionato sono state le 50 yard totali sommate dalla premiata ditta Freeman & Coleman, una punizione che i Falcons di questa stagione non avevano mai subìto in precedenza. Chi poteva riuscirvi, se non la difesa di Seattle?
Il matchup ha mantenuto le sue premesse generando una partita bellissima da vedere per tecnicismi assortiti, e speriamo possa ripetersi più in là nella stagione per godere di un altro spettacolo simile a questo.
5 – I Falcons possono essere limitati solo per porzioni di partita
Allacciandoci al discorso di cui sopra, i Falcons ci hanno fornito una partenza molto più convincente rispetto al 5-0 di dodici mesi fa, allora seguito da un pressoché totale afflosciamento e l’esclusione dalla parte della stagione che conta. La differenza sta certamente nella qualità del calendario, tranquillamente giudicabile come ben più tosto rispetto alla stagione 2015, il che fornisce un valore nettamente diverso alle quattro vittorie sino a qui conseguite dalla squadra guidata da Dan Quinn.
Il fattore più in vista è certamente un attacco che nessuno fino a questo momento è riuscito a limitare nella sua totalità: se si tolgono alcune armi alla squadra ne spunta subito un’altra che in qualche modo compensa, e quando si riesce a porre rimedio contrastando entrambi i settori l’arginamento è destinato a durare un tempo solo. Queste sono le indicazioni che ci vengono dettate da quanto abbiamo potuto osservare, e la notizia per Atlanta è assolutamente ottima, perché al netto di infortuni gravi ai protagonisti del reparto potremmo assistere a numerosi altri fuochi artificiali offensivi nell’immediato futuro, con la concretizzazione di un posto ai playoff che, data la crisi apparentemente irreversibile di Carolina, pare molto realizzabile.
Avendo quale punto di estrema forza il gioco di corse e le numerosissime opzioni su cui Matt Ryan può riversare i suoi lanci, aver prodotto così poco a terra sul campo dei Seahawks, essersi visti contenere Jones per tutti i primi trenta minuti di gioco ed essere rimasti in partita per poi rischiare anche di vincerla è un affare che la racconta lunga sulla consistenza di questo attacco, specialmente se poi spuntano fuori dal nulla più totale opzioni poco sospettabili come Levine Toilolo, tutto oro colato per un reparto offensivo che produce ovunque volga il suo sguardo.
6 – La salute di Big Ben si intromette ancora nei piani degli Steelers
Il football è dannatamente divertente soprattutto per un fatto particolare: non si possono fare previsioni su quello che accadrà la domenica successiva. Avevamo lasciato gli Steelers nel mezzo di una striscia vincente che sembrava aver restituito la città dell’acciaio alle prime forze della Afc, grazie a piroette offensive di prima qualità coincise con il rientro in attività di Le’Veon Bell dopo la nota squalifica. Abbiamo ritrovato Pittsburgh nei guai non tanto per l’inopinata sconfitta contro i Dolphins (anche se qualche motivo di preoccupazione effettivamente c’è), piuttosto c’è da pensare allo status di Ben Roethlisberger dopo l’ennesimo infortunio che gli costerà un’assenza che si spera sia quanto di più breve esista al mondo, tanto bisogno hanno gli Steelers del loro navigato condottiero.
La lesione al menisco sinistro ha provocato solo un intervento di pulizia dei vari frammenti evitando uno stop decisamente più lungo, ed ora il rientro di Big Ben si prospetta probabile, ma non definitivo, per l’ottava settimana di gioco, in coincidenza con la più che accesa rivalità contro i Ravens. Si pone ora lo stesso problema del come tenere a debita distanza le concorrenti divisionali e di conference per non perdere troppo terreno, in un momento particolarmente impegnativo che vedrà gli Steelers in campo contro i Patriots già la prossima domenica, non una bellissima notizia se si vanno a rivisitare le statistiche di Landry Jones, il backup di Big Ben, in assenza del titolare.
Il motivo per sperare in bene? Jones studia da quattro anni sotto le indicazioni dell’offensive coordinator Todd Haley, sicuramente un plus se pensiamo al fatto che ogni anno in più di esperienza può portare a migliorare sensibilmente le proprie prestazioni individuali, e gli Steelers contano sul fatto che Landry sia divenuto esattamente ciò che speravano divenisse, un sostituto in grado di non far perdere colpi all’attacco in caso di emergenza. Non aspettiamoci numeri da capogiro, ma un gioco tutto concretezza e solidità, oltre che una dose ancora maggiore di Le’Veon Bell.
7 – I Cowboys sono tranquillamente ascesi al top della Lega
Più passano le settimane e più i Cowboys stanno cementando la loro bellissima realtà di questa insperata stagione sinora vincente, che stando così le cose non ha motivo per cambiare. Oramai non possono più sussistere dubbi sulle capacità di Dak Prescott di saper condurre con maturità un attacco professionistico, la linea offensiva sta giocando secondo le sue qualità dimostrando di essere ancora una delle migliori tre della Nfl, ed il gioco di corse è stato letteralmente ravvivato dalla presenza di Zeke Elliott, rivelatosi essere la pedina mancante per far funzionare tutto il meccanismo a dovere dopo la rinuncia a DeMarco Murray.
Parte dei successi di Dallas è basata sull’equilibrio offensivo, data l’ottima distribuzione delle 425 yard di media scaturite dalle ultime quattro partite, una statistica poco realistica se trasportata in un contesto che vede assente contemporaneamente sia Tony Romo che Dez Bryant, ovvero quelle che sulla carta sarebbero dovute essere le principali risorse offensive. Le cose stanno funzionando così bene che, come sostenevamo la settimana scorsa, non sembra il caso di restituire la buon Tony il ruolo di titolare in un momento dove l’inerzia è così a favore, con cinque vittorie consecutive a fare da corredo al periodo dorato, e soprattutto ogni cosa funziona a meraviglia con protagonisti inattesi che vanno al di là della coppia di rookie più bella del momento, dato che Terrance Williams è tornato ad essere un’opzione rispettabile (cosa che l’anno scorso non era stato) e che Cole Beasley ha massimizzato l’aumento degli snap trascorsi in campo quale conseguenza degli infortuni altrui, diventando anche qualcosa in più della già affidabile opzione da terzo down che era.
Sei partite sono un campione più che sufficiente per cominciare a tirare le prime conclusioni, e con Prescott fermo ad un solo intercetto in tutto il campionato non c’è motivo di pensare che i Cowboys possano concludere questo loro cammino in maniera negativa, a meno di impensabili cataclismi.
8 – LeSean McCoy può riportare i Bills ai playoff
A Buffalo la postseason è un tabù di tale rilevanza che la parola non viene pronunciata nemmeno sotto tortura, per rispettare scaramanzie di vario genere. I Bills adesso però sono sulla mappa, e poco possono fare per evitare le luci della ribalta e le logiche considerazioni sulla possibile fine di un digiuno che sembra non terminare mai, e questo è dato dalle serie di quattro vittorie consecutive che il team di Rex Ryan è inaspettatamente riuscito a confezionare, ponendosi dinanzi agli occhi della Lega come una delle squadre roventi di questo scorcio di football americano.
Dalla terza settimana in poi è letteralmente esploso il gioco di corse, fattore confermato anche dalla vittoria di domenica contro San Francisco, McCoy non pare aver perduto un grammo di agilità rispetto ai suoi giorni migliori e Taylor punisce severamente con le sue gambe ogni distrazione della difesa, componendo un duo largamente responsabile per le 5.6 yard per tentativo e le 998 yard (312 contro i Niners) sinora ottenute, due risultati onestamente stupefacenti. Ma il gioco di corse sfavillante non è l’unico punto che giustifica tutto quello che i Bills hanno ottenuto fino a questo momento.
Il rapporto tra turnover commessi e recuperati è un altro fattore chiave per inquadrare la faccenda, Buffalo ha perso solamente quattro palloni recuperandone dalle mani degli avversari ben dodici, segno della strapotenza del rushing game che permette di non forzare decisioni su lancio, dell’estrema affidabilità di McCoy, e di una difesa finalmente aggressiva, proprio quella che Ryan desiderava mettere in campo in ogni partita. Ora che i Bills sono contemporaneamente nella top ten della Lega per attacco, difesa e special team, bisogna quantomeno considerarli con il giusto rispetto e pensare che forse l’agonia stia per volgere al termine, sempre che la nemesi Belichick non abbia altre sorpresine malefiche per rovinare i piani.
9 – La discesa dei Ravens arriva totalmente inaspettata
Sei settimane di gioco esattamente speculari sono le risultanze di tutti gli sforzi dei Ravens di questa stagione. C’eravamo quasi convinti che fossero tornati alla loro natura di squadra molto forte in difesa, competitiva nonostante la non eccezionale produttività in attacco, o almeno queste erano le indicazioni nate dal 3-0 iniziale, seguito da un record esattamente opposto. Tra le motivazioni di questa imprevista discesa c’è sicuramente una lista di infortuni con pochi eguali nella Lega, un’epidemia che ha fortemente minato la profondità del roster di John Harbaugh nelle ultime due settimane. Già orfani di Marshal Yanda, uno dei migliori offensive linemen in circolazione, Steve Smith, il miglior ricevitore a disposizione nonostante l’età, e C.J. Mosley, linebacker di fondamentale importanza, i Ravens hanno perso pure Jimmy Smith per commozione celebrale e Terrell Suggs per una lesione al bicipite.
Al di là della casistica fisica, che torchia a turno qualsiasi squadra senza fare troppe eccezioni, i Ravens avevano in ogni caso mostrato alcuni segni di cedimento, fatto esemplificato da due sostanziali fattori, ovvero la mancanza di big play offensivi e l’abbondanza di giocate a lunga gittata concesse dalle retrovie, e se il primo può anche rientrare nella cultura di una squadra abituata ad eccellere storicamente con la difesa, il secondo non ha alcun diritto di cittadinanza nel contesto. E’ trascorsa solo una partita dalla sostituzione di Trestman con Mornhinweg, episodio che ha sancito l’avvicendamento nel ruolo di offensive coordinator, ma l’esplosività manca del tutto, Flacco è stranamente impreciso e sconnesso con i suoi ricevitori, e l’unico aspetto che pare funzionare è quel gioco di corse così in difficoltà nel trovare un protagonista ben definito tra un taglio di Forsett, una grande esibizione di West e giovani che cercano di ritagliarsi un po’ di spazio in maniera graduale.
La pressione è evidentemente salita alle stelle dopo tre settimane senza battute d’arresto tramutatesi in una maggiore consapevolezza del proprio reale valore, e decisioni come quella effettuata domenica da Harbaugh, che ha rinunciato ad un comodo field goal per tentare un quarto e uno alla mano solo per fallirlo, sono sintomo che c’è tanta, troppa fretta di rimettere le cose a posto. Poi ci sarebbe da rimarcare il fatto che gente come Odell Beckham è già abbastanza forte di suo, e concedergli 220 yard facendogli riscattare un inizio difficoltoso non è esattamente la migliore delle cure a questo male.
10 – L’attacco dei Lions può produrre anche senza Calvin Johnson
La cronica incostanza dei Lions non allarma più di tanto, forse perché non è una novità e forse perché non ci si attendeva chissà cosa da una squadra che si sapeva essere incompleta ed ora priva pure di un ricevitore di ineguagliabile talento come Calvin Johnson. Non ci saremmo ceto attesi un gruppo in grado di rivaleggiare con le migliori compagini della Nfc, tuttavia i Lions in attacco non sono mai stati malvagi da quando Matthew Stafford ne ha preso le redini e nonostante il ritiro di Megatron la situazione è tutt’altro che precipitata. Certo, c’è da sottolineare che pure la difesa è rimasta quella degli anni scorsi, per cui miracoli faranno certamente fatica ad accaderne ed i destini dei Lions sembrano già ben delineati.
La produttività offensiva vede Detroit inserita nei piani alti della Lega per touchdown segnati su lancio, e non a caso Stafford sta reperendo risorse più o meno ovunque, forse sfruttando il fatto di non essere più costretto ad agganciarsi costantemente a Johnson per trovare una presa sicura, e mancando i raddoppi sul grande campione il ventaglio di possibilità si è evidentemente ampliato. La distribuzione delle 14 mete sinora scagliate dal quarterback proveniente da Georgia è ottimale, con sette giocatori in grado di varcare la soglia della endzone con il pallone ben saldo tra le mani; Marvin Jones si è rivelato una buonissima firma in free agency fino a questo momento diventando il ricevitore primario a disposizione, Golden Tate si è risvegliato proprio domenica scorsa dopo un avvio di stagione sonnacchioso, Anquan Boldin ha dimostrato di avere ancora benzina da consumare ed i vari running back a roster posseggono tutti doti superiori alla media nell’uscire dal backfield per ricevere.
Non saranno da playoff, per quelli è necessaria una difesa assai meno generosa di quella qui presente, ma se non altro i Lions sono divertenti da guardare e capaci di sostituire una grande superstar con una moteplicità di risorse che farebbe comodo a molte squadre che abbiamo citato in questa pagina, per cui una piccola lode ci sentiamo proprio di fargliela.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.