Sono riflessivo, lo so, a volte persino troppo. Tuttavia, per carattere mi piace aspettare a dare un giudizio, mi piace ragionare e trovare un filo logico nelle cose. E’ passata esattamente una settimana dallo svolgimento del primo giro del Draft NFL, quindi ognuno di voi – come, d’altro canto il sottoscritto – avrà goduto della sua consueta dose annua di reportage post-evento in abbondanza, ingurgitando ogni tipo di informazione possibile ed immaginabile cercando di muoversi con disinvoltura tra i più classici voti assegnati al Draft di ogni squadra che ogni sito giornalistico americano deve obbligatoriamente presentare, analizzando presunti vincenti, perdenti e quant’altro. Dalle letture nascono i pensieri, le riflessioni, le considerazioni. Eccone di seguito alcune, raccolte in rare pause dalla vita quotidiana dedicate alla National Football League, partorite dopo che la polvere si è posata per terra.
La vittoria morale dei Jaguars
Gli insospettabili. Se pensate ad una delle peggiori franchigie degli ultimi dieci anni ed il vostro pensiero va in direzione di Jacksonville, non siete certo gli unici. Dite che i numeri non raccontano sempre tutta la verità? Vero, ma per una volta siamo di opinione differente, perché quel 4.82 pesa davvero come un macigno. Ed attenzione, non è una di quelle cifre che tanto va di moda proporre adesso, non sono minuti, non sono punti, non è alcun tipo di rating offensivo o difensivo. E’ semplicemente la media di vittorie ottenute da questa squadra nel corso degli ultimi otto anni, il che corrisponde ad un completo disastro, ad un processo ricostruttivo mai realmente cominciato. Gli ultimi grandi Jaguars, che mai hanno vinto nulla ma che se non altro riuscivano a proporsi come rispettabili, furono quelli di Jack Del Rio, tutto sommato sempre consistenti in regular season eccettuando la parte finale di esperienza sulla sideline dell’attuale head coach dei Raiders, anche se mai convincenti in ambito playoff. Una squadra forse un po’ limitata offensivamente, ma assai ben organizzata dall’altra parte della barricata, materia che Del Rio ha sempre masticato. E quindi, rispettabile.
Recentemente Jacksonville si è invece purtroppo fatta ricordare per gli sprechi al Draft, nonostante il vantaggio di poter selezionare con una certa costanza nelle primissime posizioni. E’ sufficiente ricordarsi di autentiche perle come Blaine Gabbert, decima chiamata assoluta del 2011, della scommessa persa con Justin Blackmon (qui il talento c’era tutto, ma la testa…), e di Luke Joeckel, secondo giocatore assoluto del Draft 2013, che mai ha giocato secondo le alte aspettative che s’erano su di lui riposte, alla faccia dell’offensive tackle perennemente Pro Bowler che poi vuol dire tutto e niente. Oggi, invece, se c’è un team uscito rinforzato dall’ultima tornata di cattura di selezioni collegiali, è proprio questo. Di mezzo c’è stata anche una discreta sfortuna, vedasi il non aver ancora potuto osservare Dante Fowler Jr. far danni nel backfield avversario a causa del grave infortunio al ginocchio nella offseason scorsa, ma scelte e firme di free agency relative al 2016 possono realmente elevare il rendimento futuro di questa squadra così recentemente disastrata. Dopo aver difatti utilizzato parecchie risorse per sistemare le lacune offensive reperendo in Blake Bortles quello che si spera essere il quarterback del futuro ed attorniandolo di molteplici armi (Rashad Greene e la parola sottovalutato le vedo solo io nello stesso contesto?), i Jags hanno rivolto la maggior parte dei pensieri alla difesa, rinforzando istantaneamente le loro secondarie con l’inserimento di Jalen Ramsey, peraltro uno che di aria umida ne ha già respirata tanta a Florida State, e vedendosi recapitato niente meno che la bestia Myles Jack al secondo round, un pacchetto regalo che potrebbe entrare dritto negli annali del Draft.
Una rapida occhiata alla situazione difensiva vede un fronte già in precedenza solido trovare l’aggiunta del prezioso apporto del sottovalutato Malik Jackson, un ottimo contribuente ai recenti successi dei Broncos, un trio di linebacker composto da Posluszny nel mezzo, l’attivissimo Telvin Smith da un lato ed Jack desideroso di rivalsa padrone dell’altra sponda, nonché una secondaria che vedrà il duttile talento di Ramsey inserito da titolare sin dal primo giorno aggiungendo al roster un defensive back estremamente reattivo ed istintivo, completando delle retrovie che hanno acquisito in free agency Tashaun Gipson e che presentano la solidità di veterani come Davon House e Jonathan Cyprien. E se a tutto questo addizioniamo l’esordio di Dante Fowler Jr., a patto che la sua capacità di apporto di pass rush sia rimasta intatta dopo l’intervento al crociato, troviamo legittimo ritenere di aver visto letteralmente di peggio in giro, e che quindi i Jaguars possano pensare, nel giro di un paio di stagioni, di ripresentarsi quale squadra contendente per i playoff della AFC.
I quarterback dei Jets
Lo so, è come sparare sulla croce rossa. Però, ai cari vecchi bianco-verdi, non l’ha certo ordinato il dottore di fare ciò che stanno facendo con le loro stesse mani. Il sacrosanto ruolo di quarterback nella New York sponda Jets è una questione irrisolta oramai da generazioni, in quanto non si è mai trovata quella figura in grado di stabilizzare la posizione per la canonica decade che tutti i general manager sognano, ed i tifosi assieme a loro. Senza nemmeno aprire un’altra pagina di internet per cercare conferme, ricordiamo difatti a memoria Chad Pennington (sì, lo stesso che ha annunciato una delle scelte dei Jets nel fine settimana) come ultimo quarterback rilevante di una franchigia che ne ha viste di tutti i colori, dal famigerato butt-fumble di Mark Sanchez alla tragicomica scoperta del fatto che Geno Smith fosse tutto ad esclusione di un regista di talento. La ricerca, a tratti disperata, si è protratta fino ai giorni nostri, partendo proprio da quel famigerato 2008 in cui il management decise di investire una fortuna per salire ad accaparrarsi Sanchez, auto-privandosi di ulteriori risorse sia in quel Draft che in quello successivo. D’accordo, direte voi, la squadra raggiunse per due volte consecutive la finale della AFC, ma i meriti ci sentiremmo di attribuirli maggiormente alla difesa di Rex Ryan piuttosto che al buon Mark.
Dopo Sanchez i Jets hanno selezionato altri quattro quarterback in svariate posizioni, solo per arrivare a giocare – e neppure male – con Ryan Fitzpatrick titolare, uno che il suo nome al Draft non lo ha mai sentito nominare. Nello scorso fine settimana è arrivata anche la quinta selezione nel ruolo degli ultimi tempi, Christian Hackenberg, per il quale è stato speso un secondo giro in maniera abbastanza misteriosa. Magari da qui a cinque anni verremo clamorosamente smentiti, ma quello che viene d’istinto da chiedersi è il motivo per cui un giocatore che ha disputato delle stagioni collegiali in regresso rispetto agli esordi, che non ha mai vantato delle percentuali di completi soddisfacenti (56% in carriera), e che ha una evidente tendenza all’errore, venga valutato così tanto. E’ sempre il famoso discorso dell’eccessiva richiesta nel ruolo, la stessa che ha trasformato gente come Manuel o Ponder in improbabili primi giri? Ad ogni buon conto, la situazione in casa Jets è così caotica che alla fine ci si è già resi conto che per traghettare l’attacco da qui al 2017 servirà comunque ri-firmare il buon Fitzpatrick accettando parte delle sue condizioni economiche, le quali, considerate le cifre che viaggiano in capo a riserve come Chase Daniel, forse non erano nemmeno del tutto fuori luogo.
C’è speranza per Cleveland?
Forse. Sono cambiate le strutture manageriali della franchigia, è cambiato (per l’ennesima volta) l’allenatore, è cambiato (per la zillionesima volta) il quarterback. Paul DePodesta ha portato un po’ di algoritmi inseriti in statistiche di football americano per creare un nuovo tipo di roster, Hue Jackson sembra un’assunzione promettente anche se ciò era stato sostenuto anche per le precedenti figure di head coach, e l’arrivo di Robert Griffin III potrebbe permettere al medesimo, qualora vincesse il posto di titolare al training camp, di rifarsi una carriera in una piazza che ha bisogno di vincere come l’acqua nel deserto. Dal 2012 ad oggi per ben tre volte i Browns hanno posseduto due selezioni al primo giro, comprendenti le chiamate di Trent Richardson, Brandon Weeden, Justin Gilbert, Johnny Manziel, Danny Shelton e Cameron Erving. Esclusi gli ultimi due nominativi dal conteggio per ovvi motivi, di tutto quel valore rimane solo Gilbert a roster a data odierna, e si tratta per giunta di un giocatore che ha profondamente deluso le aspettative, poco professionale, e che potrebbe davvero giocarsi l’ultima possibilità di dimostrare qualcosa di concreto.
Questi dati li abbiamo tirati fuori non a caso. Come ben sappiamo, Cleveland ha ceduto a Philadelphia la seconda selezione assoluta 2016 per le scelte numero 8, 77 e 100 di quest’annata, una prima del 2017 ed una seconda 2018, per poi cedere a sua volta tale numero 8 ai Titans scendendo alla 15, ricevendo una terza scelta 2016 ed una seconda ulteriore del 2017, l’equivalente di una miniera dorata. Il costo di tutta l’operazione? Una doppia discesa, che ha comunque permesso di prelevare da Baylor uno dei wide receiver maggiormente d’impatto della classe, Corey Coleman, ed una selezione di sesto giro. Una mossa niente meno che ottima e lungimirante, a patto che i Browns sappiano scegliere molto meglio di quanto abbiano fatto nel resoconto di cui sopra. Il futuro si chiama Emmanuel Ogbah, sul quale si proiettano tutte le migliorie in fase di pass rush, per Carl Nassib si profila un lavoro sporco in trincea quale defensive end da 3-4 incaricato quasi esclusivamente di respingere l’avversario creando spazi per gli altri, Shaun Coleman potrebbe essere migliore del terzo giro se dimostrerà di aver recuperato dalla rottura del legamento mediano del ginocchio, un guaio che non gli ha permesso di presenziare agli eventi più importanti dedicati ai ragazzi in uscita dal college. E poi c’è Cody Kessler, che è pur sempre un progetto, ma che gioca in un ruolo interessante: quello di quarterback. Al di là di tutto, ci risentiamo tra cinque anni circa, tempo di valutare le mosse eseguite da qui al 2018. Solo allora sapremo se la cultura perdente avrà definitivamente abbandonato la città.
Il momento del Draft 2016 – grazie Kevin!
Un’immagine vale più di mille parole. Una foto che riassume anche il nostro pensiero, il quale ha spesso elaborato un ritratto controverso di Roger Goodell, che si ostina a voler perseguitare uno dei giocatori che maggiormente hanno arricchito la sua Lega negli ultimi tempi, senza lo straccio di una prova scientifica. Complimenti, andiamo avanti così…e complimenti a Kevin Faulk, che non si è fatto problemi di sorta a manifestare il disappunto della Patriots Nation.
Goff vs Wentz
Il che è un po’ il tema dello scorso anno, sostituendo i suddetti nomi con Winston, Jameis e Mariota, Marcus. Le discussioni sono aperte: hanno fatto bene Rams ed Eagles ad affrontare questo salto triplo per assicurarsi dei prospetti per il futuro? Comunque vada, per entrambi c’è un grosso pentolone pieno di pressione da scoperchiare. Goff arriva dal college di California ed in zona resterà anche a livello professionistico, a lui tocca l’onere di mettere la faccia dinanzi al ritorno dei Rams a Los Angeles cancellando la recente idea che la squadra allora residente a St. Louis aveva dato di sé, ovvero quella di team in procinto di essere lanciato in orbita ma mai in realtà decollato, opinione diffusa ed avvalorata da un’ingiustificata assenza della franchigia dalle recenti edizioni dei playoff nonostante un roster costruito su gioventù e talento, soprattutto in difesa. Wentz giunge in una delle piazze più difficili dell’intera Lega, quella Philadelphia così esigente da non perdonare nessuno al minimo errore, a maggior ragione un quarterback, il giocatore chiave per qualsiasi franchigia miri al Super Bowl. E gli Eagles vi mirano da troppo tempo, per quelli che sono i gusti dei fan.
Impossibile – e ci mancherebbe – prevedere chi tra i due avrà il maggior successo in carriera, possibile invece pensare a chi per primo prenderà in mano le sorti della relativa nuova squadra, fatto che dovrebbe nettamente accadere a favore di Goff, ritenuto maggiormente pronto per esordire da subito tra i pro e idoneo a superare la non irresistibile concorrenza di Nick Foles e Case Keenum, nonché favorito dal vedersi facilitare il compito da un running back potenzialmente letale come Todd Gurley. La situazione di Philadelphia è assai più caotica, per quanto coach Doug Pederson sia fermamente convinto che alla fine Sam Bradford porrà fine allo sciopero che ha indetto a seguito dell’arrivo in città di Wentz, che di un annetto a guardare gli altri giocare avrebbe invece bisogno. Involontaria o no che sia, agli Eagles si è evidentemente innescata una controversia destinata a risolversi in maniera non propriamente facile, e ci vorrà un’impeccabile gestione psicologica del caso. A questo punto, nonostante il rinnovo contrattuale, è chiaro che il futuro di Bradford non è qui efatto più importante di tutti, che Wentz rispecchi abbastanza fedelmente il tipo di regista su cui Pederson intende costruire l’approccio offensivo della sua squadra, traslando in Pennsylvania alcuni dei concetti base della filosofia del grande capo Andy Reid. E da questo punto di vista, la capacità di Carson nell’eseguire ogni traiettoria con perizia ed il suo essere atletico, che tradotto in NFL vuol dire saper scappare dalla pressione più che segnare mete personali su corsa, è indubbio che l’ex North Dakota State sia adatto al compito.
E non scordiamoci che nella corsa verso la gloria potrebbe inserirsi anche Paxton Lynch, finora trattato sempre come il terzo incomodo.
Il buonsenso dei Redskins
Non potevo esimermi dal chiudere con la squadra del cuore. Ne abbiamo viste tante, poveri noi indiani bistrattati e mal digeriti dalla stessa America benpensante che non esiterebbe a cancellare parte del mondo con un qualcosa di nucleare, ma le vicende dell’ultimo anno hanno per il momento dato ragione a coach Gruden. Merito di Scot McCloughan, il general manager dal curriculum di assoluto rispetto con un passato da alcolista anonimo che sa come costruire bene una squadra? Anche, ma non solo. Il Most Valuable (non) Player dei Redskins è proprio il rosso dalle origini irlandesi, che da quando ha preso la sedia di Bruce Allen ha orchestrato due Draft in maniera vicina all’impeccabile, ottimizzando una risorsa che la franchigia aveva puntualmente sprecato da quindici anni a questa parte. Se McCloughan ha plasmato parte dell’attuale roster, a Gruden va l’indubbio merito di aver preso delle decisioni se non altro corrette, anche se queste andranno rivedute e confermate dalla stagione che comincerà a settembre. Una rondine non può fare primavera e la verità definitiva su Capitan Kirk non la conosce nessuno, certo è che c’è in caso di bis di vittoria divisionale c’è in palio un bel contratto a lunga durata per l’ex quarto giro preso da Shanahan nel 2012, e per favorire tale processo è stata aggiunta un’arma potenzialmente molto importante come Josh Doctson, il wide receiver da TCU, arrivato un po’ a sorpresa quando l’opinione diffusa sulla scelta di primo giro dei pellerossa era rivolta ad un uomo di linea o ad un pass rusher.
Doctson è una scelta magari non immediatamente collegabile alle esigenze di squadra, ma era sicuramente il miglior giocatore rimasto a quel punto del primo giro, un’opportunità da non farsi sfuggire per rimpinzare un settore oggi adeguato, ma che domani imporrebbe dei rinnovi troppo onerosi per giocatori come DeSean Jackson e Pierre Garcon. L’inattesa firma di free agency di Josh Norman – una mossa che ha ricordato i Redskins vecchia maniera – ha in ogni caso risolto una necessità latente per le retrovie permettendo di pensare ad altro con il secondo giro, e traducendo il tutto nell’arrivo dell’ibrido Su’a Cravens, che nelle idee della difesa coordinata da Joe Barry potrebbe assumere un ruolo molto simile a quello di Kam Chancellor a Seattle, un qualcosa a cui hanno ad esempio pensato pure i Falcons prendendo Keanu Neal. D’altro canto, sia a Washington che in Georgia vi sono tracce del sistema Seahawks. Kendall Fuller, corner di talento scivolato al terzo round, pare una chiamata solida, ed apparentemente le decisioni di McCloughan sembrano indirizzate verso la tanto sospirata direzione giusta.
Speriamo sia semplicemente la fine di questo lungo esilio.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.