Quella di Denver e Pittsburgh è stata forse la partita meno spettacolare, meno incredibile, meno strana e forse anche meno bella, ma non per questo è stata meno combattuta, meno sudata e meno interessante. Innanzitutto perchè entrambe le squadre hanno dato prova di grande intelligenza tattica e di saper sopravvivere a una partita difficile, giocata male e decisa dalle difese, ma soprattutto perchè anche quest’anno Manning e Brady si scontreranno per il titolo.
In casa Broncos aleggia sempre il nome di Oswailer, ma Kubiak, audacemente e saggiamente è rimasto con Manning. Più per una questione psicologica che per una questione tattica, ma la scelta, col senno di poi si è rivelata vincente e il coach ancora una volta si dimostra perfettamente in grado di gestire lo spogliatoio e una situazione, anche mediaticamente, spinosa. Kubiack infatti non ha ceduto alle pressioni quando la difesa di Pittsburgh per così dire Manning-ready stava mandando gli Steelers in finale. Anzichè puntare sul cambio shock si è preferito restare con Manning e appellarsi alla difesa, cosa che ha funzionato. Fortuna, certo. Ma è pur vero che i colpi di fortuna bisogna saperli sfruttare, ma soprattutto bisogna costruirsi la situazione in cui il suddetto colpo di fortuna può arrivare e qui sta la bravura. E bravura è anche saper portare a casa una partita sofferta, dove sei sempre stato sotto. Questa vittoria è tutta di Kubiak che ha saputo tenere integra la squadra, non farla crollare sotto la pesante pressione e “controllare” il punteggio in attesa della big play che cambia gli equilibri. La pazienza di questa squadra è l’arma in più e in Manning Kubiak troverà sempre un alleato in grado di gestire la fretta, la pressione e mantenere la calma.
I Broncos sanno come vincere le partite dal punteggio ravvicinato e questa esperienza fa molto comodo nella postseason. Manning anche in una giornata non particolarmente brillante ha saputo condurre il drive della vittoria con la sua grandissima capacità di leggere le difese, adattando le chiamate con audible che hanno messo in crisi la difesa giallo-nera. Se infatti fisicamente Manning ricorda da lontano il qb che ha vinto cinque MVP, mentalmente però ha mantenuto la capacità di leggere il campo e gli Steelers, verso la fine del quarto quarto, lo hanno scoperto nel peggior modo possibile.
Senza la difesa di Ware, Miller, Talib and co. adesso saremmo qui a parlare di un’altra partita e lo stesso qb lo ha riconosciuto dichiarando a fine partita che hanno vinto grazie alla difesa e che lui è contento di far parte di questa squadra. Manning deve ringraziare davvero molto gli undici leoni difensivi di Denver perchè è merito loro se può ancora una volta lottare contro Brady per la conference.
Certo però non si può ignorare il fatto che Pittsburgh ha giocato senza le due/tre principali armi a disposizione di Roethlisberger. Antonio Brown fuori causa trauma cranico, Bell oramai ai box da diverso tempo e anche DeAngelo Williams non è stato attivato. Con così tante assenze gli Steelers non hanno niente da rimpiangere, anzi, hanno dimostrato grande preparazione e rabbia agonistica. Tomlin, anche nel finale sotto di 10, ha dimostrato una grandissima abilità nelle scelte e nella gestione del tempo. Purtroppo sono stati puniti da una grande giocata difensiva di Roby e dalla capacità di Manning di tirare fuori il meglio di sé anche nelle difficoltà. Gli occhi e le dita saranno ora puntate sul malcapitato Toussaint che ha commesso il fumble, ma come anche per Walsh di Minnesota accusare e dare colpe è sbagliato. Certo, se perdi la battaglia dei turnover in un campo così difficile quello fa la differenza, ma a dire il vero, Pittsburgh aveva di nuovo palla in mano a tre minuti dalla fine e in 5 snap non ha prodotto nulla dando così di nuovo palla a Denver che ha potuto far scorrere il cronometro e aggiungere punti.
Il doppio possesso di svantaggio accumulato verso fine partita non è colpa di nessuno in particolare e nonostante la sconfitta il bilancio per Pittsburgh è positivo, come positiva è stata tutta la stagione, sempre costellata di infortuni e sempre riportata in pista con grande tenacia e caparbietà. Gli infortuni non vogliono e non possono essere scusanti ma gli Steelers hanno davvero dovuto fare i conti con delle assenze pesantissime. Pouncey, Bell, Brown e Williams sono sono i nomi di più risalto e se nonostante tutto arrivi a giocarti la partita contro la difesa numero 1 della lega senza il ricevitore numero 1 della lega e stai seriamente riuscendo a portarla a casa, allora, al di là dei nomi, qualcosa di buono c’è. C’è infatti un sistema di gioco e una grinta agonistica che possono sopperire alle singole giocate, almeno fino a un certo punto, e c’è soprattutto una grandissima organizzazione di gioco che ha portato Pittsburgh a finire tra i primi cinque attacchi della lega. Di nuovo nonostante tutto. Di questo bisogna dare credito a coach Mike Tomlin che può portare, ancora una volta, in alto questa franchigia.
Se Pittsburgh non ha nulla da rimpiangere nella sconfitta, ha invece molto da rimpiangere Denver, seppure nella vittoria. Mi spiego meglio: per tre quarti di partita è sembrato che Vontaze Burfict fosse una minaccia più grossa di tutta Denver e una vittoria risicata contro una squadra così “danneggiata” non fa ben sperare. Questi Pittsburgh sono poca cosa rispetto ai Pats che hanno dominato (mentalmente più che nel punteggio) i Chiefs che ha loro volta hanno umiliato Denver poco tempo fa… sicuramente qualcosa deve cambiare, e alla svelta, ma se New England appare largamente in vantaggio, non c’è niente di certo perchè Denver può lavorare su quattro punti. Tre e mezzo va, perchè il primo è solo una questione statistica che ha visto Brady perdere 4 volte su 6 in casa di Denver e vincere solo contro Tebow e Kanell, due qb che, mi scuseranno i fans, non hanno lasciato il segno. Non vuol dire niente, ma può aiutare lo spirito. Ben di più aiuta però la consapevolezza di aver già battuto questa squadra a fine novembre, come anche la consapevolezza di cui abbiamo parlato prima di saper vincere le partite col punteggio vicino.
Denver non è squadra da grandi rimonte, ma piazza le big play quando servono. Quarto ma non meno importante punto di forza è rappresentato dal gioco di corsa: quando Denver corre almeno 130 yard ha sempre vinto. Quando riesce a far girare il gameplan di corse può rallentare le difese avversarie, diventare più pericolosa sui lanci ed essere così difficile da battere. E con questa difesa, possono controllare il ritmo e il cronometro delle partite. Belichick e Brady sono avvisati, e non vedono l’ora di scendere in campo. Domenica prossima va in scena un altro spettacolo.
Si avvicina agli sport americani grazie a un amico che nel periodo di Jordan e dei Bulls tifa invece per gli Charlotte Hornets. Gli Hornets si trasferiscono in Louisiana ed è amore a prima vista con la città di New Orleans e tutto quello che la circonda, Saints compresi, per i quali matura una venerazione a partire dal 2007 grazie soprattutto ai nomi di Brees e Bush. Da allora appartiene con orgoglio alla “Who Dat Nation”.