Ebbene sì, è giunto quel momento dell’anno. La stagione regolare NFL è terminata, per qualcuno è già ora di pensare all’anno venturo attraverso le numerose attività da svolgere anche a campionato fermo, per le squadre che invece meglio hanno giocato le loro chance durante l’anno la strada verso il Sogno continua, con un orizzonte che propone delle sfide di Wild Card davvero entusiasmanti, più elettriche rispetto alle ultime due edizioni. Quella che stiamo vivendo è una settimana pazza, se vogliamo contro-tendenza per certi versi, dato l’epilogo di alcune vicende sulle quali l’opinione generale portava in una direzione nettamente differente rispetto agli sviluppi della realtà effettiva delle cose.
Tantissimi sono gli intrecci che è possibile legare tra loro per una Week 17 tutt’altro che soporifera, trame che si infittiscono e creano ulteriore attesa per le partite che verranno, al di là della singola partita in se stessa.
Abbiamo visto la miglior stagione di un quarterback dei Jets prendere vita settimana dopo settimana e non bastare per arrivare alla postseason, e chi avrebbe mai detto che quel regista sarebbe stato proprio Ryan Fitzpatrick, famoso per la folta barba, per la provenienza da Harvard ma anche per la spaventosa tendenza all’intercetto, quest’ultima passata in secondo piano per merito delle numerose spirali vincenti lanciate quest’anno in direzione di Brandon Marshall ed Eric Decker, due acquisizioni recenti che hanno ridefinito le possibilità offensive di una squadra che aveva spesso fatto affidamento su una super difesa per disputare delle annate eccellenti. Sotto chi? Sotto Rex Ryan naturalmente, che non si è fatto sfuggire l’occasione di battere i propri ex-datori di lavoro con una punta di veleno addosso, e chissà di quanti substrati si arricchirà questa rivalità destinata a scrivere interessanti capitoli della AFC East negli anni a venire, con i Jets desiderosi di vendetta nei confronti di questa mancata partecipazione ai playoff, ed i Bills scalpitanti nel voler cancellare una volta per tutte la striscia di assenza dalla postseason più lunga in corso. Ma prima di tentare di rifarsi sui rivali, i biancoverdi sono attesi ad un’ulteriore periodo di riflessione, condannati loro malgrado dai tre intercetti decisivi dello stesso quarterback – tra l’altro un ex-Buffalo – che ha fatto molte delle loro fortune.
Tutti abbiamo in mente i soliti noti quando si tratta di stilare l’elenco di chi probabilmente parteciperà alla cinquantesima edizione del Super Bowl, ma tendiamo a sottovalutare i Kansas City Chiefs, memori del loro recente passato. Eppure questa è una squadra scomoda, la più difficile da incontrare in questo preciso istante. Quella del team di Andy Reid è una corsa più credibile rispetto alla cavalcata di due stagioni fa, quando il bilancio di 11-5 allora ottenuto era il frutto di un calendario tutto sommato agevole e dove la corsa nei playoff finì immediatamente con una pazza sconfitta contro i Colts per 45-44. Fatto sta che dopo un inizio terrificante, 1-5 per chi l’avesse dimenticato, e dopo aver perso Jamaal Charles, solo il pezzo più importante dell’attacco, i Chiefs hanno seminato il panico ovunque vincendo dieci partite di fila. Esatto, quel numero cinque campeggiante nella casella delle sconfitte non è più mutato dal 18 ottobre scorso, frutto dell’ottimo lavoro psicologico svolto da un Reid che ha centrato la terza stagione consecutiva nel Missouri con un record vincente mentre Philadelphia ha già salutato in anticipo Chip Kelly. La ricetta è semplice: una difesa pericolosissima, che si sta esprimendo al massimo del suo potenziale, due linee solide, un quarterback dalle statistiche non spettacolari ma concreto come una roccia a livello decisionale, ed una schiera di running back pronti a produrre al posto del campione affermato. Un concetto che suona felicemente simile a quello che il baffuto Andy applicava a Philadelphia, quando il sistema contava più di chi si trovava in campo ad applicarlo.
Ed ora, Houston, tanti auguri, Watt o non Watt.
Dio solo sa che cosa sta mai accadendo all’attacco di Green Bay, e Mike McCarthy vorrebbe saperlo prima di trovarsi precocemente eliminato da una competizione per la quale i Packers erano considerati dei legittimi favoriti. E’ la stessa compagine che era partita 6-0 sbeffeggiando chiunque l’avesse etichettata come nei guai per la perdita di Jordy Nelson in preseason, Aaron Rodgers è sempre stato mezzo quarterback e mezzo macchina devastante ed in casa dei formaggini non c’era proprio alcun motivo di preoccuparsi, a maggior ragione avendo trovato inaspettatamente libero sul mercato un cavallo di ritorno come James Jones, che del playbook offensivo Packers ha presto ripreso tutte le sfaccettature più minuziose. Il finale di stagione non ha convinto nessuno, nonostante venti giorni fa si parlasse di possibile resurrezione offensiva grazie ad un McCarthy tornato a chiamare di persona i giochi per l’attacco, Rodgers e i suoi ricevitori sono semplicemente fuori sintonia, alcuni turnover di troppo hanno fatto la differenza (ne sanno qualcosa Eddie Lacy e James Starks) ed ora Green Bay andrà ad affrontare da possibile sfavorita i Washington Redskins a Landover, Maryland, sperando che sia proprio questa l’occasione in cui possa essere esorcizzato ogni demonio offensivo. Perché se c’è una cosa che funziona alla grande, quella è proprio la difesa. Poi, però, bisogna anche segnare.
Già, Washington. Quel luogo dove il football è storia e pazzia, e la tradizione fa spesso posto a decisioni inopinate, poco oculate. Non è questo il caso quest’anno, ed abbiamo già eseguito il nostro personale mea culpa nei confronti di Jay Gruden, uno che ha avuto il coraggio di prendere Robert Griffin III e dirgli che la squadra aveva maggiori possibilità di vittoria con Kirk Cousins a premere i bottoni dell’attacco. Una decisione che ogni umano interessato al football aveva giustamente commentato come scellerata, se non altro perché si pensava che il Capitano Kirk fosse semplicemente una macchina da turnover dando conferma dei motivi per cui era valso solamente un quarto giro, ma la stagione si è tramutata in un successo inaspettato nonostante qualche problema difensivo in fase aerea ed un gioco di corse a tratti inesistente, ed oggi nel libro dei record in singola stagione dei Redskins non c’è più scritto Schroeder, ma Cousins. E tutto sembra essere partito da quella fantastica presa di coscienza nei propri mezzi che Kirk ha preso rimontando i Buccaneers nello scontro della Week 7, rischiando di iscrivere Mike Shanahan nel libro dei profeti. You like that?
Ed ora, contro ogni pronostico, arriverà il taglio di RGIII e la scelta della prossima destinazione, che parrebbe propendere verso i Dallas Cowboys iniziando un’ipotetica e potenzialmente eccitante rivalità divisionale che aggiungerebbe pepe ad uno degli scontri più acerbi del football americano, salvo un Tony Romo capace di tenersi in salute. Sempre che Robert Griffin III vinca la concorrenza della testa vuota di Johnny Manziel, che avrebbe espresso un’uguale preferenza per la sua prossima destinazione professionistica, sempre che gli venga data la possibilità di averne una, considerata la sua totale assenza di maturità professionale.
Rivalità divisionale sarà anche quella tra Pittsburgh e Cincinnati, la quale metterà di fronte due squadre con diversi ricorsi storici da mettere in mostra. L’ultima volta che i Bengals vinsero la AFC North – parliamo del 2009 – il sentimento in città era che quell’edizione avrebbe potuto percorrere tanta strada nei playoff, e questo sarebbe anche potuto accadere se Kimo Von Oelhoffen non avesse fatto esplodere il ginocchio di Carson Palmer nelle prime azioni di gioco di quella Wild Card, costringendo Cincy a dire addio ad ogni speranza di poter proseguire in una stagione più che promettente. I Bengals avranno ancora una volta un quarterback infortunato con cui fare i conti, ma in maniera esponenzialmente meno grave rispetto all’ultima occasione in cui ciò accadde. Non sappiamo, mentre scriviamo, se Andy Dalton (infortunio alla mano) sarà certamente della partita ma crediamo che sarà fatto anche l’impossibile affinché venga garantita la sua presenza data l’importanza dello scenario, con i Bengals impegnatissimi a cancellare per sempre quella fastidiosa etichetta di compagine perdente nelle occasioni più importanti. Per tutto l’anno sono stati funzionali in attacco grazie all’esplosività dei singoli elementi, Dalton ha prodotto giocate in ottima quantità e la difesa ha retto bene. Sarebbe un peccato vedere tutto questo ben di Dio sprecato a causa dell’ennesima uscita di scena non preventivata, e nonostante l’occasione persa di saltare la Wild Card Cincinnati farà ogni cosa per tentare la corsa al Super Bowl.
Gli Steelers non difetteranno a livello di motivazioni e talento, rendendo questo scontro ancora più succoso di quanto già non sia. Sono arrivati fino a qui letteralmente incerottati, aggrappati solamente alla grande motivazione che coach Tomlin riesce costantemente a fornire ai cervelli dei suoi giocatori. Hanno perso il loro fortissimo centro, Maurkice Pouncey, il loro tuttofare offensivo, Le’Veon Bell, hanno disputato alcune gare con Michael Vick e Landry Jones da titolari aspettando il rientro di Big Ben da un ginocchio che fortunatamente ha resistito ai possibili nuovi colpi a cui poteva essere esposto, ed ora in infermeria presenzia anche DeAngelo Williams, uno di quelli che questa stagione se l’è caricata sulle spalle tirando fuori dell’ottimo football in un’età dove ogni running back è dato per finito, salvando capre e cavoli.
Finito non è per nulla Adrian Peterson, che continua ad inseguire i suoi due sogni agonistici più ricorrenti: il Super Bowl ed il record di Emmitt Smith. Due imprese titaniche, ma alla portata di un giocatore tra i più straordinari che il football abbia avuto la fortuna di vedere in azione nel corso della sua storia. Come primo passo è arrivata una poco preventivabile vittoria della NFC North, che sarebbe dovuta risultare territorio esclusivo dei Packers salvo le contrarie indicazioni date dal campo, che ha visto All Day e i suoi Vikings imporsi su Green Bay in una sorta di finalina divisionale, fondamentale per il posizionamento finale nella griglia playoff di due squadre già qualificate.
E’ la testimonianza della bontà del lavoro di Mike Zimmer, che di quei Bengals versione 2009 sopra menzionati era l’eccellente defensive coordinator, un coach dalla personalità non esuberante ma non per questo sicura dei propri mezzi, che nel corso di due stagioni a Minneapolis ha letteralmente rivoltato la franchigia togliendola dall’ombra in cui era caduta, afflosciatasi proprio come il tetto del caro vecchio Metrodome. Con un rushing game tornato ad essere possente e spettacolare grazie al reintegro di Peterson ed una difesa aerea molto consistente Zimmer ha dimostrato che si può vincere con costanza anche senza farsi prendere dalle nuove filosofie di moda oggi, gestendo bene i pezzi giusti si può fare strada anche utilizzando metodi offensivi più convenzionali. Teddy Bridgewater non ha giocato male ma gli manca la componente big play ed ha comunque ulteriori margini di crescita, il management ha pescato un jolly come Stefon Diggs da un Draft dove il piccoletto da Maryland era stato abbondantemente snobbato e Peterson, con un anno di inattività agonistica alle spalle, sembra addirittura ringiovanito. Con queste carte da giocarsi i Vikings andranno alla Wild Card contro i redivivi Seahawks, che in tempi non sospetti vi avevamo raccomandato di non dare per morti, una squadra che ha saputo cambiare pelle continuando a vincere, un segno tangibile dell’alto livello detenuto dal coaching staff capeggiato da Pete Carroll. Senza Lynch e Rawls Seattle si è messa a macinare yard aeree da ogni dove, e Wilson, pur costretto a lanciare spesso, ha addirittura migliorato la sua efficienza personale registrando 24 mete ed un solo intercetto nelle ultime sette partite. A Xavier Rhodes, Captain Munnerlyn e Terence Newman andrà il compito di guastargli la festa, mentre l’agile Eric Kendricks ed un Chad Greenway che potrebbe ritirarsi a stagione chiusa tenteranno di vincere ogni battaglia con il rientrante Marshawn Lynch.
Tutto questo mentre c’è fermento anche per chi il campionato l’ha già terminato. Già detto di Philadelphia, c’è anche un’altra rappresentante della NFC East che sarà soggetta agli ordini di un nuovo head coach quando le operazioni riprenderanno, e si tratta dei New York Giants, che hanno ricevuto le dimissioni da Tom Coughlin senza trovarsi l’ingrato compito di doverlo licenziare loro. Era una decisione attesa, c’era solo da capirne la forma, e l’addio a New York di Coughlin ha comunque ottenuto i risultati voluti, essendosi manifestato come un’uscita di scena mutuale comunicata da un coach conscio di aver dato tutto all’organizzazione, che nei confronti del medesimo è solo molto grata nonostante gli alti e bassi, perché due titoli in dodici stagioni non sono esattamente un traguardo alla portata di tutti. Ma Coughlin, sergente di ferro della vecchia scuola, ce l’ha fatta pur partendo sempre da sfavorito, ed un’occhiata alle reazioni di gratitudine di giocatori ed ex-giocatori via farà avere un’idea migliore di cosa il 69enne allenatore abbia rappresentato per chiunque abbia giocato sotto le sue direttive.
Lealtà è anche quella dimostrata dai Colts nei confronti di Chuck Pagano, anche se permangono dei dubbi sul mantenimento dell’asse head coach-general manager, per alcuni il problema latente di Indianapolis. Pagano però ha lo spogliatoio schierato completamente dalla sua parte, e questo, al di là di alcune decisioni criticabili (ricordate il fake punt contro i Patriots?) evidentemente ha avuto il suo peso nella decisione da parte di Jim Irsay di premiare il suo allenatore con altri quattro anni contratto. Certo è che Ryan Grigson, che ha firmato free agent non esattamente consoni come Frank Gore e Andre Johnson, dovrà fare molto, molto di più per risolvere i problemi dei Colts nel prossimo Draft, con un occhio particolare alle due linee. E questa assapora tanto di ultima possibilità per il general manager.
A San Francisco ha invece avuto vita breve la presenza di Jim Tomsula, la coronazione di una stagione fallimentare sotto tutti i punti di vista. Colin Kaepernick è sfiduciato e potrebbe partire, salvo attendere un momento e capire le intenzioni del nuovo coaching staff (se arrivasse Chip Kelly si farebbe interessante, secondo noi). La decisione di Jed York, occupato a prendersi a testate con Jim Harbaugh fino ad arrivare a dividere le rispettive strade all’interno di un percorso vincente, è stata disastrosa.
Ed ora nella baia, anziché competere ancora per il Super Bowl, si limitano a preparare il terreno del Levi’s Stadium per l’avvenimento.
Buoni playoff a tutti.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.