Della posizione di Chip Kelly agli Eagles si è discusso quasi più che non degli imminenti sviluppi sui posizionamenti delle squadre per i prossimi playoff, un argomento certamente caldissimo, frutto di un ambiente notoriamente privo di pazienza da parte degli accaniti fan della squadra della città dell’amore fraterno nei confronti dei risultati positivi.

Dopo tre anni, l'era di Chip Kelly agli Eagles è già finita

Dopo tre anni, l’era di Chip Kelly agli Eagles è già finita

Se da un lato siamo stati abituati a non ascoltare troppo le voci provenienti dai media, perennemente pronti a disquisire su probabili licenziamenti non appena le cose si mettono male, dall’altro c’è da ammettere una franca sensazione di incredulità se pensiamo alla tempistica con cui l’operazione è stata condotta, ponendo improvvisamente fine ad un triennio di alti e bassi con ancora una gara da disputare, nonché con la prospettiva di una offseason che avrebbe potuto rimettere alcune cose a posto.

Il destino di Kelly è stato dettato, i fatti a questo punto dicono, dalla matematica esclusione di Philly dai playoff così come dalla sua personalità ostinata. In corsa per la qualificazione in una division mediocre ma con la possibilità di giocare almeno la Wild Card in casa, gli Eagles si sono lasciati sfuggire l’occasione di rimediare ad una stagione condotta in maniera discutibile, una modalità operativa che si è rispecchiata in risultati non certo conformi a quanto la proprietà della franchigia, capeggiata da Jeffrey Lurie, si attendeva. Attese rispettate o meno, questo sollevamento d’incarico lascia comunque riflettere. Questo perché il Kelly allenatore non aveva ottenuto risultati malvagi, anzi, c’era da stare ben felici di quanto Philadelphia era riuscita a mostrare in campo nei primi due anni dell’esperienza dell’ex head coach di Oregon, seppure con degli aggiustamenti da apportare.

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Shady McCoy, stratosferico nel 2013

Il primo biennio aveva portato un totale di 20 vittorie e 12 sconfitte, una partecipazione ai playoff con annessa esperienza terminata durante la gara di Wild Card (sconfitta contro i Saints sul filo di lana per 26-24), ed una qualificazione mancata alla fine del secondo anno, questo solamente per gli improbabili criteri meritocratici derivanti dal raggruppamento in Division che la NFL mantiene attualmente, dato che con un bilancio di 10-6 le probabilità di centrare i playoff sono sempre alte ma perdono sistematicamente dinanzi alla vittoria divisionale di una qualsiasi compagine che detenga un record inferiore. Kelly, in questo contesto, aveva creato uno dei migliori attacchi della NFL, un fantascientifico prototipo collegiale adattato al professionismo, tanta read option, pochissimi istanti per respirare tra un’azione e l’altra, concetti di no-huddle, e valanghe di punti che cominciavano ad arrivare. Un gioco di corse costantemente produttivo ed una rete di passaggi il cui successo era dettato – per l’appunto – dal successo a terra erano tutti gli ingredienti che avevano sfiancato le difese avversarie, dando l’impressione che quel reparto offensivo potesse segnare a piacimento contro chiunque. E per qualche partita, anche Nick Foles era sembrato un fenomeno.

I problemi erano altri. Gli altissimi ritmi offensivi facevano certamente segnare gli Eagles in pochissimo tempo, ma come la strategia collegiale insegna, meglio avere una difesa in grado di bloccare i contrattacchi avversari altrimenti viene a mancare la seconda parte della filosofia, quella del distacco progressivo nel punteggio. Ed è proprio qui che Kelly, in diverse occasioni, si è irrimediabilmente arenato. Quei ritmi stancavano le difese avversarie come pure la propria, costretta a rientrare in campo con pochissimo riposo a causa dei drive fulminei dell’attacco. Concetti del genere avrebbero richiesto alla difesa in verde delle contromisure in grado di provocare un alto numero di 3 & out, ma non è quasi mai stato così. Segnare la mostruosa cifra di 6.600 e 6.300 punti nelle prime due stagioni non serve a niente se il passivo parla rispettivamente di 6.300 e 6.000. Può funzionare al College, dove il livello atletico, agonistico e talentuoso è inferiore, ma non insegniamo certo noi che la National Football League rappresenta un discorso completamente diverso. E dati gli oltre 5.900 punti concessi in questo campionato, evidentemente Kelly aveva ancora una volta mancato di risolvere il problema tattico più grande della sua potenzialmente meravigliosa macchina da guerra.

DeMarco Murray, per lui una stagione da flop.

DeMarco Murray, per lui una stagione da flop.

In ogni caso, il peso più grande da calcolarsi nelle economie di questo licenziamento è da individuarsi nel Chip Kelly general manager, funzione nella quale il coach ha agito d’impulso più che con il ragionamento, dimostrando la stessa assenza di pazienza in dote ai fan che accorrono allo stadio la domenica. La responsabilità più grande che gli si possa attribuire è quella di aver distrutto il cuore della squadra, intestardendosi sui suoi principi personali, fin troppo evidentemente mirati a ricreare tutto il suo successo ad Oregon. Ha criticato lo stile di corsa di LeSean McCoy sostenendo che non era ciò che serviva a questo sistema, come se 2.300 yard e 24 mete in due stagioni non fossero mai significate nulla. Ha sostituito Shady, leader di franchigia ogni epoca per yard corse, dando un contratto oggi descrivibile come assurdo a DeMarco Murray, solo per vederlo registrare cifre del tutto simili a quelle del suo backup, Ryan Mathews, che tra i due è stato peraltro il più efficace. McCoy, uno degli elementi chiave per il successo di due stagioni fa, è stato scambiato per Kiko Alonso e la sua manciata di tackle stagionali, lontanissima dalla grassa produzione pre-infortunio al crociato patito a Buffalo, ma la provenienza da Oregon ha evidentemente vinto su tutto. E’ stato lasciato andare Evan Mathis, una delle migliori guardie disponibili, che seppure non più giovanissimo non ha faticato a trovare posto in una squadra contendente per il titolo come Denver. E’ stato firmato Byron Maxwell dandogli cifre da shutdown corner, con la differenza che il rendimento non è certo stato conforme all’investimento monetario, quasi a ricordare che se un giocatore disputa grandi partite nel sistema di Pete Carroll ciò non deve necessariamente traslarsi in automatico in un altro ambiente ed in un’altra situazione. Nick Foles è stato scambiato con Sam Bradford, che a giudicare dalla fine che il primo ha fatto a St. Louis è stato un affare per Philadelphia, ma ora l’ex Rams sarà free agent a fine stagione, e pur non avendo giocato male non ha nemmeno lasciato tracce impressionanti del suo operato che giustifichino chissà quali esborsi monetari per tenerlo.

La free agency di Sam Bradford comporterà delle decisioni importanti in offseason

La free agency di Sam Bradford comporterà delle decisioni importanti in offseason

Le strade di Chip Kelly e gli Eagles dovevano dividersi anche per un altro motivo, per quanto sorprendente questo possa ancora risultare. Viene da pensarlo leggendo in giro per il web tutte le dichiarazioni rilasciate dai suoi oramai ex-giocatori, che altro effetto non hanno avuto se non quello di confermare i sentimenti non troppo entusiasmanti che giocatori come McCoy e Boykin avevano espresso al momento della loro partenza da Philadelphia. Qualora a Kelly venisse offerta un’altra possibilità di rivestire un ruolo di head coach NFL, il medesimo dovrebbe quantomeno mutare un atteggiamento poco amichevole nei confronti dei suoi giocatori, facendolo diventare maggiormente interessato alle loro idee e attento all’ascolto dei loro problemi, una mancanza evidenziata dalle testimonianze lette in questi ultimi due giorni. E le voci che ora magicamente si moltiplicano, le quali abbinano con una logica fin troppo sempliciotta Kelly alla panchina di Tennessee per la sola presenza di Mariota, non ci convincono troppo, se non altro perché il rookie ha registrato dei buonissimi progressi nel gestire la posizione adattando la sua mobilità ai metodi tradizionali da tasca, il che sembra andare contro l’innovazione che Chip Kelly non vuole mollare, ostinato nella perseveranza delle sue convinzioni senza che nessuno possa convincerlo del contrario.

Gli Eagles voltano pagina.

La direzione in cui necessitano di andare è semplice, ed è dettata dalle esigenze di squadra. Serve loro un allenatore capace di remare nella medesima direzione dei suoi giocatori, è necessaria la presenza di qualcuno in grado di ristrutturare i concetti difensivi mettendo fine alle pessime statistiche si questo triennio, e riportare quelli offensivi a ritmi un po’ meno sostenuti, pur tenendo conto che il roster – non ultima la linea offensiva – è costruito per la velocità. La franchigia è piena di talento da ambedue le parti del campo, ed è stato peccaminoso vederlo sprecato in questa maniera. Ma soprattutto, serve che venga ben distinta la figura dell’allenatore da quella del general manager, e che le due figure risultino tra loro simbiotiche.

La strada per la ripresa del successo a Philadelphia deve necessariamente ripartire da qui, e con  un po’ di fortuna potrebbe anche non essere così lunga da ripercorrere.

2 thoughts on “Philadelphia e la fine dell’era Kelly

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