Il piano sembrava di quelli perfetti. L’occasione pure.
Bruce Arians ce l’aveva tra le mani come non mai, dopo un passato di interminabile longevità contraddistinto da numerosi incarichi di assistente allenatore offensivo, una posizione di interim head coach portata a termine in quel di Indianapolis nell’anno della malattia di Chuck Pagano, ed infine l’occasione della vita. La carica di capo allenatore degli Arizona Cardinals.
Tutto sembrava collimare. La stagione 2014 era partita sotto i migliori auspici, con la squadra del deserto a presentare una difesa quasi imperforabile, gestita dalle ottime idee di Todd Bowles e dai suoi frequenti mascheramenti dei veri ruoli dei propri giocatori in special modo nelle secondarie, una confusione continua per chi, come il quarterback avversario, doveva cercare di capire nel giro di un paio di secondi quali sarebbero state le responsabilità e le reazioni dello schieramento che aveva di fronte. Il tutto controbilanciato da un attacco migliorabile, ma comunque sufficientemente consistente per giocarsela con tutti quanti sui bassi punteggi, una combinazione che aveva fruttato nove vittorie nelle prime dieci uscite.
Si parlava di Cardinals di nuovo pronti per il Super Bowl perché si sa, se si può vantare una difesa di quel tipo, molto forte contro le corse, un po’ meno contro i passaggi ma quinta di tutto il campionato per punti concessi aggiungendovi un più che soddisfacente rapporto fra palloni persi e recuperati, molta della strada verso i playoff può essersi considerata percorsa. In special modo quando la contendente divisionale più insidiosa, una Seattle che pochi mesi prima aveva smantellato il possente attacco dei Denver Broncos, si era rivelata essere una detentrice del titolo alle prese con una partenza a dir poco a scoppio ritardato.
Sembrava andare tutto per il meglio, almeno fino all’infortunio di Carson Palmer, la cui rottura del legamento crociato anteriore aveva tolto dall’equazione un regista perfetto per le idee filosofiche di Arians, uno al quale non è mai piaciuto mettersi lì a confezionare giochi per guadagni piccoli ma consistenti, un allenatore convinto che la palla debba viaggiare spesso in profondità verticale. La qualificazione alla postseason sarebbe arrivata comunque, ma la corsa verso la gloria si sarebbe interrotta già alla Wild Card. Drew Stanton, un buon backup, aveva cercato di tenere in piedi la baracca prima di patire lui stesso dei problemi di infortunio, Ryan Lindley non era semplicemente adatto al compito e Logan Thomas troppo acerbo per poter contribuire effettivamente. Una stagione potenzialmente dominante si era trasformata in una delusione nonostante Arians avesse più volte dichiarato alla stampa che i Cardinals avrebbero vinto anche senza il loro quarterback titolare, e di quella sensazione entusiastica non erano rimaste che le briciole.
Durante la scorsa offseason Arians ed il suo staff hanno lavorato per ripartire proprio da quel punto, ovvero riproporre una squadra altamente competitiva in difesa e migliorata in attacco, l’unica area di miglioramento sensibile che poteva mancare per definire questa squadra completa, seriamente pronta per traguardi di alto livello. Sperando che la sfortuna guardasse possibilmente altrove. I risultati ottenuti fino a questo momento parlano molto chiaramente e depongono a favore di tutto il lavoro svolto durante la pausa primaverile, con una difesa rimasta inalterata nell’efficienza pur trovandosi costretta a salutare Todd Bowles, assunto dai Jets per diventare il capo allenatore del dopo-Ryan, ed un reparto offensivo progredito in maniera più che concreta, sotto tutti i punti di vista.
Proprio questi ultimi progressi hanno rimesso in pista Arizona quale possibile contender per il titolo, ed il piano che Arians aveva in mente sembra aver preso definitivamente forma.
La difesa sta giocando anche meglio dello scorso anno, per certi versi. E’ un reparto molto profondo, provvisto di ampie rotazioni e di giocatori molto versatili. L’aggressività ne è la caratteristica principale, il talento non manca, ed i concetti difensivi sviluppati da Bowles sono finiti nelle mani sapienti di James Bettcher, il nuovo coordinatore di reparto, un trentasettenne che si è fatto conoscere per aver allenato i linebacker dei Cardinals nei due anni precedenti a questo con ottimi risultati – basti pensare allo sviluppo di Alex Okafor ed al prolungamento della carriera di John Abraham in una posizione nuova – e per essere stato parte dello staff di Pagano ai Colts, proprio in concomitanza della presenza di Arians. Bettcher è stato apprezzato fin da subito per la cura nei dettagli e per la minuziosità con cui analizza ogni aspetto dei suoi giochi difensivi, una pignoleria che ricorda molto da vicino l’attitudine del suo attuale capo. Sotto le sue indicazioni Arizona è riuscita a compiere il salto di qualità richiesto per le yard concesse su passaggio arrivando dai bassifondi NFL dello scorso campionato fino al sesto posto di questo preciso istante guidando la Lega per intercetti presi con 14, ed un contrasto delle corse di già alto livello è ulteriormente salito di tono concedendo non più di 56 yard totali in quattro differenti occasioni. Numeri sicuramente d’èlite.
Così come faceva Bowles in passato, il suo successore riesce a gestire la versatilità degli uomini a sua disposizione camuffando le coperture, continuando a responsabilizzare giocatori come Deone Buchanon, Rashad Johnson ed il mitico Tyrann Mathieu ruotandoli, a seconda delle esigenze, tra le varie posizioni di safety e slot corner, con saltuari assegnamenti da linebacker aggiunto e differenti situazioni di blitz. Ed è bene notare che, nonostante la difesa non disponga di un elemento nemmeno vicino alla doppia cifra di sack, i contributi in tal senso arrivano sostanzialmente da tutte le posizioni difensive, comprese appunto le secondarie.
Offensivamente, giova senza dubbio poter schierare un Carson Palmer in forma smagliante nonostante le trentacinque primavere e la lunga riabilitazione del crociato. E’ un quarterback di grande esperienza, che in carriera non ha mai vinto tanto ma che conosce benissimo le più piccole sfaccettature del gioco, e possiede ancora un tocco di palla perfetto per le filosofie offensive di Arians. Una delle chiavi di volta per i progressi offensivi è da ricondursi nella precisione con cui Palmer imbecca i vari ricevitori, che spesso devono solamente alzare le mani e lasciarsi cadere l’ovale tra le braccia, al resto ci ha già pensato la mano precisa di un quarterback che non ha avuto risentimento alcuno dal recupero dall’infortunio dello scorso campionato. D’altro canto, se Palmer ha affrontato la riabilitazione così come affronta lo studio settimanale del playbook, c’è proprio da stare tranquilli.
Un’altra grossa differenza con l’edizione 2014 riguarda il backfield, dove Arians sta vincendo l’ennesima scommessa della sua carriera. Arizona non ha mai avuto nei tempi recenti un running back così forte da poter risolvere a lungo termine gli interminabili problemi che hanno reso i Cardinals offensivamente prevedibili e limitati. Complici infortuni e scelte di giocatori non adatti al ruolo di portatore di palla primario, gli uomini del deserto si sono trovati ad affrontare un’autentica girandola di giocatori senza mai trovare una soluzione adatta, ma il buon Bruce ha rimediato tirando fuori dal cilindro la firma di Chris Johnson, ritenuto finito da qualsiasi addetto ai lavori ed in ogni caso non più il campione che fu ai Titans, diventato contro ogni previsione il titolare fisso dello spot di running back e rivelatosi altamente produttivo, come rivelano le 4.4 yard per tentativo da lui sinora registrate. Per i Cardinals un’addizione del genere significa molto, in quanto restituisce credibilità all’attacco e vi aggiunge una dimensione quando gli avversari sapevano fin troppo bene di poter limitare i guadagni a terra più facilmente con loro che non con altre squadre. Oltre al fatto che Johnson blocca anche molto bene, prendendosi cura di linebacker in blitz e contribuendo alla creazione di una tasca idonea per far muovere il quarterback (e proteggerne le preziose ginocchia).
Poi c’è Larry, che proprio non vuol saperne di invecchiare e sembra migliorare con il passare del tempo. Il problema è sempre lo stesso e si è ripresentato l’anno passato, adattarsi con troppa frequenza alle abitudini e alle tendenze di un regista sempre diverso, un qualcosa che Fitzgerald, leader ogni epoca dei Cards per yard ricevute, ha comunque sempre affrontato da grande professionista. Tuttavia, da quando è arrivato Palmer in città le cose sono qualitativamente migliorate e questo campionato in particolare sa molto di rinascita per Fitz, che proiettando le medie attuali sull’intera stagione non dovrebbe presentare problema alcuno nel far registrare le migliori statistiche dell’ultimo quadriennio, nel quale non era mai riuscito a superare le 1.000 yard complessive. Il trentaduenne ricevitore non ha mostrato segni di cedimento a livello atletico e continua a rappresentare un’arma importante anche per le giocate a lunga gittata, dato che la sua capacità nel creare distacco dal defensive back è rimasta sostanzialmente immutata con il passare degli anni prendendosi gioco dell’usura delle giunture.
Dietro alle larghe spalle di Larry sta crescendo un po’ alla volta una batteria di ricevitori ancora discontinua da un certo punto di vista, ma se non altro le opzioni sono tante e futuribili. Michael Floyd è stato tra i ricevitori che hanno risentito maggiormente dell’assenza di Palmer, e non casualmente sta ora ritrovando i numeri del suo promettente secondo anno nella Lega, il 2013. John Brown sta progredendo notevolmente rispetto all’anno da rookie, nel quale era stato una piacevole sorpresa passata sotto il radar di tante altre squadre in uscita dalla piccola Pittsburgh State, ed è destinato a ritoccare tutti i massimi in carriera nei vari settori statistici. Il giovane J.J. Nelson ha ancora tanta esperienza da accumulare prima di vedere il campo con più costanza, ma in situazioni isolate ha mostrato potenzialità intriganti per le giocate atte a distendere la difesa in verticale. Infine, il rookie David Johnson, che di ruolo fa il running back, si è ritagliato uno spot da specialista come ricevitore in uscita dal backfield, approfittando degli infortuni che hanno limitato il comunque deludente Andre Ellington.
Visto così, il quadro complessivo non è affatto malvagio.
Certo, va detto che il record combinato delle squadre sinora affrontate da Arizona non è certo straordinario, e che la NFC West non è di sicuro la division di ferro che usava essere nelle ultime due stagioni, dato il calo verticale dei 49ers, la mancata conferma – l’ennesima – delle potenzialità dei Rams e dei Seahawks in crisi proprio come un anno fa, con la notevole differenza che stavolta non paiono riuscire a trovarne un dritto. Va tuttavia sottolineato che il football americano è una disciplina sportiva così poco prevedibile che in singola gara può succedere di tutto, e comunque una continuità del genere (7-2 con una doppia striscia di tre vittorie consecutive, la seconda delle quali ad oggi aperta) è un esercizio di tutt’altro che facile riuscita per chiunque nella NFL.
Ora non resta che terminare nel migliore dei modi questo campionato regolare, che vedrà i Cards impegnati in un test molto interessante come quello di domenica notte contro i Bengals, la ex-squadra di Carson Palmer, reduce dalla prima sconfitta stagionale nello scorso Monday Night, un confronto curioso che incrocerà il passato ed il presente di Cincinnati. Restano quindi tre partite divisionali per chiudere i discorsi (Arizona vanta tre gare di vantaggio sulle inseguitrici) ed impegni dall’alto coefficiente di difficoltà contro Vikings e Packers, cercando di prendersi il vantaggio del campo il più a lungo possibile sgraffignando magari l’agognata bye week, con un occhio ai risultati dell’attuale seed numero uno della NFC, i sinora imbattuti Panthers.
Poi, una volta in campo nel mese di gennaio, nulla è precluso a priori. Così rimanendo lo stato di salute del proprio giocatore chiave, Bruce Arians potrà affrontare i playoff con il quarterback dei suoi desideri, cavalcando i progressi offensivi e tenendo contemporaneamente al guinzaglio gli attacchi avversari. Un lusso che pochi si possono permettere.
Ed ecco che quel progetto rivelatosi così funzionale un anno fa, potrebbe seguire il suo compimento naturale e chissà, magari indicare più chiaramente la direzione da intraprendere per raggiungere quella terra promessa chiamata San Francisco, per quella che sarà un’edizione del Super Bowl più storica di molte altre, una partita che gli Arizona Cardinals credono di poter raggiungere grazie alle loro molteplici qualità, che troppo spesso sono passate inosservate a causa della maggiore esposizione di squadre più pubblicizzate di loro, ma senza dubbio non organizzate allo stesso livello.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.