Un mese di campionato e tanti aspetti legati ai possibili pronostici di questo campionato si sono confermati contrari alle previsioni. Scorrendo la lista del potenziale quartetto favorito per una seria corsa al Super Bowl si poteva facilmente preventivare una reazione di molteplici squadre, motivata da motivazioni tra loro diverse. I New England Patriots non aspettavano che ricominciare a macinare avversari a seguito del Deflategate, dei Seattle Seahawks abbiamo imparato a fidarci pochino perché anche quando partono male sanno poi rimettere le cose a posto ed in ogni caso debbono scacciare una scimmia dalla spalla di non poco conto, ed in fondo si sapeva che Green Bay sarebbe stata da corsa seppur priva di Jordy Nelson.

Del gruppo non facevano parte i Denver Broncos, dati gli scetticismi che hanno attorniato per tutta la offseason la figura di un Peyton Manning mai così vicino al ritiro.

Peyton Manning

Peyton Manning

Il tempo passa anche per i grandi campioni, ed oggi la NFL ha difatti un problema legato all’età media dei suoi quarterback più forti, che naturalmente coinvolge in primis pure il maggiore dei fratelli Manning, visto in inevitabile declino dopo che nel giro di tre stagioni la franchigia diretta a livello manageriale da John Elway pareva avergli spremuto tutte le risorse a disposizione. D’altro canto la carriera di Peyton è oramai agli sgoccioli, e sta vivendo quel particolarmente antipatico momento dove la finestra d’opportunità riduce sempre di più la sua grandezza volgendo il suo ricercato sguardo altrove, per cui, dato anche un epilogo 2014 che assomigliava tanto ad un simbolico passaggio di consegne alla nuova generazione (sconfitta contro Luck al secondo turno di playoff), gli orizzonti altrimenti rosei che si intravedono quando i Broncos giocano in casa in una giornata assolata che poi offre uno dei suoi meravigliosi tramonti violacei mentre ancora la partita è in corso sembravano essere destinati all’oscurità più totale.

Elway ce l’ha messa tutta per creare un binomio sulla carta ideale, allestendo una squadra molto competitiva cui mancava solamente un quarterback, arrivando davvero vicino a colpire il bersaglio. E’ opinione diffusa che i Broncos, pur essendo sempre credibili, si siano giocati l’occasione della vita in quell’anomalo Super Bowl di New York, strano sia per il clima non esattamente caldo che per aver rappresentato una finalissima senza storia che non si vedeva da anni, nella quale tutti ricordano bene quanto dominanti furono i Seahawks nel vincere il loro primo titolo di sempre.

Julius Thomas

Julius Thomas

Ecco dunque spiegato il perché, ai nastri di partenza del presente torneo, Manning e compagni abbiano ricevuto più dubbi che speranze dopo una offseason iniziata in maniera incerta, con il mondo NFL che attendeva al varco la decisione di un possibile ritiro, o di un’ultima corsa da farsi con le ultime forze fisiche rimaste, e la perdita in free agency di un elemento importante come Julius Thomas. Denver non era certo in prima fila nelle considerazioni generali, ma chi pensava che questa fosse una stagione di semplice addio contornata da un ultimo giro degli stadi NFL da parte di una superstar di immensa grandezza è stato categoricamente smentito dal 4-0 con cui si comanda una Division dove la concorrenza vede le quotazioni di Chargers e Chiefs in calo, e quelle dei Raiders in leggero miglioramento, ma sempre con una congrua dose di questioni da risolvere prima di potersi definire guariti dal loro noto mal di playoff. Il che, se correttamente condotto quand’anche l’ultimo scontro interno alla AFC West avrà avuto luogo, potrebbe fornire il vantaggio che tutti cercano quando debbono affrontare il mese di gennaio, ovvero la possibilità di giocare le partite di playoff in casa.

Denver sorprende numericamente, è una delle tre squadre della AFC attualmente imbattute, ma sorprende pure per le  modalità di esecuzione di questa inviolabilità, perché se prima il grande numero di vittorie era dato per la maggior parte dal contributo di un Manning da record e di conseguenza da un attacco in grado di schiacciare chiunque (a parte Seattle…), oggigiorno l’incisività dei fattori pare essersi invertita, e ci si chiede come facciano i Broncos a vantare una posizione di questo tipo quando Peyton è tutt’altro che dominante, e soprattutto quando il fattore che più di altri doveva incedere vista la necessità di proteggere il limitato fisico del quarterback, il gioco di corse, ha finora clamorosamente creato un buco nell’acqua.

Peyton Manning, in questo primo quarto di cammino, non è nemmeno lontanamente vicino all’efficienza offensiva dei suoi giorni migliori, nonché a quella ottenuta dai pari ruolo più giovani e dinamici rispetto a lui (con la dovuta eccezione di Tom Brady, che a livello di età non gli è certo distante), eppure le vittorie fioccano. Per carità, crediamo che nessuno si attendesse un’annata da 55 passaggi da touchdwon e 10 intercetti come quella di due anni or sono, il declino c’è ed è visibile in tutti quei lanci che un tempo Manning non avrebbe mai scagliato fuori misura, nella minor potenza di un braccio cui manca la forza giusta per determinati passaggi, in un bilancio che parla di 6 passaggi vincenti a fronte di 5 intercetti, una statistica difficilmente accostabile ad una squadra imbattuta.

Il decantato gioco di corse che avrebbe dovuto togliere tanta pressione da quel braccio stanco è uno dei peggiori della Lega.

C.J. Anderson

C.J. Anderson

C.J. Anderson, un rookie mai scelto che una stagione fa se ne uscì dal nulla infilando una serie di prestazioni straordinarie, si sta divincolando tra un piccolo infortunio e l’altro senza riuscire a tirare fuori la zampata decisiva, le sue corse si infrangono irrimediabilmente già al primo livello delle difese, alimentando una crisi che sembra non volersene andare. Pur considerando la presenza di questi piccoli problemi fisici è in ogni caso evidente che Anderson non è al momento quel giocatore fondamentale che fu, dato che il numero di azioni nelle quali il difensore di turno arriva a fermarlo al primo placcaggio è frustrante, non c’è segno di quella potenza e di quel movimento di piedi che avevano delineato le caratteristiche di C.J. mettendolo in orbita nella prospettiva di questo campionato, ed oggi il backfield propone un titolare che non riesce più a dimostrarsi esplosivo (siamo sotto le 3 yard di media per portata), ancora a secco di mete, e meno funzionale del backup Ronnie Hillman, l’unico del reparto riuscito a confezionare un big play (TD di 72 yard contro Minnesota) ed a mettere punti a referto (2 mete). Quindi, per il momento, il sogno di riuscire ad imporre con fisicità il proprio rushing game facilitando la vita di Manning, rappresenta un qualcosa di lontano dalla realtà.

Eppure, nonostante tutte le problematiche cui devono far fronte, i Broncos non si sono dimenticati come si vincono le partite. E le ragioni vanno senza dubbio ricercate nell’efficienza del reparto difensivo.

Le radici della versione difensiva targata 2015 dei Broncos vanno ricercate in quella che negli anni è diventata una sorta di famiglia. John Elway, oltre ad aver assunto il suo ex-backup Gary Kubiak per il ruolo di capo allenatore, ha scelto nientemeno che Wade Phillips per la gestione difensiva, una decisione che, come spesso è accaduto nella lunga ed onorata carriera del coordinator, si è subito rivelata vincente. Phillips rivestì già una volta questa posizione a Denver tra il 1989 ed il 1992 per poi venire promosso a head coach nelle due stagioni successive, e nelle sue esperienze in giro per la NFL ha sempre proposto la sua predilezione per la difesa 3-4, impostata sulla forte pressione dei due linebacker esterni, su defensive back capaci di tenere la marcatura permettendo il successo del blitz senza conseguenze dannose per le retrovie, sul lasciare pochissimo respiro a quarterback e running back, impedendo loro di prendere la decisione migliore nel più breve tempo possibile.

Gli elementi necessari ad attuare le filosofie praticate da Phillips hanno trovato una perfetta corrispondenza con il personale qui a disposizione.

Von Miller

Von Miller

Quando si associano le parole Denver e pass rush viene in mente un solo giocatore,Von Miller. Messi oramai da parte i problemi della stagione 2013, quando venne sospeso per le prime sei settimane di gioco a causa della violazione del protocollo NFL sull’uso di sostanze non lecite, per poi rientrare e rompersi il crociato anteriore, Miller è uno dei più significativi maestri del sack della recente generazione, recentemente divenuto il terzo più veloce nella storia a raggiungere i 50 sack di carriera e perennemente in doppia cifra (escludendo l’appena menzionato 2013) in termini di atterramenti del quarterback avversario, un sigillo di garanzia sulla sua costanza di rendimento e sulla sua capacità di battere gli avversari grazie alla combinazione tra potenza e velocità pura.

Se Miller, data appunto la sua costanza, non è certo una novità, i Broncos hanno invece accolto a braccia aperte il ritorno in auge di DeMarcus Ware, che da molti veniva dato per finito a causa dell’età sommata ai tanti problemi fisici che ne hanno minato le prestazioni. Ed è proprio il trentatreenne il secondo elemento chiave dello schieramento, un giocatore che se in salute può fare tantissima differenza (e la fa…4,5 sack in 4 partite…) e che costituisce quella seconda minaccia esterna che mette così tanto in difficoltà la gestione della protezione avversaria, confusa dal dover fronteggiare pericoli consistenti da ambedue i lati esterni.

Se Denver è prima in tutta la Lega per yard e touchdown concessi su passaggio lo deve tanto alla pressione portata quanto alla capacità dei defensive back di restare incollati ai propri assegnamenti durante lo sviluppo dell’azione. Aqib Talib e Chris Harris non hanno certo bisogno di presentazioni e costituiscono una coppia di corner di sicura affidabilità, si può contare su un nickel di talento ed istinto come Bradley Roby, il quale ha personalmente firmato il ritorno di fumble decisivo per l’affermazione contro Kansas City, e l’acquisizione del free agent Darian Stewart si è rivelata più che azzeccata, in quanto permette il lusso di un free safety in grado di concedere solo 3.6 yard per ricezione senza finora subire mete di sua responsabilità.

Il tutto è molto ben complementato dai risultati ottenuti contro le corse, statistica dove i Broncos risultano ottavi per yard concesse di media a gara. Il nose tackle Sylvester Williams, dopo aver patito non poche difficoltà nel liberarsi dai blocchi nei primi due anni di esperienza, è sbocciato in quell’ancora difensiva che Elway si attendeva quando ne fece una prima scelta (Draft 2013), nel cuore della difesa evoluisce un linebacker tutto sostanza come Brandon Marshall, spesso il primo a mettere le mani sul running back.

Il quadro è felicemente completato dal defensive end Malik Jackson, il quale riesce sovente ad ottimizzare le sue doti fisiche naturali, il primo passo bruciante e le braccia lunghe per arrivare a disturbare le azioni del quarterback, fatto che gli ha permesso di accumulare già una decina di pressioni ravvicinate in questo primo mese di gioco, nonché dall’inserimento graduale del rookie Shane Ray, fresco del primo sack di carriera.

Wade Phillips

Wade Phillips

L’attuale posizione di rilievo dei Broncos all’interno della AFC una volta tanto non è farina del sacco di un quarterback tra i più leggendari che la storia abbia conosciuto, un attestato di merito nei confronti di un Elway che spesso ha saputo chiamare il nome giusto al Draft, come pure firmare il personale adatto pescando i free agent corretti, assemblando un roster difensivo giovane e che ha saputo svilupparsi nella direzione giusta in tutti quegli anni dove l’attenzione era comprensibilmente portata via dall’attacco fantascientifico che Manning ha diretto nelle stagioni precedenti a questa.

Se le valutazioni offensive andranno riviste tra qualche tempo in funzione di una maggiore amalgama di una linea offensiva poco esperta i cui elementi stanno imparando un poco alla volta a giocare assieme, fattore che ha la possibilità di incidere positivamente sulla preziosa protezione di Manning e su un auspicabile miglioramento della produzione su corsa, la difesa al momento offre solamente certezze. Nonostante le difficoltà ed i turnover commessi finora i Broncos hanno sempre trovato un modo di vincere le partite, e l’hanno fatto anche quando la palla scottava, contando in parte su un reparto difensivo che ha già segnato due volte.

Se questa fosse stata la difesa opposta ai Seattle Seahawks in occasione di quel doloroso Super Bowl di New York magari le cose sarebbero andate diversamente. Ma quello è il passato, per Denver conta solo il presente, un momento dove bisogna continuare a guardare avanti producendo vittorie su vittorie, cercando di ritrovare la via per la finalissima.

Il primo mese di campionato ha sentenziato che la cosa potrebbe anche essere fattibile.

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