Se si pensa al fatto che i Raiders non si qualificano ai playoff dal 2002, anno in cui persero nettamente il Super Bowl XXXVII contro i Tampa Bay Buccaneers, è inevitabile associare i nero-argento all’etichetta di irrimediabili perdenti, una squadra che negli anni non sempre è stata gestita al meglio a causa delle note fissazioni di un patron come Al Davis, una leggenda, sia ben chiaro, ma non sempre lucido nel tenere le redini dei suoi amati Predoni specialmente nei tempi immediatamente precedenti alla sua scomparsa, quando l’avanzare dell’età aveva certamente contribuito alla creazione di quella situazione di perenne ingabbiamento.
Non si può ignorare come la storia della NFL sia ricca di successi da parte della compagine oggi basata ad Oakland, con diversi periodi passati ad essere indelebilmente marchiati dalle cavalcate gloriose delle squadre allenate prima dall’iconico John Madden e quindi da Tom Flores, e dove sfilarono fior di giocatori come Ken Stabler, recentemente scomparso pure lui, Jim Plunkett, Howie Long e Marcus Allen, solamente per citare alcuni di quei numerosi campioni che portarono in alto questi colori. In quell’epoca, tra la seconda metà degli anni settanta e la prima parte degli anni ottanta, i Raiders erano costantemente al top della Lega, un bilancio in perdita era un fatto più unico che raro, e tante di quelle gloriose edizioni risultavano dominanti ed intimidatorie, in grado di costruirsi una solida reputazione vincente. Proprio tutto il contrario di quanto accaduto negli ultimi tredici anni, dove tante risorse sono state sprecate soprattutto a causa di scelte manageriali a dir poco infelici, conseguite in un salary cap spesso ingolfato da contratti tanto inutili quanto immeritati.
Una buona partenza di campionato nella NFL può voler dire tutto e niente, con i giudizi è sempre necessario andarci con cautela, perché le vicissitudini delle varie squadre possono cambiare repentinamente, sia per cambi di inerzia che per cali improvvisi di forma e concentrazione, senza tenere conto dei numerosi potenziali infortuni che possono colpire chiunque durante un qualsiasi down giocato. Tuttavia, il buon passo che Oakland sta tenendo in questo primo mese di football giocato non è certo passato inosservato, perché se da un lato ci si attendeva una squadra non molto migliorata rispetto alle sue esibizioni del passato recente, dall’altro le prime uscite hanno ridato entusiasmo ad un ambiente che da lunghissimo tempo non riusciva a respirare un po’ di sano ottimismo.
Derek Carr in rampa di lancio?
I motivi di un determinato rendimento sono da ricercarsi in vari settori che possono comporre una squadra: nonostante si predichi il più possibile che questa rimane pur sempre una disciplina dove conta ogni singolo movimento effettuato da ciascuno dei giocatori in campo in un determinato istante, è un’assodata abitudine andare a collegare il rendimento di una franchigia a quello del proprio quarterback, la cui figura viene spesso legata a doppio filo al destino di una squadra, confermando l’abitudine di abbinare le vittorie di un regista al successo di un’intera carriera.
Lo sapevano molto bene i Raiders, che da quando hanno salutato Rich Gannon, il firmatario di quell’ultima cavalcata al Super Bowl, non hanno più reperito un quarterback degno di tale nome. Dopo aver sprecato sin troppe scelte per del talento mal giudicato (l’ombra di JaMarcus Russell incombe ancora negli incubi dei tifosi), sono finalmente pervenute decisioni che sembrano aver portato la franchigia a virare verso la giusta direzione, ed una di queste è rappresentata da Derek Carr, regista disponibile in un Draft come quello del 2014, ritenuto dagli scout come non certo eccelso a livello di talento in questo importantissimo ruolo. In molti, sapendo dell’eterno bisogno di un regista affidabile, si domandavano se i Raiders avrebbero pagato più del dovuto il disperato bisogno di un uomo-franchigia, ma grazie alla pazienza e alla fermezza nel portare fino in fondo le proprie convinzioni alla fine i fatti potrebbero dare ragione alle mosse del management.
In un periodo dove tante altre concorrenti hanno dato il sangue per ottenere un potenziale franchise quarterback, i Raiders non hanno affrettato decisioni e preso ciò che dovevano senza preoccuparsi di regalare scelte in giro per i successivi tre anni (ogni riferimento a Robert Griffin III non è puramente casuale…), ed ecco che la potenziale faccia rappresentativa del nuovo corso è giunta in città solamente al secondo giro, quando normalmente il top delle nuove uscite collegiali è già andato in direzione delle compagini più bisognose. Carr non ha impressionato moltissimo durante il suo anno da rookie e non ha raccolto statistiche in grado di far sobbalzare chicchessia dalla sedia, ma il talento che ha a disposizione non è certo poco e con un anno di esperienza sulle spalle (terminato a quota 3-13) sembra, a giudicare dalle prime tre partite, aver cambiato marcia. Parte del successo dei Raiders va ricondotta proprio a lui, così veloce nel selezionare il ricevitore più adatto a farsi destinatario del pallone dopo aver rapidamente analizzato la tendenza della difesa, dotato di uno spin molto pulito e regolare, ed oggi maggiormente preciso nell’indirizzare le sue traiettorie aeree. Il braccio c’è, anche se magari non possiede ancora quella precisione sul profondo che i grandissimi portano in dote, ma i big play sembrano essere dietro l’angolo.
Le statistiche raccolte sinora parlano chiaro, e raccontano di un attacco decisamente progredito rispetto a dodici mesi fa. La maggiore pulizia della tasca permette a Carr di agire con tranquillità pur mantenendo la già citata velocità di esecuzione, e qui grandi meriti vanno ad una linea offensiva che in tre gare ha concesso un solo sack ai danni del titolare (due sono stati quelli subiti dal backup Matt McGloin), tuttavia va detto che Derek ha aumentato di quasi tre yard la produzione media per ogni lancio, è salito al 63% di completi dopo un’annata da matricola inchiodatasi al 58%, e soprattutto ha avuto molta cura del pallone, centrando cinque passaggi da touchdown a fronte di un solo intercetto.
In un momento dove tanti quarterback che hanno fatto le fortune del gioco stanno inesorabilmente invecchiando, la NFL ha più che mai bisogno di trovare nuovi protagonisti in grado di eccellere, e Carr si sta certamente costruendo una buona nomea, gettando delle interessanti premesse, in special modo dopo essersi dimostrato freddo nel gestire una delicata situazione contro i Ravens, guidando il drive della poco pronosticabile vittoria contro il team di John Harbaugh nel migliore dei modi.
L’effetto Cooper/Crabtree
Vengono in mente tante coppie. Montana e Rice, Marino e Duper, Manning e Harrison. No, non siamo certo a quei livelli, ma il futuro non lo conosce nessuno e sognare ad occhi aperti non è certo proibito. I grandi attacchi sono fatti da grandi assi quarterback-ricevitore, ed è esattamente questo aspetto che i Raiders stanno cercando di coltivare. Il cattivo record dello scorso campionato ha portato un’altra scelta alta, trasformatasi in quello che si spera sia il wide receiver a cui rivolgersi nel momento del bisogno per tanti anni ancora: Amari Cooper sta dando ragione a chi diceva che era una scommessa già vinta per chiunque l’avrebbe selezionato, e dopo un inizio dove ha dovuto fare i conti con l’adattamento al piano superiore sta davvero cominciando a lasciare un’orma imponente sui destini dei suoi colori.
Al suo esordio si è parlato molto dei suoi drop, ma dopo venti giorni di gioco ci si comincia a ricordare solamente della sua eccellente efficienza in fase di conversione di terzi down, un aspetto di capitale importanza per un attacco che in passato non riusciva a restare in campo, e della sua ottima intesa con Carr, con tutti i tifosi nero-argento presi da questo sogno ad occhi aperti, questo tandem del futuro su cui poggiano le speranze di rinascita della franchigia. Dopo un lungo girovagare nel ricercare un punto di riferimento fisso per l’attacco ma ottenendo in cambio solamente ricevitori già cotti, di solo passaggio oppure semplicemente privi del talento necessario, Cooper sembra già essersi impadronito di un ruolo che lo vede come secondo giocatore più ricercato dal quarterback dopo sole tre partite, oltre ad una produzione molto soddisfacente, che al di là dei drop e del fumble commesso domenica contro i Browns lo vede primeggiare in squadra nella categoria delle yard per ricezione, che sono oltre 14.
Il reparto ha finora vissuto pure sul contributo di un giocatore insospettabile come Michael Crabtree, diventato free agent in cerca di vendetta dopo essere stato lasciato andare a cuor leggero dai 49ers, rimanendo nella Baia ma cambiandone la sponda. Coach Jack Del Rio aveva speso per lui parole molto incoraggianti già dalle uscite di preseason, e l’ex Texas Tech ha risposto molto positivamente mettendosi a lavorare duramente in cerca di una stagione di riscatto, dato che nei sette anni di professionismo raramente ha toccato quei vertici che gli erano stati pronosticati in uscita dal College. Quando Cooper è coperto la progressione di letture di Carr va rapidamente a cercare Crabtree, e viceversa.
Tra le chiavi di un attacco nettamente migliorato, la nuova batteria titolare di wide receiver ha certamente giocato un ruolo sinora determinante, anche se è necessario dare atto a Latavius Murray di saper essere decisivo con la sua produzione sulle corse dimostrando di essere l’ennesimo errore di valutazione degli scout, lui che scivolò al sesto giro del Draft 2013 solo per diventare un titolare in grado offrire 4.8 yard per portata, rivelandosi paziente in tutti quei momenti un cui le corse si sono infrante sulla linea di scrimmage per poi trovare la luce qualche istante dopo, dando luogo a galoppate difficili da fermare quando si deve placcare un giocatore così agile e che per giunta pesa quasi 230 libbre.
I problemi difensivi
Nonostante tutto i Raiders sono una squadra lontana dalla perfezione. Fino a quando potranno permettersi di giocare a farsi rimontare senza pesanti conseguenze e come riusciranno a reagire alle possibili brutte giornate dell’attacco con una difesa lacunosa in più di un aspetto?
Un bel quesito a cui rispondere, perché non sempre potrebbe esserci Carr a scagliare la conclusione vincente, o l’invincibile Charles Woodson a registrare l’intercetto salva-figuraccia con un tempismo che lo fa sembrare ancora un ventenne anziché un quasi quarantenne. Di certo l’area più esposta è la difesa contro i passaggi, un tallone d’Achille che specie nei secondi tempi delle partite ha creato problemi, d’altro canto le quasi 1.000 yard concesse nelle tre uscite sinora giocate sono il terzo peggior risultato della Lega. Woodson l’immortale a parte, i giovani si sono fatti battere spesso e volentieri, D.J. Hayden finora non ha dimostrato di essere all’altezza di un’originaria prima scelta e la decisione di firmare il dubbio David Amerson dopo il taglio del medesimo da parte dei Redskins è certamente discutibile, visto il livello di frustrazione che il defensive back è stato in grado di generare dopo alcune delle sue frequenti amnesie.
La situazione potrebbe migliorare con una pass rush più consistente, che di solito è la cura più efficace per mascherare i problemi in copertura, ma da questo punto di vista i Raiders sono buoni e nulla più, quando invece necessiterebbero di diventare dominanti. Le armi per fare male agli avversari ci sono, oltre alla giusta dose di veterani capeggiata da Justin Tuck c’è la consistenza di un incredibile giovane atleta come Khalil Mack, che quest’anno sta giocando alcuni down da defensive end, senza dimenticarsi dell’addizione di Aldon Smith, certamente sospettabile per i numerosi problemi fuori dal campo, ma intrigante se si pensa ai suoi anni migliori con San Francisco, quand’era diventato un autentico terrore per ogni quarterback affrontato. E’ una difesa non priva di problemi ma che se non altro sembra avere un atteggiamento più combattivo, un risultato ottenuto grazie anche alle aggiunte di Malcolm Smith e Curtis Lofton, due veterani di sicuro rendimento che hanno reso spendibile Sio Moore, e responsabili di una parte interna (quando lo schieramento è la 3-4, altrimenti Smith si sposta all’esterno) del settore linebacker che può fornire giocate importanti.
E’ ancora presto per stabilire se i Raiders siano guariti dal persistente mal di playoff, ma i primi passi mossi in questo campionato sembrano puntare verso la giusta direzione. E’ sempre la squadra dei Davis, oggi al timone c’è Mark, il figlio dell’indimenticato Al, ma qualcosa sembra davvero cambiato, e non c’è più quella sensazione stagnante di pessimismo e frustrazione che permeava l’ambiente fino a poco tempo fa. Finora gli avversari affrontati non erano tra i primi della classe – con l’eccezione dei Bengals – ma il 2-1 di questo avvio suona davvero incoraggiante. Ci sono numerosi altri test da giocare e le partite interne alla AFC West non sono ancora cominciate, ma se non altro in quel di Oakland si intravede un qualcosa che prima era totalmente oscurato: un orizzonte che prima o poi potrebbe tingersi dei colori giusti, rigorosamente Silver & Black.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.