Il drive di apertura è sempre difficile perché sei ancora freddo, poco nella partita e perché hai paura di sbagliare. In un modo o nell’altro è una dichiarazione d’intenti e quella di Indianapolis ieri sera ha messo in chiaro le cose: nel primo possesso, portato in td c’è tutto, lanci lungi, lanci corti, screen, corse, protezione del qb e tanta concentrazione. Una dichiarazione d’intenti che si è fatta sentire soprattutto dal punto di vista dell’atteggiamento duro e deciso proprio nel momento in cui te lo aspetti da una squadra che sa di avere molto da dimostrare.
I Colts infatti per il terzo anno consecutivo hanno vinto la division, ma continuano a non convincere. C’è qualcosa nella facilità con cui si qualificano alla postseason che provoca borbottii e suscita antipatie. La AFC South è da tempo la division più soft della lega e Indianapolis ha portato a casa il compitino con il minimo sforzo: vittoria contro le deboli (molte) e sconfitte contro tutte le dirette concorrenti. Nonostante il talento indiscusso di Luck, capace di guadagnare i playoff in tutte e tre le sue stagioni, i Colts non hanno saputo vincere tante partite toste, quelle contro gli avversari difficili, giocate sul filo del rasoio e con pochi punti di distacco. Luck ha dimostrato di essere quel giocatore in grado di spostare gli equilibri e vincere le partite, basti vedere il wild card turn dell’anno scorso contro Kansas City, ma la squadra troppe volte si è dimostrata talmente soft da sollevare rimostranze sulle apparenze consecutive ai playoff. Ai Colts mancano continuità e identità.
In questo clima Luck e compagni mettono a tacere, per almeno una settimana, tutti i detrattori. Al di là dei numeri Andrew mette a referto una delle sue migliori prestazioni. Le statistiche infatti non sono stellari (70,5% di completi e una media di 8,55 yard per passaggio), ma quello che ha impressionato è stata la solidità della sua prestazione e ancora una volta il qb al terzo anno da professionista ha dimostrato di poter fare tutto. Luck semplicemente ha fatto quello che doveva fare trovando i ricevitori al momento giusto e non arrivando mai al punto in cui rischiare l’errore. Una gestione delle partita da vero veterano. Luck ha saputo colpire la sottovalutata secondaria di Cincinnati sia sotto pressione che quando era invece protetto nella tasca.
Ha alternato lanci veloci con lanci lunghi e screen con un’intelligenza tale che anche un’ottima difesa come quella dei Bengals semplicemente non ha capito nulla e non è riuscita a prevedere nulla. Alcuni dei suoi lanci sono giocate in finestre così strette che pochi, pochissimi, qb possono permettersi e molti dei completi sono arrivati con lanci che altri quarterback non avrebbero le pall… il coraggio di provare. Insomma, quella di Luck, sembra proprio essere la sua migliore partita dell’anno e l’ha tirata fuori dal cilindro proprio nel momento migliore, quando tutta la squadra necessitava di una scossa.
Luck è stato sensazionale, e lo sarebbe stato di più se non fosse per i tantissimi drop che hanno lasciato indietro molte yard, ma la vera grande novità è che ieri sera si è vista una vittoria di squadra. I Colts hanno subito guadagnato 7 punti e non hanno più perso il controllo della situazione rispondendo coi punti necessari alle corse di Hill e al momentaneo pareggio. Dopo aver concesso un solo lunghissimo calcio il secondo tempo vede un altro shutdown e i Colts si portano a casa la vittoria coronata da un td magistrale: palla a Luck, sguardo sul campo per accorgersi della pressione della difesa e della tasca che crolla, passi in avanti per creare spazio che non c’è, lancio con le caviglie bloccate dal difensore mentre cade in avanti, presa di Moncrief. Un capolavoro.
Non tutto quello di ieri sera sono però rose perché già si pensa al domani. Indianapolis lontana da casa sembra un’altra squadra e non ha giocato bene con le squadre di alto livello a causa soprattutto della mancanza di pass rush. A Denver sarà la partita della verità. La vittoria non è obbligatoria ma almeno serviranno delle conferme perchè se Luck e i Colts non sono entrati ai playoff in maniera particolarmente brillante, hanno però messo in piedi la migliore prestazione corale da quando avevano lasciato a zero proprio i Bengals e la necessità di dimostrare di non essere dei fuochi fatui si è fatta impellente. Andrew Luck è quell’x-factor che obbliga tutti a non dare per scontato il risultato di Denver e dovrà condurre la squadra come non ha fatto mai.
I Bengals da parte loro per la quarta volta consecutiva perdono alla prima giornata di postseason e la storia dei qd sembra essere agli opposti. Se da una parte è stato sacrificato Manning per un “Manning del futuro”, dall’altra parte Dalton non riesce a scrollarsi di dosso l’aura da eterna promessa che quando sembra sul punto di esplodere invece scoppia a pochi passi dalla consacrazione. Essere senza vittorie in postseason è un bottino magro magro, e Dalton, capitano e leader, è il bersaglio delle critiche per l’ennesima rapida eliminazione dai campi che contano soprattutto perché non essere mai riusciti a raccogliere più di 13 punti nella post season mostra come Dalton si sgretoli sotto le pressioni e l’alta attenzione propria dei playoff. Ieri sera il qb di Cincinnati ha lanciato per sole 155 yards completando 18 passaggi su 35 tentati. Poca roba. In più, il solo passaggio registrato come più lungo di 20 yards è in realtà merito del guadagno di Burkhead dopo aver preso l’ovale.
La dirigenza ha firmato un contrattone dimostrando di credere nel proprio qb, ma appena finito il primo anno di 6 a quasi 100 milioni, se non si può voltare pagina sicuramente salgono i dubbi. Nella offseason si dovrebbe affiancare un veterano sicuro per stimolare e aiutare Dalton a migliorare i cali di concentrazione che minano la sua carriera. Il braccio è molto buono e quando tutto gira Dalton ha dei numeri non marginali, ma appena la situazione non è più quella ideale la precisione cala e aumentano gli errori, anche gravi. Dalton rimane un punto interrogativo nei big match.
Il resto della squadra ha cercato come ha potuto di aiutare il proprio qb. La linea offensiva ha protetto bene, lo special team ha fatto il proprio dovere senza lode e senza infamia, il gioco di corse è stato limitato ma neanche troppo e la difesa ha fatto quello che poteva contro un Luck in pieno spolvero capace di lanciare mentre viene colpito o di anticipare i blitz. Ieri sera la sconfitta è di Dalton e del coach Lewis che non ha saputo tenere psicologicamente insieme una squadra “provinciale” e poco abituata ai grandi palcoscenici. Lewis non è ancora stato in grado di vincere una sola partita di playoff e le ragioni per cercare un’altra guida ci sarebbero, ma se pensiamo a come erano i Bengals prima di lui allora forse continuare col proprio coach sembra essere la soluzione migliore. Le assenze pesanti di AJ Green e del tight end Gresham non devono essere delle attenuanti per le sole 95 yards accumulate in quasi tre quarti di partita. Davvero troppo poco per pensare di poter competere a questi livelli.
Nonostante l’ottima vittoria di ieri la strada per i Colts è ancora più in salita. Come l’anno scorso l’AFC Championship deve passare da Brady e Manning. L’anno scorso il cammino verso il livello successivo è stato bruscamente interrotto dalla lezione di football subita a Foxborough, quest’anno sarà invece Manning l’avversario contro cui Luck dovrà giocarsi l’ingresso nel pantheon dei grandi qb. L’imperativo è imparare dalle sconfitte passate, non ripetere gli errori e dimostrare che i Colts sanno vincere anche contro squadre di alto livello.
Si avvicina agli sport americani grazie a un amico che nel periodo di Jordan e dei Bulls tifa invece per gli Charlotte Hornets. Gli Hornets si trasferiscono in Louisiana ed è amore a prima vista con la città di New Orleans e tutto quello che la circonda, Saints compresi, per i quali matura una venerazione a partire dal 2007 grazie soprattutto ai nomi di Brees e Bush. Da allora appartiene con orgoglio alla “Who Dat Nation”.
Non sono un appassionato estimatore di Dalton, ma a mio parere la sua prova va valutata anche alla luce delle pesanti assenze lamentate da Cincinnati: quando ti mancano i due bersagli principali (Green e Gresham) è dura per qualsiasi QB. Ieri l’unico ricevitore dei Bengals all’altezza di un match di playoff è sembrato Tate.