Gli Eagles hanno chiuso la stagione con record vincente e ben 10 vittorie, ma non approdano ai playoff e la frustrazione è alta perchè mancare la postseason dopo il promettente inizio di stagione e le buone cose messe in mostra anche dopo l’infortunio a Foles lascia davvero l’amaro in bocca. Arrabbiarsi con l’organizzazione della lega che elimina Philadelphia e qualifica invece i Panthers pur con record negativo sarebbe troppo facile. Certo fa giustamente un po’ discutere, ma Philadelphia non deve cercare le cause dell’eliminazione da nessuna parte se non in casa propria. Le prestazioni altalenanti di Sanchez hanno influito in maniera consistente, ma il problema va oltre i singoli. Philadelphia non è ancora pronta per i riflettori della post season ed è stato facile vedere la regressione che ha colpito la squadra intera nelle ultime uscite.
Una regressione dettata da un semplice fatto: le favorevoli combinazioni astrali del 2013 sono venute meno e gli Eagles hanno dovuto fare i conti con la dura realtà. Lo scorso anno Philadelphia aveva uno dei calendari più facili della lega, nessuno del roster ha subito infortuni considerevoli e Foles, subentrato in corsa, ha messo in piedi una serie di performance incredibili che quasi facevano gridare alla straordinarietà grazie anche al contributo di Jackson come WR e al miglior gioco di corse della lega. Quest’anno non tutto si è ripetuto: le corse sono precipitate in termini di consistenza lasciando più dubbi che giocate, Jackson ha lasciato le aquile, gli infortuni si sono accumulati uno dietro l’altro e il calendario ha visto l’incrocio con la NFC West, una division con cui non si scherza. Già a inizio stagione, quando Philadelphia era prima con un promettente 3-0, avevamo riconosciuto grandi potenzialità alla squadra raccontando come dal braccio di Foles potessero passare i punti necessari a recuperare un gap difensivo importante.
Contemporaneamente però facevamo notare come riuscire a segnare sempre un punto in più degli avversari non fosse una buona strategia perchè basata su un equilibrio estremamente delicato. Equilibrio che si è puntualmente incrinato quando si è alzato il tiro degli avversari e le sconfitte contro Arizona e San Francisco lo hanno dimostrato. Con un calendario tosto gli Eagles hanno dimostrato di non avere un roster all’altezza, sopratutto dalla parte difensiva della squadra, ma hanno però dimostrato di avere un eccellente head coach quando, anche senza il qb titolare, sono arrivate vittorie e prestazioni di ottimo livello. Chip Kelly ha saputo costruire davvero una squadra, dove il meccanismo è il vero padrone e vince sugli elementi singoli. Un sistema che sulla carta sembra invincibile, ma che per forza di cose deve avere giocatori in grado di portare a casa il proprio compito ed è qui che nasce il grosso problema di Kelly e degli Eagles.
Le prestazioni corali, quando davvero corali, sono state di altissimo livello, e su tutte ricordiamo la vittoria proprio contro Carolina, ma quando la difesa non ha tenuto e il resto della squadra non ha saputo mettere il backup qb nelle migliori condizioni, il braccio di Sanchez si è dimostrato inaffidabile se messo sotto pressione e costretto a grosse rimonte. Inizialmente il sistema di Philadelphia era molto precario e di fronte agli infortuni importanti lo è diventato ancora di più. Non c’era davvero margine per errori, ma Sanchez di errori ne commette e il roster non è stato in grado di limitarli o evitarli del tutto. Al contrario poi uno o due errori gravi della squadra non sarebbero costati le sconfitte che sono invece arrivate se Sanchez fosse stato in grado di trovare un paio di big plays, cosa che non ha fatto, o se semplicemente non avesse a sua volta commesso altri sbagli.
Se le colpe dei singoli sono costate, ma nono sono così facilmente identificabili come le sole responsabili di tutte le sconfitte, è perché c’è stata una valutazione sommaria dei reali bisogni della squadra durante la off-season e non c’è stato un upgrade del roster per migliorare a sufficienza la formazione. Gli innesti della free agency hanno portato ottimi comprimari ma nessuna stella e le scelte al draft sono state degli investimenti sul futuro, mentre per l’immediato si è contato un po’ troppo sulla fortuna del 2013. Philadelphia ha cominciato il 2014 forte come nel 2013, ma molto meno fortunata e se le 10 vittorie erano stato sufficienti, quest’anno non lo sono state e i playoff sono sfuggiti.
Pur essendo una stagione deludente non bisogna però pensare che i pezzi giusti non ci siano, anzi. Tanto per cominciare questa è solo la prima stagione da titolare per Foles, mentre Kelly è coach in NFL da soli due anni. I margini di miglioramento sono alti se pensiamo che tre anni fa, prima di Kelly, Philadelphia vinceva solo 4 partite, e con pochi inserimenti ai punti giusti gli Eagles possono puntare decisamente più in alto. La prima obbligatoria mossa è firmare Maclin con un lungo contratto. Martoriato dagli infortuni, il contratto da solo un anno sembrava una sorta di ultima carta e Maclin ha risposto presente come non mai con td, ricezioni e una costante capacità di rendersi pericoloso e attirare le attenzioni delle difese. Messo in cassaforte Maclin l’attenzione della società deve essere per la difesa. Seattle, con un salary cap problematico e il contrattone a Sherman, perderà Maxwell e quella del cornerback è stata la posizione più debole per tutta la stagione degli Eagles. Quella di Maxwell deve essere però solo la prima di una serie di mosse necessarie per ristrutturare una secondaria ancora disastrosa e per intervenire sul reparto dei linebackers.
Cox e Kendricks sono punti fermi, Jenkins un valido elemento ma per il resto bisogna lavorare e trovare gli uomini giusti affinché il sistema di Kelly, coach eccezionale e innovativo, possa funzionare a dovere. La strada non è lunga, ma non è neppure facile: Philadelphia deve imparare dai suoi errori, migliorare il roster e Kelly deve capire se Foles è il suo franchise qb oppure no. Una domandina facile facile..
Fans degli Eagles, dovete avere pazienza. Ancora per un altro anno.
Si avvicina agli sport americani grazie a un amico che nel periodo di Jordan e dei Bulls tifa invece per gli Charlotte Hornets. Gli Hornets si trasferiscono in Louisiana ed è amore a prima vista con la città di New Orleans e tutto quello che la circonda, Saints compresi, per i quali matura una venerazione a partire dal 2007 grazie soprattutto ai nomi di Brees e Bush. Da allora appartiene con orgoglio alla “Who Dat Nation”.