Nonostante si sia appena conclusa la week 12, sulla stagione dei Giants si può già appiccicare lo sticker “over”. Stagione finita. Con il record di 3-8 e una division che vede comandare Dallas e Philadelphia la non qualificazione ai playoff pur non essendo ancora matematica è però certa. Si chiude un altro anno deludente per la franchigia di New York che non riesce a trovare stabilità e identità pur avendo tra le mani un roster di buon livello. Il 2014, per ora, sarà ricordato solo per il filotto di tre vittorie consecutive a settembre, e per la mostruosa ricezione di Odell Beckham Jr.
Nel tabellino delle cose notevoli, ma che è meglio dimenticare, del 2014, ci possiamo mettere anche i 5 intercetti lanciati in una sola partita da Manning e le 80 yard concesse ai Cowboys nei minuti finali che si trasformano nell’ennesima sconfitta. Colpa di una pass rush inesistente d’accordo, ma la colpa è anche di una squadra intera che commette errori davvero banali e che non fa altro se non buttarsi la zappa sui piedi. Il Sunday Night ne è l’ultima schiacciante prova: se infatti nel primo tempo la difesa si era comportata abbastanza bene limitando di molto lo strapotere di Murray, compiendo sacks e fermando i Cowboys a soli 10 punti segnati, nel secondo tempo all’improvviso spuntano da ogni dove coperture mancate, tackle inefficaci e una pressione inesistente su Romo, libero così di fare il bello e cattivo tempo.
Tra le file dei Giants nessuno è al riparo da errori e amnesie improvvise, a partire dal qb Eli Manning, che pur essendo bi-campione del mondo, non riesce però a trovare la continuità che gli permetterebbe di portare in alto la squadra e non sembra in grado di caricarsi sulla spalle il peso dell’intera truppa. Anzichè lodarlo come uno degli élite qb si fa sempre riferimento ai suoi grandi numeri, alle sue grandi giocate e ai suoi grandi errori. Eli Manning non è uno dei quei qb che ti risolvono le partite, ma è uno di quegli ottimi qb che, se messi nelle condizioni ideali, si trasformano in grandi. Un Super Bowl non lo vinci per caso e tanto meno due, ma è anche vero che Manning non riesce a offrire sempre partite sul livello di quelle dei playoff del 2012 e quando gli si aprono intorno le prime crepe, lui cade a pezzi. Quest’anno, come anche l’anno scorso, il gioco di corsa di New York non è stato all’altezza e affidarsi al gioco aereo non è una soluzione percorribile. Per questo McAdoo sta lavorando a un sistema di attacco in grado di eliminare i rischi e che non richieda lanci lunghi e pericolosi come Manning ci ha abituato a vedere, con risultati altalenanti. Paradossalmente, a Manning non si dovrebbe più chiedere di fare quel gioco spericolato che l’ha portato a vincere, ma dovrebbe cercare bersagli più vicini e più sicuri.
Si tratta di un cambio di mentalità molto importante che richiede grandi sacrifici, forse addirittura un cambio alla guida. Manning è ancora l’uomo giusto? Nella prossima off-season i Giants dovranno prendere una decisione sul proprio qb. Da un parte c’è la possibilità di onorare il contratto facendo di lui il terzo qb più pagato della lega, dall’altra c’è la possibilità di estendere il contratto in modo da abbassare il peso del suo stipendio e avere spazio per altri innesti. Oppure c’è anche la possibilità di tagliarlo e puntare su qualche giovane. L’idea di tagliarlo mi sembra eccessiva perchè né Mariota, né Winston né altri qb di college sono in grado di sostituirlo. In più con il calendario rimanente non proprio arduo è facile vedere almeno un paio di W per i Giants e difficilmente arriverebbe a una delle prime tre scelte al prossimo draft. Certo ci si può muovere più in alto, ma ne vale la pena? Non credo, come non credo che bloccare il salary cap sarebbe un’idea furba. Avere il proprio qb che incide per il 15% sul salary cap rischia di essere un grosso handicap. Più furbo sarebbe spalmare il suo contratto su più anni in modo da poter firmare qualche pezzo da novanta e nel frattempo lavorare per il futuro. Manning tra poco compirà 34 anni e un successore bisogna comunque cominciare a cercarlo, ma non con la fretta di chi annaspa per galleggiare.
Rinunciare a Manning sarebbe un rischio troppo grosso, anche perchè gli elementi in roster per un buon 2015 già ci sono. Il parco ricevitori, tra Beckham, Cruz e Randle non ha nulla da invidiare a nessuno, anzi, in tanti vorrebbero avere in rosa una tripletta del genere. La linea offensiva può contare su un Will Beatty in forma, anche se caro, e l’ottimo Justin Pugh ancora nel suo primo contratto e quindi a basso prezzo. In difesa Jason Pierre-Paul non è diventato un mostro come ci si aspettava, ma l’idea di ri-firmarlo a basso prezzo, viste le difficoltà di quest’anno, può essere una buona idea, come è una buona idea continuare a puntare su Hankins che cresce a vista d’occhio. La secondaria dovrà dimostrare qualcosa di più, ma con Rodgers-Cromartie e Amukamara si può pensare di costruire qualcosa di buono se gli si aggiunge qualche innesto. Stesso discorso per il reparto corsa: Jennings e Williams non stanno producendo molto, ma Jennings ha sicuramente un alto potenziale, se riesce a rimanere sano, e un’aggiunta si rende necessaria anche qui.
Accanto però agli innesti mirati bisogna proseguire nel lavoro di modificare l’atteggiamento complessivo della squadra. Basta cali di concentrazione e basta gioco spettacolare. Bisogna ritrovare continuità e sviluppare le idee di McAdoo. L’uomo per farlo non sembra essere Tom Coughlin, almeno per il momento. New York ha bisogno di un nuovo inizio, di una ripartenza più giovane e fresca e per farlo è necessario un cambio di rotta netto e deciso, di quelli che scuotono lo spogliatoio. Se però i Giants hanno, o quasi, i giocatori per farlo, non hanno però il giusto coach. Coughlin sarà sicuramente un hall of famer, e a lui New York deve tantissimo, ma progettare il futuro con i piedi ancorati al passato non funziona. E’ una decisione difficile, come tutte le grandi decisioni. E oggi come mai i New York Giants hanno bisogno di una grande decisione.
Si avvicina agli sport americani grazie a un amico che nel periodo di Jordan e dei Bulls tifa invece per gli Charlotte Hornets. Gli Hornets si trasferiscono in Louisiana ed è amore a prima vista con la città di New Orleans e tutto quello che la circonda, Saints compresi, per i quali matura una venerazione a partire dal 2007 grazie soprattutto ai nomi di Brees e Bush. Da allora appartiene con orgoglio alla “Who Dat Nation”.