In una stagione difficile, quando fai fatica a trovare un’identità di squadra e la difesa, dopo aver mostrato qualche piccolo miglioramento, sprofonda di nuovo, di solito quello che fai è aggrapparti alle poche certezze che hai e da lì parti per ricostruire mentalmente la sicurezza che ti serve per vincere. Le certezze dei Saints sono due: l’attacco capitanato da Drew Brees e le mura amiche del Superdome. Mi correggo: ERANO due. Perchè dopo un sorprendente back to back di sconfitte in casa i Saints si trovano in una situazione davvero difficile ed è ormai fuor di dubbio che abbiano qualcosa che non va. Da Super Bowl contender nelle previsioni di inizio stagione ora si trovano con il record di 4-6 e ben due sconfitte consecutive nel campo di casa, considerato uno dei più difficili in cui giocare. Sarebbe troppo facile imputare la difesa che da un quarto posto in assoluto quest’anno è scesa tanto da essere una delle ultime perchè se è vero che Brees e compagni continuano a macinare punti, e pure tanti, è anche vero che il differenziale dei turnover recita un meno nove, fattore killer non solo per via di una difesa che ne produce pochi, vero, ma soprattutto a causa di attacco che ne concede troppi.
Si diceva che i problemi dei Saints fossero on the road perchè lontani dal pubblico caloroso della Big Easy qualcosa andava storto un po’ troppo spesso, ma dopo la bella vittoria in casa Panthers, che ha prodotto anche un primo posto in division, il morale in casa nero oro era molto alto e serpeggiava la voglia di riscattare un record in classifica ben al di sotto delle aspettative. Perdere in overtime, contro San Francisco, è una di quelle sconfitte brucianti perchè interrompe una striscia vincente, riporta la squadra al record negativo e lascia i fans con l’amaro in bocca. Però la prima posizione in division era ancora al sicuro e il futuro nelle mani dei Saints stessi. La sconfitta contro Cincinnati è invece molto, molto peggio. Sia per quanto visto in campo che per ragioni di classifica. La difesa e l’attacco sono stati inesistenti come anche il calore del pubblico, ma soprattutto è venuta meno la fiducia nei propri mezzi che aveva contraddistinto il lavoro di Sean Payton anche nei momenti di difficoltà. Le crepe si vedono dagli errori banali, causati da cali di concentrazione molto gravi. In pochi casi come per le sconfitte dei Saints è facile individuare il momento chiave della partita: la copertura saltata a Cleveland, la mancata copertura di White su Golden Tate, lo spazio lasciato a Crabtree su un quarto e dieci nella metà campo avversaria o ancora l’encroachment di Ball su un terzo e lungo. Errori che costano caro ai fini del punteggio e che alla lunga hanno demolito le difese mentali dei Saints.
Ogni errore puntuale porta con sé enormi conseguenze e il quarto e dieci di Kaepernick per Crabtree è l’emblema della situazione. Uno stop in quella situazione avrebbe significato vittoria e corsa ai playoff in discesa, mentre invece un calo di concentrazione totale spalanca le porte a quella che sarà la sconfitta più bruciante degli ultimi anni. Questo perchè ora gli avversari sanno che i Saints sono battibili anche in casa, sanno che chiunque può venire al Superdome con la convinzione di potersela giocare e lasciata a casa la soggezione chiunque può davvero giocarsela. Chiedere ai Bengals per conferma.
Da parte loro i Saints ora sanno che possono perdere anche in casa e le sicurezze vacillano non poco. La franchigia non ha una storia splendente e affermata alle spalle come potrebbe essere per Pittsburgh, Green Bay o San Francisco (giusto per citare le prime che mi vengono in mente). La prima vittoria nei playoff è arrivata solo nel 2000 e la squadra ha raggiunto e mantenuto alti livelli proprio con l’arrivo del duo Brees-Payton tutt’ora alla guida del gruppo. Con poca tradizione alle spalle, e con una squadra non abituata a stare in alto i primi tentennamenti possono essere fatali. E’ vero che i Saints hanno cominciato a costruire una tradizione e non si può affermare che non ne abbiamo una o che non sia abituati a stare in alto, ma è indubbio che sotto certi aspetti sono ancora una squadra giovane. Tocca quindi al coach Sean Payton trovare la quadratura del cerchio e ridare fiducia ai suoi giocatori, prendendo atto del fatto che quest’anno, a sopresa, i Saints sono da inserire tra le squadre work in progess. I cambiamenti del roster sono stati tanti e sulla carta c’è stato un miglioramento deciso verso una rosa più giovane e altrettanto competitiva. Ma il passaggio dalla carta al campo si sta rivelando più difficile del previsto.
Non bisogna però rimpiangere le mosse, alcune dolorose, della free agency se non forse quella di non aver rinnovato Jed Collins. Continuo a ritenere che le mosse di mercato dei Saints siano state giuste. La classe di rookie forse non sta dando quanto sperato, ma la rosa è competitiva e i punti principali di intervento per ricominciare a vincere devono essere innanzitutto le linee. Quella offensiva, pur facendo vedere cose buone, manca però di continuità e intensità mostrando problemi soprattutto nel dare tempo a Brees. Un qb come lui, al riparo nella tasca, prima o poi trova una soluzione. Quest’anno però è sotto pressione troppo spesso soprattutto quando salgono i linebackers avversari. Qui forse la perdita di Jed Collins è stata un po’ sottovalutata e non è stato rimpiazzato a dovere. Il veterano Erik Lorig, rientrato da poco da un infortunio abbastanza serio non garantisce una copertura eccellente e le ricezioni in emergenza che Collins riusciva a portare. La grande mobilità di Brees, si veda il TD di Graham contro i 49ers, sopperisce a questa mancanza, ma dare più respiro al proprio qb stellare può essere la chiave per salvare la stagione. Dall’altra parte la linea difensiva invece non è mai riuscita a dare una mano alla propria secondaria generando pressione sui qb avversari. Aspettare solo che siano gli altri a commettere errori non è l’atteggiamento giusto. Maggiore pressione sui lanci avversari significa anche più imprecisione e significa che la secondaria, che quest’anno appariva debole solo nella posizione del secondo cornerback, può finalmente esprimere tutto il proprio potenziale. Certo gli infortuni non aiutano e con la prima, la terza e la quarta safety in roster fuori per la stagione il gioco aereo sarà il punto debole della difesa nero-oro. Sistemati questi aspetti si dovrà quindi lavorare per riacquistare quella confidenza che ha fatto dei Saints un avversario davvero temibile in modo da poter riprendere al più presto il lavoro di costruzione di una tradizione ed essere così pronti e competitivi da subito nelle prossime stagioni.
La situazione di division lascia comunque ancora molte speranze di playoff per i Saints per cui chi abbandona il carro dei vincitori oggi, non ci torni poi su sopra a gennaio quando i Saints giocheranno in casa la Wild Card. Però è anche vero che già oggi, alla week 11, la stagione dei Saints si può dichiarare ben al di sotto delle aspettative, se non addirittura fallimentare. Si può correre ai ripari da subito e con un attacco così versatile ed esplosivo si può aspirare ad una redenzione già dalla week 12 contro Baltimora pur essendo una partita nient’affatto facile, ma d’altra parte si deve anche guardare al futuro, valutare i problemi sulla lunga distanza e prendere le misure necessarie perchè ora come ora a New Orleans qualcosa non va.
Si avvicina agli sport americani grazie a un amico che nel periodo di Jordan e dei Bulls tifa invece per gli Charlotte Hornets. Gli Hornets si trasferiscono in Louisiana ed è amore a prima vista con la città di New Orleans e tutto quello che la circonda, Saints compresi, per i quali matura una venerazione a partire dal 2007 grazie soprattutto ai nomi di Brees e Bush. Da allora appartiene con orgoglio alla “Who Dat Nation”.