Di loro, sembrano sempre ricordarsene in pochi quando c’è da fare la conta delle possibili squadre da playoffs della AFC. Due possono essere le possibili motivazioni, riconducinbili anzitutto alla debacle di post-season di un anno fa, quando la squadra fu criticata per aver terminato con un ottimo record (11-5) a soli dodici mesi di distanza dal disastro più assoluto (2-14) solo per farsi clamorosamente rimontare dai Colts nella Wild Card, finendo per perdere 45-44 una gara già vinta. L’altro sospetto, era stato un inizio di stagione non esattamente folgorante, testimone di un esordio non proprio tra i più felici, leggasi una sconfitta alla prima di campionato contro i derelitti Titans, ed un record di 1-2 dopo tre settimane di gioco.
Stiamo parlando dei Kansas City Chiefs di Andy Reid, una squadra che strada facendo ha trovato il modo di correggere il tiro in corsa anzichè farsi sormontare dalla pressione montante, e che ora sta viaggiando tenendo ritmi che cominciano ad impressionare, troppo roventi per poter essere continuamente ignorati. Il tabellino di marcia racconta oggi di sei affermazioni nelle ultime sette partite, con ancora fresca la memoria di quell’autentica bastonata rifilata ai Patriots nel Monday Night della quarta settimana, gara che, per un motivo o per l’altro, ha modificato in positivo la stagione di entrambe le compagini. Da un lato è stato proprio quello il punto di partenza della rabbiosa ricerca di vendetta di Tom Brady e soci, oggi primi nella AFC, dall’altro quel 41-14 ha rappresentato il trampolino di lancio per dei Chiefs che, a quota 6-3, sono l’unica rappresentante dell’American Football Conference a detenere tale bilancio senza essere prima nella propria division.
Ecco dunque spiegato che cosa significa, di questi tempi, giocare nello stesso raggruppamento dei Denver Broncos.
Ma è proprio la grande differenza di talento che Kansas City è in grado di schierare, paragonando il proprio roster a quello delle grandi potenze NFL, a destare la maggiore impressione positiva sul campionato finora firmato dai ragazzi di Andy Reid, il quale sta facendo funzionare la sua squadra in tutti i reparti a discapito di statistiche di cui in pochi si rendono conto da quanto impossibili possono sembrare a questo punto del campionato, e nonostante la scelta del coaching staff nel puntare tutte le proprie carte su una serie di nomi letteralmente sconosciuti o non comprovati sul campo professionstico, una mossa che oltre a sottolineare l’abile costruzione dei 53 uomini a disposizione dà nel contempo una chiara idea di quanto profonda sia questa squadra. E, storia insegna, quando una formazione NFL – con tutti gli infortuni che sussistono in uno sport di contatto violento – riesce a ricavare dalle seconde linee risultati inalterati rispetto all’impiego dei normali titolari, la compagine in questione può ritenersi competitiva anche per gli anni a venire, centrando un obiettivo di continuità sempre più raro nel football moderno.
Partiamo dalle statistiche impensabili, che sono due.
La prima. Kansas City, alla decima settimana di gioco, non ha ancora segnato un touchdown offensivo attraverso il contributo di un wide receiver. Dando difatti un occhio alla distribuzione degli 11 passaggi vincenti sinora scagliati dal preciso Alex Smith, si può notare una predilezione per i tight ends (Travis Kelce comanda la fila con 4, segue Anthony Fasano con 2), nonché una certa efficacia quando la palla viene messa in mano ad un giocatore esplosivo, capace di accumulare yards post-ricezione grazie alla rapidità, caratteristica che accomuna la superstar Jamaal Charles (2), e lo specialista Joe McKnight (2 anche lui, ma ora staziona in IR…), chiamato in causa in tutte quelle situazioni dove c’è probabilità di riuscita di un gioco da 10 o più yards. Tutto ciò senza dimenticarsi del prezioso fullback Anthony Sherman, che chiude il cerchio con una meta, premio indubbiamente meritato dopo una prima parte di stagione passata a bloccare in maniera niente meno che eccezionale, meritevole di considerazione All-Pro.
Da questo si desume che la fitta rete di passaggi della West Coast Offense di Andy Reid funziona a meraviglia per quelle che sono le caratteristiche di Alex Smith, che non è mai costretto a forzare passaggi in profondità e che si sta arrangiando con giochi ad alta percentuale, fattori che hanno tenuto molto in basso il numero di intercetti lanciati (solo 4 in 9 partite). E Smith, spesso criticato e limitato alla dimensione fin troppo ristretta di game manager, nel quadro complessivo ha inciso tantissimo, perché ha continuamente eseguito giocate importanti senza possedere una batteria di ricevitori dotata di grande talento, dato che dopo Dwayne Bowe – finora fondamentale bersaglio nell’ottenere numerosi primi downs – c’è sostanzialmente il vuoto. Se infine si considera il rendimento molto basso della linea offensiva nel suo complesso (in particolare il tackle sinistro Eric Fisher, prima scelta assoluta del 2013, è stato più che deludente), l’opera dell’ex Niners, capace di creare tanto anche con le proprie gambe, acquista una dimensione qualitativa ancora maggiore.
Seconda statistica incredibile. La difesa dei Chiefs non ha ancora concesso una singola meta su corsa, una limitazione fortissima per gli attacchi che la debbono affrontare, ed è riuscita a prevalere pur perdendo alcuni titolari importanti (Derrick Johnson, Mike DeVito) ed utilizzando la filosofia del next man up, usufruendo di giocatori coltivati al proprio interno e cresciuti secondo le aspettative, oppure sconosciuti che fino a questo momento erano stati scartati da tutti, eccetto che da Reid.
Della prima categoria, che dimostra la bontà dei draft difensivi dei Chiefs, fanno parte Dontari Poe, importante stantuffo contro le corse capace di arrivare anche al quarterback, Allen Bailey, defensive end molto sottovalutato che sta fornendo un’ottima pass rush, ma soprattutto le superstars del reparto, Justin Houston e Tamba Hali, due armi feroci per la 3-4 di Kansas City, capaci di accumulare 52 placcaggi per perdite di terreno in combinata. Houston, che se non esistesse J.J. Watt sarebbe da considerare per il premio di difensore dell’anno, ha all’attivo 12 sacks ed ha già smantellato il suo massimo in carriera (11) con ancora 7 gare da disputare.
Al secondo gruppo appartengono giocatori che hanno sempre lottato per un posto ai margini dei roster Nfl. In questo particolare periodo è stato più che apprezzabile il contributo di un defensive back versatile come Ron Parker (può giocare da corner o safety), che ha sostituito molto bene Eric Berry, fuori per 5 partite ed appena rientrato, e che domenica scorsa contro Buffalo ha disputato la miglior partita di carriera dopo essere stato tagliato da tre diverse squadre, difendendo tre passaggi nel drive che ha sancito la vittoria di Kansas City e provocato un importantissimo fumble ai danni di Bryce Brown proprio mentre quest’ultimo stava per varcare la endzone. Preziosi sono stati anche i rendimenti alti di Jamell Parker, anch’egli tagliato a più riprese, e di Husain Abdullah, free agent raccolto dalla strada nel 2013, molto puntuale in marcatura e protagonista di un intercetto riportato in meta nel 41-14 contro New England. Infine, Josh Mauga e James-Michael Johnson, che sono attualmente detentori del posto titolare di inside linebackers ed hanno completamente rispettato le attese che il coaching staff aveva riposto su di loro per sostituire gli infortunati.
I Chiefs non sono esattamente carichi di stelle di primissimo piano, ma spesso, in NFL, l’attenta costruzione del roster e l’utilizzo di schemi offensivi e difensivi plasmati sulle qualità dei propri giocatori, possono fare la differenza in positivo. Da un lato c’è un sistema di passaggi a medio-corto raggio, che fa girare l’attacco non troppo talentuoso al meglio, coadiuvato da un gioco di corse atletico ed imprevedibile, comandato da un running back di primissima fascia come Charles e coadiuvato da un backup esplosivo come Knile Davis. Dall’altro c’è una pass rush costante, asfissiante, che permette ai defensive backs di tenere il proprio uomo mentre il front seven si preoccupa di distruggere il timing del gioco offensivo, un mix che può portare qualsiasi squadra molto distante.
Nella bizzarra NFL di questa stagione Kansas City, nonostante la sua striscia vincente, non ha il lusso di primeggiare nella sua division, e l’unico modo di scalare verso l’alto in casa propria è quello di battere la potenza Broncos nell’ultima gara rimanente. Nella partita di andata i Chiefs lottarono ad armi pari con Manning, e fu solo una poderosa goal line stand con tanto di giocata decisiva di Terrance Knighton ad impedire il pareggio allo scadere, mentre in quella prossima, prevista in primetime per il 30 novembre prossimo, vincere sarebbe un bel segno di maturità per una squadra che ha già sconfitto largamente i Patriots e dato inizio alla crisi profonda dei Chargers, oltre a costituire un bel passo in avanti che permetterebbe di non pensare più a quella volta che, dopo aver migliorato di ben 9 vittorie il bilancio nel giro di un anno solo, Reid e la sua compagnia concessero a Luck la seconda più grande rimonta nella storia dei playoffs NFL.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.