Per capire la stagione dei Denver Broncos è necessario fare un paio di passi indietro e rendersi conto di come, nel giro di due stagioni, Peyton Manning abbia letteralmente elettrizzato tutto ciò che si sviluppa sulle montagne rocciose. Due anni incredibili, nei quali la sola notizia dell’arrivo in città di un quarterback chiaramente destinato alla Hall Of Fame ha alzato il livello delle aspettative manco fosse tornato in campo John Elway – che qui è sempre presente, solo che veste in giacca e cravatta – centrando quasi tutti gli obbiettivi (ne manca giusto uno, raggiungibile proprio domenica…) che la dirigenza si era prefissata accettando un compromesso per certi versi rischioso, perché precario era lo status fisico di un regista che si era dovuto arrendere all’impossibilità di giocare per tutto l’arco del 2011.
All’epoca Peyton era afflitto da ricorrenti problemi al collo ed in più occasioni si era dovuto operare, l’ultima delle quali durante la primavera precedente al kickoff di tre stagioni fa, quando il forte numero 18 sembrava indirizzato verso un’altra corsa alla ricerca della gloria con i suoi Colts, e nessuno si sarebbe mai sognato di vederlo tagliato da una franchigia della quale è ancora oggi il simbolo più riconoscibile e leggendario. Ma l’intervento non aveva risolto un granché, in quanto il prezioso braccio di Peyton non riusciva a far viaggiare il pallone con la dovuta forza, ed il movimento in fase di lancio era assai limitato, tutti fattori molto preoccupanti. In seguito ad un consulto medico emerse solo una soluzione drastica, ovvero effettuare l’ennesimo sgradito ritorno sotto i ferri del chirurgo per fondere un paio di vertebre, il che avrebbe garantito la risoluzione definitiva di quei problemi ricorrenti, ma non certo il ritorno in campo di uno degli assi della Nfl. Dopo 208 partite giocate consecutivamente, Manning per la prima volta in carriera non vestì la maglia dei Colts, e si adattò al dover soffrire sulla linea laterale: da lì, avrebbe guardato i compagni per tutto il resto della stagione.
Indianapolis, dovendo decidere in fretta sul proprio futuro e su quello di un ultra-trentenne con gravi problemi al collo ed ora sottoposto ad una lunga riabilitazione, comunicò la controversa ma sensata decisione del taglio a Manning, ed approfittò del draft di quell’anno per assicurarsi i servigi di Andrew Luck in virtù della loro prima scelta assoluta, frutto del 2-14 con cui aveva terminato il loro disastroso campionato.
Il percorso che ha portato i Broncos al Super Bowl di New York, comincia esattamente da qui.
Mezza Nfl si mosse per tentare di convincere Peyton a firmare per una particolare squadra, e Denver, grazie al fatto di potersi interfacciare con un vincente come John Elway, dirigente dei suoi amati Broncos, fu una componente predominante nel prendere la delicata decisione. Elway studiò un’offerta che potesse permettere a Denver di non assumersi troppi rischi economici garantendo una porzione del denaro dovuto al suo nuovo quarterback solo dopo accurate visite mediche da superare, ma Manning non solo poteva rientrare in campo con tranquillità, dopo due partite aveva già dimostrato che il braccio stava tornando esattamente quello di un tempo, mettendo presto fine allo scrutinio continuo della stampa e degli addetti ai lavori. Della sua particolare situazione di salute non si ricordava già più nessuno, non dopo un 13-3 valso la vittoria della Afc West, tutto quello che contava quest’anno per Denver era cancellare il ricordo della bruciante eliminazione occorsa ai playoffs del 2012 per mano dei Ravens futuri campioni Nfl, partita dall’epilogo beffardo scritto dalla mancata copertura di Rahim Moore su James Jones.
L’organizzazione ha lavorato per tornare al medesimo punto un anno dopo, e percorrere più strada rispettando il proprio status di favorita per il titolo.
Manning ha risposto alle solite critiche – le stesse che preferiscono valutarlo per le gare di playoffs perse che non per il titolo ottenuto nel 2006 – con una stagione a dir poco stellare, nella quale Denver ha presentato l’attacco più efficace e bilanciato di tutta la lega segnando valanghe di punti ed il numero 18 – che oggi campeggia su una maglia arancione che suona ancora strana alla vista – ha letteralmente riscritto una parte di storia del gioco riprendendosi un record già suo arrivando a toccare 55 passaggi da touchdown in singola stagione (7 solamente nell’opener nella vendetta contro Baltimore) e 5.477 yards, cifra che ha infranto il recente primato di Drew Brees. Peyton ha quindi passato l’ostacolo più fastidioso ed impegnativo, portando la sua nuova squadra alla vittoria in postseason contro San Diego, una delle poche compagini che era riuscita ad affermarsi contro Denver in regular season, e soprattutto vincendo l’ennesima puntata dell’eterno duello contro Tom Brady e Bill Belichick, una netta affermazione che ha lasciato addosso ai Broncos un’aura di superiorità che ne ha consacrato definitivamente il valore sul campo.
Ma Denver non è solo Manning, il football è una disciplina di squadra più di ogni altro sport, e se tra le montagne hanno potuto festeggiare l’accesso al Super Bowl il merito va equamente ripartito tra tutti i principali protagonisti di una cavalcata che ha fatto registrare il bis del 13-3 dell’anno passato, valso il seed numero uno della Afc e identico record rispetto ai rivali che incontreranno la prossima domenica, i Seahawks.
L’attacco, coordinato dalla creatività tattica di Adam Gase, allenatore con cui Manning ha confidato di essersi trovato molto bene, ha scritto statistiche altisonanti in categorie come punti segnati, ben 606, ma soprattutto si è dimostrato equilibrato e preparato ad affrontare le avversità. Avere Manning significa tantissimo, ma non tutto, perché anche ai Colts Peyton ha vinto quando il backfield funzionava davvero. Ed ecco che viene istantaneamente a mente il fondamentale contributo di Knowshon Moreno, esploso al quinto anno di una carriera minata da infortuni e prestazioni al di sotto delle attese, e capace di trasformarsi finalmente in un running back da oltre 1.000 yards, firmatario del massimo in carriera pure in termini di yards ricevute, più di 500, senza dimenticarsi le 13 mete totali (10 su corsa), tutti numeri che ne hanno attestato la possibilità di essere un giocatore a tutto tondo.
Gli infortuni hanno portato via sia il centro Dan Koppen che il tackle sinistro Ryan Clady, uno dei migliori della Nfl nel suo ruolo, ma la profondità del roster ha permesso di poter schierare al loro posto due ottimi elementi come Manny Ramirez, che ha ancorato il centro della linea con tanta solidità, e Chris Clark, un ventottenne giramondo che ha disputato una stagione a dir poco eclatante nella posizione più importante del fronte, con la responsabilità di difendere l’incolumità del grande investimento dei Broncos. La linea offensiva ha schierato anche uno degli acquisti più interessanti, la guardia Louis Vasquez, sicuramente responsabile dei miglioramenti del rendimento del gioco di corse, e proveniente da quella San Diego che proprio dai Broncos è stata battuta ai playoffs, oltre che rappresentarne una rivale fissa della Afc West.
La presenza di Manning ha immediatamente migliorato tutti coloro che gli gravitavano attorno, il tight end Julius Thomas è diventato una superstar e rappresenta oggi, dopo tanto anonimato, l’ennesima storia partita dal basket e andata felicemente a buon fine nel football, Eric Decker ha potuto far sbocciare tutte le sue qualità positive dopo essere stato sostanzialmente ignorato nell’era Tebow, Demaryius Thomas ha frantumato il muro delle 1.400 yards ed è diventato un ricevitore difficilmente marcabile e più continuo, ed infine Wes Welker ha aggiunto quella pericolosità nello slot di cui l’attacco necessitava, e la sua sottrazione ai Patriots ha portato a Brady e soci un’interminabile successione di problemi da risolvere. Lo straordinario reparto offensivo ha presentato, a fine campionato, quattro giocatori con almeno 10 mete e 10 yards di media a ricezione, un segno dell’onnipotenza offensiva che i Broncos hanno manifestato per tutto il campionato.
Denver ha ricevuto diverse critiche per l’aspetto difensivo, che in qualche partita ha lasciato vedere preoccupanti vuoti nelle secondarie per evidenti problemi di comunicazione tra i membri delle retrovie. La squadra si è potuta permettere il lusso di concedere quasi 25 punti a partita avendo dall’altra parte un attacco che ne ha scritti 37 di media, l’assenza prolungata di un asso come Champ Bailey per infortunio si è fatta sentire parecchio, ed uno degli aspetti di cui si è maggiormente discusso è stata la squalifica di Von Miller ad inizio stagione per utilizzo di sostanze non consentite dalla lega, evento che è stato seguito da un roboante ritorno in campo ed un infortunio che lo ha messo fuori gioco facendogli totalizzare 9 produttive presenze, interrompendo tutto sul più bello. Miller, fortunatamente, non è stato l’unico a provocare pressione e turnovers, e la difesa ha sopperito ai numeri negativi con la capacità di riprendersi il possesso del pallone e di difendere bene contro le corse, trovando altri protagonisti di primo piano come Shaun Phillips, anch’egli proveniente dai Chargers ed autore di 10 sacks, e Terrance Knighton, eccellente defensive tackle specializzato nel localizzare il running back portato via da Jacksonville ad opera di Jack Del Rio, suo vecchio head coach ed attuale defensive coordinator di Denver.
Ai veterani si sono aggiunte piacevoli sorprese come Malik Jackson, affermatosi come pass rusher dopo essere stato scelto al quinto giro del draft 2012, stessa manifestazione nella quale il management ha chiamato il nome di Danny Trevathan, prelevato al sesto round e capace di diventare un linebacker versatile, utile ad essere schierato in più situazioni, ed autore di un campionato molto consistente.
La stagione passata dai Broncos dimostra che l’organizzazione ha lavorato con grande efficacia e non si è certo accontentata di firmare uno dei quarterback più forti di questa epoca e tentare di raggiungere il Super Bowl affidandosi solamente a lui. Denver è una squadra completa sotto molti punti di vista, capace di non farsi colpire letalmente dai propri difetti, il campionato dominante disputato quest’anno lo dimostra senza ombra di dubbio. D’altro canto, era questa la promessa che John Elway aveva fatto a Manning per fargli accettare la sua offerta in quello strano periodo della sua carriera, gli aveva garantito che la squadra sarebbe stata competitiva da subito e che la possibilità di raggiungere il Super Bowl sarebbe stata maggiore che non nelle altre franchigie che gli si erano proposte.
Domenica hanno la possibilità di vincerlo, e di restituire a Denver tutto il prestigio che manca proprio da quando un certo biondino con gli occhi azzurri evoluiva vestendo il numero 7.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Che gran bell’articolo! Se poi andasse in un certo modo….