Se ti chiami Andy, allora lo scorso fine settimana è stato veramente difficile da digerire, ed il mattino successivo alla sconfitta che hai patito nei playoffs è stato solo l’inizio di una lunga offseason, dove dovrai capire dove hai sbagliato e quali aggiustamenti vadano adoperati per migliorare nella stagione successiva a questa.
Stiamo parlando di Andy Reid e di Andy Dalton, rispettivamente capo allenatore dei Kansas City Chiefs e quarterback titolare dei Cincinnati Bengals, due storie per molti aspetti differenti ma accomunate da un’uscita precoce dalla postseason, due personaggi chiamati, l’anno prossimo, a dimostrare di non rappresentare due compagini buone solo per mostrare delle regular season di ottima consistenza, ma di costituire esattamente ciò che serve per eseguire il famoso passo successivo, quello che trasforma una buona squadra in una contender per il Super Bowl.
Fino alla clamorosa sconfitta contro i Colts, a Kansas City andava tutto sommato bene, nel senso che la squadra pareva esprimere i giusti valori per poter fare un po’ di strada nei playoffs e magari dare fastidio a qualche collega scomoda di division (leggi Denver), anche se proprio le sfide contro i Broncos erano le gare che più delle altre si erano rivelate preoccupanti. Nonostante gli enormi passi in avanti compiuti dai Chiefs – ricordate? quelli che sceglievano per primi lo scorso aprile a quota 2-14? – la squadra che aveva aperto il campionato con ben nove vittorie consecutive aveva destato dei sospetti misurandosi con quelli grossi, andando a perdere per due volte nel giro di venti giorni contro Sua Maestà Peyton Manning, ed aggiungendo altri due passi falsi fondamentali per tenere vive le speranze dei rincorrenti Chargers, arrivati alla postseason grazie anche al doppio sgambetto inferto a Reid e soci. In pratica, nella Afc West, i Chiefs hanno battuto solamente i derelitti Oakland Raiders.
Nonostante questo, la compagine gestita dall’ex head coach degli Eagles pareva possedere una consistenza maggiore rispetto alle altre qualificate alla Wild Card, e per la maggior parte della gara di Indianapolis la differenza espressa in campo a favore di Kansas City era stata davvero evidente. Si era visto un Alex Smith preso a dimostrare che i panni del semplice gestore delle chiamate offensive gli stavano decisamente stretti e di sua iniziativa, non ultimo con le proprie gambe, aveva trovato soluzioni interessanti per tenere vivi i drive o per segnare punti, il backfield se l’era cavata molto bene anche senza Jamaal Charles, l’elemento più pericoloso dell’attacco messo fuori gioco da una commozione cerebrale, sostituito da un Knile Davis andato a confermare l’ottimo lavoro di scouting effettuato da Reid e dai suoi collaboratori in sede pre-draft.
Non è mai simpatico, però, entrare nella storia Nfl dalla porta sbagliata, anche se la squadra che hai preso in mano è passata da un disperato 2-14 ad un eccellente 11-5 nel giro di soli dodici mesi, perché i Chiefs saranno ora ricordati per aver concesso la seconda più grande rimonta nella storia dei playoffs Nfl, dopo che avevano condotto per 38-10 riuscendo poi a farsi beffare per un punto solo, 45-44, diventando i Buffalo Bills di questa generazione. Intendiamoci, una stagione non è un metro di paragone accettabile per sparare giudizi definitivi su Reid o su Smith, ne parleremo più approfonditamente da due o tre campionati, ma su Kansas City si sta insediando uno spettro scomodo, lo stesso che infastidiva i giorni spesi in loco da Marty Schottenheimer, Dick Vermeil ed Herman Edwards, ovvero quello di una franchigia dotata di grandi regular season, ma incapace di vincere ai playoffs.
Reid ha restituito linfa vitale ad un attacco inesistente portandolo quasi in cima alla Nfl per punti segnati, ha rigenerato uno Smith perfetto per giocare il suo sistema West Coast, ha costruito una difesa capace di generare tanti turnovers e di pressare il quarterback avversario, come dimostrano le eccellenti annate di giocatori come Justin Houston e Tamba Hali, abbinati all’esperienza di un veterano affidabile come Derrick Johnson, il comandante del reparto.
Questo non cancella la data dell’ultima affermazione dei Chiefs in postseason, evento che risale a vent’anni fa, quando con Joe Montana al timone si vinse contro Pittsburgh e Houston per poi uscire di scena nel Championship della Afc, contro i Bills. Da allora tante cose buone, ma nessun’altra vittoria di quelle che contano sul serio.
La situazione di Andy Dalton è invece più pesante, perché il rosso da TCU ha già usufruito delle sue scusanti per giustificare i fallimenti di una Cincinnati che con lui a giocare da quarterback è giunta a quota 0-3 nel mese di gennaio, un dato più che preoccupante se relazionato alle statistiche del giovane regista, ancora ferme ad un solo passaggio da touchdown complessivo in questa triplice prova di postseason.
I Bengals, giunti al decimo anno della gestione di Marvin Lewis, hanno riguadagnato il rispetto della lega, ma latitano ancora in termini di successi prestigiosi, che da queste parti non arrivano addirittura dal 1990, anno in cui Boomer Esiason sconfisse gli Oilers al vecchio Riverfront Stadium. Onestamente parlando, a Lewis va dato il merito di aver ricostruito in parte la reputazione della franchigia dopo più di una decade di totale irrilevanza collezionando solo tre stagioni su dieci con un bilancio al passivo, ha plasmato le sue squadre scommettendo sovente su talenti grandiosi ma nel contempo pericolosi (Pacman Jones e Vontaze Burfict su tutti), mossa che ha quasi sempre pagato dazio in positivo per la disciplina che ha saputo infondere loro, ma ai Bengals manca quel qualcosa in più per poter fare la differenza, proprio come accade ai Chiefs.
La domanda è: siamo sicuri, a questo punto che sia Dalton il quarterback giusto per traghettare questa compagine nei territori più profondi della postseason? Probabilmente il buon Andy ha solo un’altra stagione rimasta per poterlo dimostrare, da rookie non aveva esperienza ma si è comportato comunque benissimo essendosi trovato improvvisamente a sostituire Carson Palmer, il secondo anno poteva nuovamente essere considerato come utile per acquisire esperienza e qualche trucchetto da veterano, ma il terzo, quello presente, doveva essere quello del salto di qualità definitivo, in special modo lavorando con un ottimo tutore come Jay Gruden.
Dalton ha progressivamente aumentato tutte le sue statistiche in questo triennio, le 4293 yards ed i 33 passaggi da touchdown sono tutti massimi in carriera ed il 62% di completi è più che soddisfacente, ma elevato è stato pure il numero dei turnovers, con 20 intercetti che difficilmente non si fanno notare quando si leggono tali cifre. L’ex regista degli Horned Frogs non è un cattivo giocatore, tutt’altro, solo che per puntare in alto dovrebbe risultare meno alterno nelle sue prestazioni, e prendere complessivamente decisioni meno forzate. Ha mischiato gare sostanzialmente impeccabili a prestazioni fatte di scelte incomprensibili, ed in regular season te lo puoi permettere se poi vinci 11 partite, ma nei playoffs non è semplicemente accettabile veder scendere così tanto il livello qualitativo delle performance individuali, che ad oggi parlano del 56% di completi, un solo passaggio vincente e ben sei intercetti.
Il prossimo campionato sarà sicuramente decisivo per il destino di Andy Dalton, che dovrà dimostrare di poter essere un franchise quarterback, senza più scusanti. I Bengals hanno fatto enormi progressi offensivi trasformandosi da squadra dipendente da A.J. Green – e per questo facilmente limitabile – a compagine dalle potenzialità più ampie, basti pensare a quanto prodotto da Marvin Jones, che ha scritto mete in doppia cifra, e da Mohamed Sanu, e quanto fatto dal management in sede di draft portandosi a casa il talento del versatile Giovani Bernard ed un tight end molto bravo a ricevere come Tyler Eifert, tutti indizi che chiariscono le intenzioni del coaching staff: dare a questo attacco delle alternative alla superstar che è Green.
I numeri dicono che la missione è perfettamente riuscita, da settembre a dicembre. A gennaio, ancora non ci siamo.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
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