Quando ci si mette a pensare alla stagione che sta per cominciare è inevitabile fare pronostici, provare a pensare a chi si sia rinforzato meglio per vincere, a chi potrà sorprendere in positivo o in negativo, ma spesso il pensiero va a chi non è riuscito a compiere il passo finale nonostante sia competitivo a sufficienza per provarci tutti gli anni, e ci si chiede se questa che tocca possa mai essere la volta buona.
Nell’ultima casistica si rispecchia senza dubbio la storia recente degli Atlanta Falcons, una squadra esemplare per l’eleganza da cui uscì dalla pessima vicenda legata a Michael Vick e ai suoi vizietti letali al genere canino, l’organizzazione si diede da fare per ricostruire la facciata della franchigia dando un colpo di spugna immediato al tutto, tanto che oggi, quando si pensa ai Falcons, l’associazione di idee con il dogfighting non c’è quasi più, e viene sistematicamente fuori il sorriso di Matt Ryan, il bravo ragazzo prelevato da Boston College per rappresentare il pilastro della squadra e scelto non solo per esserne il quarterback capace di portare in alto i Falcons, ma per diventarne altresì il leader morale che compie sempre l’azione giusta, per rappresentare quei colori e quegli ideali anche fuori dal campo di gioco, quando le organizzazioni di questo tipo per forza di cose devono coltivare relazioni di una certa importanza sia per fini economici che per scopi di creare ulteriori legami tra la squadra e le rappresentanze cittadine di qualsiasi genere.
La storia nei playoffs dei Falcons targati Ryan parla molto chiaramente, e non serve certo mettersi in questa sede ad elencare tutte le partite perse recentemente in postseason creando un’etichetta scomoda al regista, basti sapere che Matty Ice ed il suo allenatore Mike Smith, ambedue simboli della rapidissima rinascita del football professionistico nei pressi del Georgia Dome, sono sempre stati apprezzati dagli addetti ai lavori per la capacità di vincere tante partite di regular season imponendo il proprio gioco e mostrando una forte personalità, e non stiamo solamente parlando del fatto che all’interno delle mura amiche Atlanta è stata pressoché imbattibile, perché tutte le buone qualità che hanno costruito la recente fama della franchigia sono state traslate molto bene anche lontano dal Peach State.
I Falcons, ai nastri di partenza di questa stagione, erano coloro che avrebbero dovuto compiere il famoso ultimo passo in avanti e presentarsi a New York per il prossimo Super Bowl, lottando per togliersi quella fastidiosa etichetta di squadra vicina alla perfezione in regular season che puntualmente usava crollare dinanzi alla pressione portata dal clima dei playoffs, combattendo per dimostrare al mondo che la maturità acquisita e l’aggressività mostrata nel mercato degli ultimi anni sarebbero stati la chiave di volta per tirare definitivamente fuori il carattere necessario per andare avanti nel mese di gennaio. Il simbolo di tutto ciò è senz’altro stata la conversione del 13-3 targato 2012 in una vittoria-thriller nel turno di Divisional Playoff contro i pericolosi Seahawks di Pete Carroll, ed una più che onorevole sconfitta in quel di San Francisco che se avesse spedito Atlanta al Super Bowl non avrebbe certo fatto torto a nessuno.
Oggi quella stessa squadra è a quota 1-4 e, tegola peggiore di tutte le altre messe assieme, ha perso Julio Jones per tutta la stagione in seguito alla frattura riportata al piede destro, lasciando una squadra già in netta difficoltà senza uno dei migliori cinque giocatori Nfl nel suo ruolo. Negli ultimi dodici campionati sono state ben 118 le squadre a collezionare solo il 25% di vittorie nelle loro prime cinque uscite, ed il 95% di esse non ha fatto i playoffs. Non esattamente un bel presagio per quello che doveva essere l’ultimo, glorioso assalto al Super Bowl di Tony Gonzalez.
Al di là della sfortuna, qualcosa nel giocattolo creato da Smith non funziona. Atlanta usava essere squadra capace di imporre il proprio gioco di corse in attacco, produrre drive lunghi segnando parecchi punti già nei primi tempi, gestire il proprio gioco aereo al meglio grazie alla costante crescita tecnica di un ottimo quarterback come Ryan, e la difesa era precisa negli interventi e reattiva a sufficienza. L’unico difetto era la costante mancanza di una pass rush continua ed affidabile.
Oggi non è più così. Michael Turner, il giocatore possente che sosteneva da solo il backfield, è stato lasciato libero in offseason per eccessivo chilometraggio e sostituito da Steven Jackson, che qui sperava di giocare la prima partita di playoffs di una lunga carriera, ma l’ex Rams si è messo sinora in uniforme durante una sola partita, quella dell’esordio, ed è stato utilizzato solo 11 volte accumulando una settantina abbondante di yards, e non ha quindi potuto fornire all’attacco quella dimensione addirittura più completa rispetto a quella procurata da Turner, rispetto al quale Jackson è un ricevitore assolutamente migliore. Il gioco di corse non può difatti dipendere troppo a lungo dai sostituti, in quanto Jaquizz Rodgers non ha il fisico adatto per essere un running back da schierare ad ogni down ed il suo ruolo, come quello del veterano Jason Snelling, è solo parziale, nel senso che del primo si sfruttano le ottime movenze in rapidità sul breve, e del secondo tornano utili le caratteristiche nelle ultime 10 yards, facendo affidamento sul gran fisico e sulle ottime mani per ricevere.
Il risultato è che i Falcons sono impossibilitati ad imporre il loro gioco a terra, e di conseguenza impossibilitati a giocare come vogliono loro.
Ryan ha gestito al meglio il fatto di fronteggiare difese che conoscevano già parte del piano di gioco dei Falcons sapendo che gli stessi non avrebbero fatto troppo affidamento sulle corse, ed è ammirevole per come nonostante tutto lanci con quasi il 70% di completi tenendo un rapporto touchdown/intercetti di 10 a 3, anche se in qualche momento topico delle quattro sconfitte non è sembrato possedere la medesima precisione, forzando qualche lancio di troppo e sbagliando la misura dello stesso nei confronti del ricevitore designato, un problema riscontrato soprattutto nelle situazioni di rimonta.
L’assenza di Jones da qui a fine stagione non solo toglie al reparto un giocatore capace di eseguire ricezioni impossibili – ci ha regalato un ultimo grande spettacolo con la magia contro i Jets, uno squisito gesto atletico non certo nuovo per lui – ma apre una voragine per via della mancanza di alternative serie, perché un talento come il suo, per il quale il GM Thomas Dimitroff sacrificò cinque scelte, a roster non ce l’ha nessuno. Non aiuta che Roddy White stia giocando con un serio problema alla caviglia e debba ancora segnare il suo primo touchdown stagionale, e che Tony Gonzalez, per quanto immarcabile sia, venga addirittura trattenuto spesso e volentieri da un paio di difensori prima delle canoniche 5 yards di rilascio specialmente quando ci si avvicina alla redzone, dove Tony da una vita è niente meno che letale.
Molti dei problemi di Atlanta risiedono nelle due linee.
Il fronte offensivo non ha ancora saputo trovare un degno sostituto per il centro Todd McClure, un pezzo di storia da queste parti per la sua grande longevità, in quanto Peter Konz a tratti è stato letteralmente distrutto dagli avversari non riuscendo a fornire dei blocchi adeguati, per informazioni maggiori basta farsi raccontare due o tre aneddoti da Muhammad Wilkerson e Sheldon Richardson dei Jets. Le falle più evidenti sembrano tuttavia essere ai lati estremi, dove Sam Baker sarebbe anche un protettore più che affidabile del lato cieco non fosse per i continui problemi al ginocchio che ne hanno perennemente disturbato carriera e rendimento, con Lamar Holmes ed il free agent Jeremy Trueblood non ancora in grado di offrire la stabilità richiesta.
Dal lato difensivo la pass rush è rimasta una pratica aperta da sistemare proprio così come lo era negli anni addietro, John Abraham era ritenuto poco futuribile per ovvie ragioni anagrafiche ed è stato sostituito con un non certo giovincello come Osi Umenyora che, escluso un intercetto riportato in endzone, non ha certo cambiato il volto di questa pass rush dal giorno alla notte, con conseguenze non troppo edificanti per il rendimento della difesa contro i passaggi, e di questo aspetto i Falcons hanno sofferto specialmente nelle rimonte architettate da Ryan Tannehill e Geno Smith. Anche da questo lato del campo ci si è messa un po’ di sfortuna, che ha levato di mezzo Sean Weatherspoon e Kroy Biermann con infortuni seri (il primo è in I.R. con possibilità di rientrare in campo, l’altro lo vedremo l’anno prossimo) costringendo il coordinatore difensivo Mike Nolan ad inserire giovani privi di esperienza come Joplo Bartu, Jonathan Massaquoi (uno dei pochi che sta comunque rendendo bene) e Paul Worrilow in ruoli molto delicati.
I Falcons possono riflettere sulla loro stagione grazie ad una bye week raramente così propizia, ed al loro rientro sul rettangolo di gioco potranno usufruire del beneficio che si ha ad affrontare Tampa Bay di questi tempi. La strada è però tutta in salita nonostante il probabile ritorno di Steven Jackson, che potrà aggiungere si spera quella dimensione offensiva in più, Roddy White ha bisogno di riposare (ora ha pure un problema al tendine posteriore del ginocchio…) e tornare più in forma che mai per sopperire all’assenza del grande Julio contando nel contempo sull’efficacia di Harry Douglas, che in ordine di preferenza diventa automaticamente il nuovo starter. Alla difesa viene chiesto di limitare i danni e nulla più, perché i problemi principali non sono stati risolti, ma l’attacco, allora, deve rendere ancora di più senza il suo componente più ricco di talento.
A conti fatti, una rimonta nella division capeggiata dagli imbattuti Saints, sembra tanto disperata quanto improbabile: se bene conosciamo Ryan, per lui nulla è però perduto.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Bellissimo articolo Dave, come sempre! Avrei però messo sul banco degli imputati anche il buon Mike Smith…alla squadra manca il ”moxie” o l’occhio della tigre (per ripetizioni passare a Foxboro). Non metterei davanti a tutto gli infortuni ma bensì scelte e gameplanning vetusto e prevedibile, così come la scelta del personale da mettere in campo. Potevamo essere tranquillamente 2-2 o anche 3-1 se non avessimo il solito crollo nel secondo tempo o se in red zone non usassimo sempre il solito schema.