Nessuno ha mai neanche osato mettere in discussione l’enorme qualità offensiva che capeggia a New Orleans da quando la coppia Sean Payton/Drew Brees si è insediata in città. Non è una sola questione numerica, di record infranti a livello di franchigia o addirittura Nfl, per capire il funzionamento di questo attacco si deve andare oltre e capire la simbiosi esistente tra i due personaggi, perfettamente allineati sul cosa c’è da fare, sul come eseguirlo, e su quali aggiustamenti si rendono necessari di volta in volta.
Proprio per questo faceva onestamente un po’ sorridere la lettura delle statistiche di squadra dello scorso campionato, quando i Saints non raggiunsero i playoffs dopo una pessima partenza (0-4) e si classifcarono comunque nelle prime tre posizioni per yards conquistate complessivamente e singolarmente su lancio, contrapponendovi tali numeri alla peggior difesa che la non giovane National Football League abbia mai visto mettere in campo. Il 32mo posto nei ranking difensivi ra più che ovvio dopo tale premessa, ma spiccano pur sempre quelle oltre 7.000 yards concesse, un primato che seppure con molto impegno sarà difficile da eguagliare (anche se magari, vista la squadra messa in campo dai Jaguars quest’anno, un tentativo loro potrebbero anche farlo).
New Orleans era una squadra confusa ed arrabbiata, colpita dal Bountygate più di quanto non volesse far vedere. La tegola della squalifica di Sean Payton per tutta la stagione comprendendo anche le operazioni di offseason è stata troppo dura da digerire, ed ha dimostrato che, almeno da queste parti, non è possibile eseguire una sostituzione sulla sideline e pretendere che i pur ottimi meccanismi messi in atto fino a quel momento funzionino come nulla fosse accaduto. Vero, Drew Brees ha comunque lanciato 43 passaggi da touchdown e superato la soglia delle 5.000 yards per il secondo anno consecutivo quando molti colleghi riescono a ripetere quelle cifre in quattro anni, vero anche che i suoi 19 intercetti sono stati il secondo peggior numero di carriera probabilmente motivato dai 670 tentativi effettuati e dalle situazioni di partita, spesso in rimonta e quindi con voglia di acciuffare il punteggio facendosi rovinare la testa dalla fretta, e che in tutta questa situazione non c’era una persona che sapesse come risolvere correttamente problemi di questo genere.
L’assunzione di Steve Spagnuolo sembrava la cura ideale per il post-Gregg Williams, mandato anch’egli in esilio da capo Goodell, ma la situazione si è rivelata essere un completo disastro. Spagnuolo non possedeva lo stesso materiale che ebbe a disposizione quando creò la super difesa iper-pressante che portò i Giants al primo Super Bowl vinto contro i Patriots, veniva dal fallimento quale head coach dei Rams (10-38 in tre anni) e molti giocatori non riuscirono ad adattarsi alla sua 4-3 che per funzionare deve mostrare una pass rush costante ed avere elementi versatili da spedire prontamente in blitz per soffocare l’attacco avversario. Ma il blitz non funzionò mai come doveva, giocatori come Will Smith, Cameron Jordan, il deludente Sedrick Ellis ed il neo-acquisito dai rivali divisionali di Atlanta Curtis Lofton non produssero mai una pass rush pericolosa, con la conseguenza che i quarterback avevano spesso il tempo necessario per cercare il loro miglior bersaglio e le secondarie si ritrovavano puntualmente incapaci di contenere il gioco aereo. I Saints scoprirono con non pochi dolori che Patrick Robinson non aveva la stoffa per essere titolare fisso, che Malcolm Jenkins era perennemente fuori posizione, e che veterani altrimenti di ottimi rendimenti come Roman Harper e Jabari Greer stavano vivendo un incubo da far terminare quanto prima.
Archiviato il 7-9 del 2012 non restava che stendere un tappeto rosso per accogliere il rientro di Sean Payton, con cui Brees si sarebbe presto ricollegato attraverso il wi-fi celebrale ricominciando a far funzionare quella letale macchina offensiva che portò i Saints a vincere il Super Bowl non molto tempo fa, e ricostruire daccapo il reparto difensivo girando pagina dalla dura lezione presa nella stagione appena conclusa, con quel dannato 7.024 il cui spettro ancora aleggia nelle vicinanze del Superdome.
Tra Payton e Brees deve esserci per forza qualcosa di magico ed irripetibile, perché l’attacco sembra tornato d’incanto ciò che era prima di quella inaspettata e disastrosa squalifica. L’assalto aereo è rimasto quello che era ma ha migliorato la sua efficienza, Brees non forza più perché non deve più rincorrere il punteggio, ora sono gli avversari che cercano disperatamente di tenere il ritmo di New Orleans, e le soluzioni tattiche studiate dall’head coach riescono persino a mascherare la pressoché totale assenza di un gioco di corse altrimenti fondamentale per gli equilibri di squadra, peraltro aspetto sul quale si sta lavorando più che non su tutti gli altri per capire come renderlo produttivo. La verità è che oggi Brees è imbattuto anche quando tutti sanno che lancerà, visto che il running game viene abbandonato prestissimo e viene sostituito da una miriade di schemi medio-corti che studiano minuziosamente le reazioni della difesa per creare l’immediato mismatch, che il quarterback nero-oro legge alla stregua del quotidiano che sfoglia davanti alla sua colazione mattutina.
I Saints hanno troppe armi per essere fermati con consistenza, il loro attacco è secondo solamente a quello allucinante dei Broncos, l’intesa tra Brees e Jimmy Graham è probabilmente giunta al suo apice e costringerà presto le difese a ricorrere ad armi illegali per limitare il tight end più atletico e possente della lega, e Darren Sproles è in questo momento l‘all-around back che mai ci si sarebbe aspettati diventasse con quel fisichetto minuto, ma come dimostra la partita contro i Dolphins, non ci fosse lui funzionerebbero metà degli schemi che Payton manda nel casco di Brees ogni domenica (e di tanto in tanto, lunedì).
Se tali caratteristiche potevano risultate ben evidenti anche durante la crisi dello scorso anno – ad eccezion fatta che i Saints, come detto, non comandavano le partite – la ristrutturazione difensiva è il motivo per cui c’è ancora un bello zero nella casella delle sconfitte nei pressi di Bourbon Street. Decisivo sembra essere sinora l’arrivo di Rob Ryan, reduce da una difficile esperienza ai Cowboys ma conosciuto quale altrimenti ottimo defensive coordinator che, come il gemello Rex, ha la difesa che gli circola nelle vene assieme al sangue per via del suo DNA, essendo figlio del grandissimo Buddy Ryan, uno che in Nfl non ha scritto pagine di storia, ha scritto libri interi.
Rob ha installato una nuova 3-4 trovando già molti pezzi da incastrare bene senza quindi doversi trovare penalizzato dalla presenza di sole cinque scelte a disposizione della squadra lo scorso aprile. Il sistema prevede una pass rush che se funziona correttamente diventa claustrofobica e costringe l’avversario a prendere decisioni difficili ed avventate, il che spesso significa la forzatura di turnovers importanti.
Il rendimento dei giocatori parla da sé, e rispecchia l’agio in cui essi si trovano nel praticare dei concetti più semplici e contemporaneamente più efficaci. Junior Galette, un giocatore raccolto dalla strada appena uscito dal college tre anni fa si è convertito con successo ad outside linebacker e sta producendo, oltre ai tre sack già accumulati, un alto numero di placcaggi dietro la linea di scrimmage, ma anche se non tocca il quarterback spesso gli è nelle vicinanze e gli confonde le idee; Cameron Jordan (4 sack, 16 hurries) è letteralmente rinato tenendo fede al suo status di primo giro 2011; John Jenkins, rookie proveniente da Georgia, si è rivelato adatto al delicato ruolo di nose tackle ed è la vera sorpresa di questo primo mese di gioco, avendo di fatto sostituito il deludente Broderick Bunkley per merito, non certo perché quest’ultimo è attualmente fermo per infortunio.
Nelle secondarie è stata sinora preziosa l’addizione di Keenan Lewis, ex-Steelers, che ha immediatamente migliorato l’efficienza delle coperture, il gioco di Malcolm Jenkins, che viene utilizzato come ibrido tra safety e cornerback data la sua duttilità, è migliorato tantissimo soprattutto nelle letture della marcatura, Jabari Greer è tornato quella di un tempo ed i turnovers fioccano, con sette intercetti raccolti da un giocatore sempre diverso e tre fumble recuperati, numeri di assoluto rispetto considerato che si sono disputate solamente quattro gare. Se il rendimento difensivo rimanesse questo, alla fine della stagione andrebbero concesse circa 4.000 yards, “solo” 3.000 in meno rispetto al 2012.
A giudicare dalla sensazione di onnipotenza mostrata in questo settembre Sean Payton sembra aver trovato la ricetta giusta per riprovare la corsa al Super Bowl, attaccando in maniera letale gestendo cronometro ed illuminando quanto più possibile il tabellone, e difendendo in maniera pressante per impedire agli avversari di pensare. Se questa formula dovesse continuare a funzionare ed i Saints sapranno gestire il difficile calendario che li attende (New England, Seattle, San Francisco e di nuovo Atlanta all’orizzonte), non solo la Nfl avrebbe ritrovato una delle sue presenze più costanti ai playoffs dei tempi recenti, ma pure una candidata con ottime credenziali per presenziare nel freddo di New York per la partita più importante dell’anno.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Sono tornati…e come i Broncos hanno una facilità nel gioco d’attacco che mi strabilia…
Quest’anno ci sarà da divertirsi nei PO…