Dopo le recenti vicissitudini dei Kansas City Chiefs non avremmo sinceramente scommesso un centesimo su una partenza così bruciante, un 3-0 frutto di tanti cambiamenti positivi che si pensava venissero digeriti più lentamente.
Invece no, i Chiefs sono usciti allo scoperto e sono una delle sorprese più piacevoli di queste prime settimane di gioco, ben lontani dalle nefandezze fatte vedere quando a capeggiare la ciurma c’era il caratterialmente difficile Todd Haley, o quando Romeo Crennel, a questi subentrato in corsa, aveva fatto delle eccellenti promesse di rivoluzione non mantenute l’anno successivo, mortificando tutti gli evidenti miglioramenti che la squadra aveva mostrato in chiusura del 2011 sotto le sue direttive.
Parliamo pur sempre di una franchigia che proviene da una stagione con sole due vittorie a referto, e per questo motivo possedeva la prima scelta assoluta, che dopo lunghe valutazioni sull’investimento da farsi è caduta sull’offensive tackle uscente da Central Michigan, Eric Fisher.
Una situazione che normalmente parrebbe più vicina ad una rifondazione graduale sta dimostrando invece di aver bruciato una o due tappe, questo perché durante la pausa primaverile si è messo mano nei settori giusti della squadra, in primis firmando un allenatore con un passato vincente e con un’esperienza invidiabile in Nfl, e quindi lasciando andare le zavorre rappresentate dai troppi esperimenti nel ruolo di quarterback, l’anno scorso ricoperto dai disastrosi Matt Cassel e Brady Quinn.
Andy Reid sembra essere l’uomo giusto nel posto giusto, e questo concetto va nettamente al di là del fatto che il rotondo head coach abbia immediatamente apprezzato le numerose steakhouse di qualità per la città del Missouri può offrire.
Reid aveva bisogno di veder terminare la sua esperienza a Philadelphia, e Philadelphia aveva bisogno di farsi condurre da un allenatore che non fosse lui. Il lungo matrimonio era già finito con tutta probabilità da un paio d’anni, la gestione manageriale e disciplinare della squadra era scappata evidentemente di mano complici i gravi problemi personali del capo allenatore (la morte del figlio Garrett per overdose, evento dopo il quale è apparso comprensibilmente sempre più trascurato) con la conseguenza che la fine della stagione 2012 era stata attesa con ansia da ambo le parti, oramai destinate a dividersi dopo 14 lunghe stagioni, 5 partecipazioni alla finale della Nfc, un Super Bowl perso, ed una seconda parte di carriera più vicina al 50% di vittorie che non agli exploit dei tempi di McNabb e Westbrook.
Il successo iniziale della squadra è una storia più grande del semplice ritorno a Philadelphia (da avversario) del baffuto head coach con tanto di successo, doccia di Gatorade finale e sorrisi a non finire, è un progetto a lunga scadenza che intende far nascere un nuovo periodo di eccellenza che manca da queste parti da quando sulla sideline si aggirava Marty Schottenheimer, ed il defunto Derrick Thomas e Neil Smith terrorizzavano qualsiasi quarterback si parasse loro contro.
I Chiefs stanno vincendo la loro personale scommessa con Alex Smith al timone, ovvero con un giocatore che aveva bisogno di una grande iniezione di fiducia per ravvivare una carriera fatta di alti e bassi. Perseguitato da qui all’eternità dai paragoni con Aaron Rodgers per il solo fatto di avergli portato via la prima selezione assoluta in quel draft del 2005 dove San Francisco decise che il prodotto dell’università di Utah era più forte di quel signore che oggi impazza a Green Bay, Smith quella carriera era riuscito a raddrizzarla nel momento stesso in cui Jim Harbaugh aveva messo piede nella baia, dimostrandosi adatto a condurre l’attacco di una squadra vincente che non a caso aveva sfiorato il Super Bowl giocando da prima della classe, prima di vedersi svanire davanti al traguardo i sogni di gloria per mano di Eli Manning e dei suoi bizzarri Giants.
Quando, dopo anni di sofferenze, critiche feroci e sconfitte, Smith pareva essersi preso definitivamente le redini del reparto offensivo grazie ad un sistema che ne esaltava le percentuali di completi, ecco arrivare la doppia bastonata: dapprima la corte sfrenata a Peyton Manning, un segnale abbastanza consistente il quale dimostrava che a San Francisco cercavano qualcosa di più di lui, e poi, mentre l’ex Colts sceglieva le montagne rocciose per l’ultima grande corsa della carriera, Smith cominciava un nuovo campionato alla guida di una squadra favorita per il Super Bowl, evento al quale avrebbe partecipato…in panchina.
Sì, perché da quando Colin Kaepernick mise piede in campo al suo posto a causa di uno stop forzato per una commozione celebrale, Harbaugh si rese conto che aveva davanti a sé il quarterback che aveva sempre desiderato, e la precisione di Smith, bravo soprattutto a limitare i turnovers, se ne andò miserabilmente in secondo piano dinanzi alla versatilità atletica che Kaep poteva aggiungere al reparto.
Per Reid e Smith Kansas City significa aria fresca e rivincita. Oggi Alex comanda un attacco strutturato in maniera molto semplice che gli permette di gestire al meglio le sue letture, la struttura di passaggi medio-corti esalta le alte percentuali che aveva tenuto recentemente a San Francisco, gli schemi che utilizzano la velocità dei giocatori più atletici che esplodono in campo aperto dopo la ricezione si mischiano molto bene a schieramenti in Pistol Offense e concetti di read option, situazioni nelle quali Smith può decidere spesso di correre varcando i buchi centrali proprio come usava fare a Utah, quando vestito di un’uniforme rossa quasi uguale a quella che veste oggi, evoluiva sotto le direttive di un certo Urban Meyer.
Il sistema potrebbe essere l’ideale per permettere a Donnie Avery, altro acquisto di offseason, di scrivere le migliori cifre di una carriera troppo girovaga, ed al momento la sua rapidità è sapientemente utilizzata da Reid per creare lo squilibrio di marcatura che può aiutare i Chiefs ad accumulare guadagni interessanti dopo anni di immobilismo offensivo. Jamaal Charles, invece, ci sguazza proprio, e si propone in una nuova veste che lo vede come una sorta di novello Brian Westbrook, ovvero un running back utilizzato sia per correre con efficacia (Charles peraltro offre una vasta gamma di tagli ed è bravo a correre all’esterno) e sia per eseguire tracce in uscita verso bordo campo per andare a ricevere e trovarsi in ghiotte situazioni di uno contro uno, dove si è già divertito un mondo a far mancare placcaggi al malcapitato di turno.
E’ lui l’arma totale di questa nuova edizione di Kansas City, 224 yards su corsa, 151 su ricezione e 3 mete totali sono la giusta rivincita nei confronti di chi sosteneva che dopo l’operazione al crociato anteriore non sarebbe più stato lo stesso giocatore.
Un’altra grande sorpresa è il rendimento della difesa, che sta portando pressione in maniera impressionante vincendo tante battaglie in trincea, e che a livello di punti al passivo ha sinora mostrato una resa di altissimo livello. Lasciando stare i due miseri punticini elargiti ai Jaguars nell’opener (Jacksonville non avrebbe segnato nemmeno sotto tortura…), fanno colpo i 16 punti a testa concessi rispettivamente a Dallas e a Philadelphia, la prima notoriamente prolifica a livello offensivo, la seconda alle prese con una rivoluzione tattica che aveva permesso di superare quota 30 punti in ambedue le prime uscite di campionato.
Le cose sono però destinate ad andare bene quando si possiede un playmaker ritrovato come Eric Berry, perso per infortunio nello stesso anno di Charles, un corner efficace come Brandon Flowers, cui si può sempre assegnare il ricevitore avversario più pericoloso, quando un pass rusher come l’outside linebacker come Justin Houston si permette il lusso di iniziare la sua stagione con 6.5 sack in tre gare grazie alla sua combinazione di velocità e forza bruta per evitare i blocchi (chiedere a Lane Johnson, che stanotte non avrà certo dormito…), oppure usufruendo di un run stopper di prima fascia come il veterano Derrick Johnson e di una forza interiore emergente come il secondo anno Dontari Poe, che un anno fa veniva guardato con sospetto, e che oggi sta sbocciando affermandosi come uno dei giovani defensive tackle più consistenti di tutta la Nfl, scacciando le pesanti ombre lasciate da prime scelte altissime come Glenn Dorsey, ora ai 49ers, e Tyson Jackson, gente che non ha mai fatto vedere di valere la parte alta del primo round.
Quella dei Chiefs è così una delle storie più belle di questo settembre, un mese dove è facile farsi prendere da idee sbagliate e difficile capire come interpretare le tendenze delle varie squadre, visto che sono pochissime le partite sinora disputate. Le impressioni lasciate dalla franchigia del Missouri sono invece chiarissime, e parlano di un record di 2-0 in trasferta ed una prima piazza nella rediviva Afc West in co-abitazione con i Broncos di Manning, lo stesso giocatore cui i 49ers di Smith fecero il filo due anni fa. L’intreccio di storie potrebbe dar vita ad interessanti sviluppi più in là nel calendario, e Reid, tra una bistecca e l’altra, non vede l’ora di sgambettare qualcun altro, e ridersela ancora sotto quei baffi che sono finalmente tornati ad essere ordinati, un segno che forse, le grandi sofferenze che la vita gli ha procurato, sono definitivamente nello specchietto retrovisore, e provare a fare strada nei prossimi playoffs.
Oltre a questo, l’aver mostrato al mago Chip Kelly che 14 anni a Philadelphia sono pur serviti a qualcosa nella serata in cui si celebrava la carriera in verde di Donovan McNabb, un allaccio al passato non casuale in un’occasione storica come questa, lo farà sicuramente sogghignare ancora di più.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
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