A Denver lo sanno tutti, quest’anno è Super Bowl or bust. O si va a New York a giocarsi la prima finalissima al freddo della storia oppure non se ne fa nulla, la stagione sarà considerata un fallimento.
Dodici mesi fa Peyton Manning era poco più che una scommessa, nessuno difatti all’epoca sapeva come il suo collo avrebbe reagito alle numerose operazioni affrontate, se sarebbe ritornato ad essere il medesimo giocatore a livello di forza del braccio, se sarebbe stato in grado di condurre un’intera stagione mettendo a dura prova il suo fisico. Se già a metà dello scorso campionato molte delle nubi nere si erano fortemente dissipate, per poi scomparire del tutto verso il finale della regular season, per come il futuro Hall Of Famer ha cominciato questo 2013 si possono allora dormire sonni più che tranquilli.
Forse se l’era legata al dito, competitivo com’è Peyton, quella sconfitta ai playoffs contro i Baltimore Ravens che poi avrebbero vinto il Super Bowl: non gli è mai andata giù, soprattutto per come è maturata. Ed ancora, nonostante in veste Colts si fosse già eretto una volta in cima al tetto del mondo, si sentiva circondato da altre noiose voci che pur di darsi fiato continuavano a puntargli il dito contro per l’ennesima uscita di scena precoce dalla postseason di una squadra da lui guidata, mettendo un pò troppo in secondo piano il fatto che se Rahim Moore non avesse perso irrimediabilmente Jacoby Jones con la partita sul filo di lana, forse staremmo qui a parlare di un altro epilogo. Per carità, in una disciplina come il football americano è scorretto affibbiare la colpa all’episodio o al singolo, ma i Broncos, quel Divisional Playoff, l’avevano praticamente vinto, errori di Manning compresi.
Otto mesi e trentatre minuti dopo (i trentatre sono il ritardo accumulato per dare il via al kickoff, causa maltempo), ecco l’occasione propizia per vendicarsi su Joe Cool Flacco, fresco del suo nuovo contrattone dopo una postseason a dir poco straordinaria – 11 passaggi da TD contro zero intercetti – e la nomina a Mvp dell’ultimo Super Bowl, un’occasione che Manning ha sfruttato riscrivendo la storia. Da ben 44 anni, difatti, non accadeva che un quarterback lasciasse partire dal suo braccio 7 (sette!) passaggi vincenti seppellendo i Ravens sotto uno scarto di 22 punti, scarto equivalente alla peggior sconfitta di sempre per una squadra vincitrice del Super Bowl nell’opener della stagione successiva. Ed anche qui, seppure lo si faccia negativamente, si parla di storia.
Il messaggio è chiaro: quest’anno i Denver Broncos non sono venuti nè a scherzare e nè ad apporre le proprie speranze su quarterback circensi che ora sono già fuori dalla lega.
L’attacco, dopo tre drive fatti di sole incertezze, ha cominciato a macinare pesantemente yards, 510 di total offense per la precisione, e nel secondo tempo la no-huddle orchestrata attraverso le sapienti chiamate dell’esordiente offensive coordinator Adam Gase ha metodicamente distrutto le gambe ed il fiato dei difensori in viola, già abbondantemente affaticati dal fatto di dover rifiatare più affannosamente del solito a causa della nota aria rarefatta che si respira dalle parti delle Rocky Mountains. Nessuna sostituzione possibile, blitz inefficaci dei linebacker e marcature lontane dall’efficacia vista negli scorsi playoffs hanno determinato questo tracollo generale dei Ravens nella prima partita di campionato, lasciando molti pensieri su come si dovrà aggiustare un reparto che ha perso i suoi due leader ispirazionali (a proposito: una partita dei Ravens senza il #52 non può essere una partita dei Ravens…) e che ha concesso larghi guadagni post-ricezione a quasi tutti i wide receiver avversari sbagliando spesso i tempi degli interventi in placcaggio.
Questo senza contare come il piano di gara di Denver abbia costretto i Ravens a rincorrere per tutto il secondo tempo allacciando le propie vane speranzeforzatamente al gioco aereo, estromettendo di fatto un Ray Rice fermo a quota 3.0 yards di media a portata, togliendo dal campo un’arma a dir poco letale.
Già alla prima uscita Denver ha mostrato un’efficienza preoccupante per le avversarie e, almeno in questa circostanza, ha sofferto le proprie assenze meno degli avversari. Se da un lato difatti Baltimore ha pagato dazio per non aver potuto usufruire di Anquan Boldin, passato da un Harbaugh all’altro, Dennis Pitta, costosissimo infortunio, e Jameel McClain, che sarà disponibile solo tra molte settimane, dall’altro i Broncos hanno giocato una gara difensiva molto accorta ed efficiente riuscendo a non farsi mancare l’apporto di quell’Elvis Dumervil che il faxgate di questa scorsa offseason ha spedito esattamente alla corte di John Harbaugh (e che, ironia della sorte, ha fatto homecoming alla prima gara disponibile, un pò come accadrà a Darrelle Revis domenica), hanno messo a segno 4 sack pur non potendo usufruire del loro master in materia, Von Miller, ed hanno cancellato le potenziali grandi giocate di un Torrey Smith, lo stesso che li aveva letteralmente bruciati nei playoffs 2012, pur vedendo Champ Bailey costretto a stazionare in borghese sulla sideline per infortunio.
Nel Colorado sapevano che cosa si sarebbero portati a casa corteggiando Wes Welker, e, eslcudendo quel brutto errore sul punt maltrattato proprio vicino alla sua endzone, l’ex Patriot ha dimostrato di avere ancora tanti chilometri da percorrere nel suo motore ricordando a tutti chi è stato il più prolifico wide receiver a disposizione di Bill Belichick negli ultimi tre anni, fregiandosi peraltro, con le due mete siglate in nottata, dell’invidiabile titolo di unico giocatore della storia ad aver ricevuto un touchdown sia da Brady che da Manning. Beato lui, che ai nipotini avrà di che raccontare.
Scommettiamo tuttavia che non sapessero del tutto nemmeno gli alti dirigenti dei Broncos, leggi tale John Elway, che cosa si stavano portando a casa quando hanno selezionato Julius Thomas con la 129ma scelta assoluta del draft 2011, il classico developmental prospect, ovvero un progetto a lunga scadenza tutto da sviluppare, un ragazzone dotato di un fisico possente ottimamente rapportato alla velocità in possesso e troppo ghiotto per non lavorarci sopra e farne venire fuori, due anni dopo, un prodotto che si è rivelato essere l’arma segreta di questo attacco. Sì, Thomas è l’omonimo di quel Demaryius che ha trascorso buona parte del primo tempo in perfetta beatitudine prima di esplodere con 161 yards e 2 mete, ma è anche colui che giocava a basket in quel di Portland State (non esattamente la prima università che vi viene in mente pensando alla Ncaa) e che un bel giorno decise di mettere anche casco e paraspalle, scoprendo di saperci fare anche lì.
Sì, perchè prima di quel 2010, di football collegiale non ne aveva mai giocato. Ora i Broncos di Thomas pericolosi ne hanno due al prezzo di uno, e gli squilibri tattici che il nuovo tight end titolare potrebbe portare li abbiamo già assaggiati: se comincia anche a bloccare come si deve, qui ne viene fuori qualcosa di veramente grosso, o almeno così parrebbe a giudicare dalla fluidità atletica con cui il Nostro è andato a raccogliere 5 palloni per 110 yards, calpestando l’erba della endzone anche lui, come l’omonimo e Welker, per due volte.
La Nfl ha aperto le danze in maniera alquanto strana, con i campioni in carica umiliati e costretti a giocare in casa di altri a causa del baseball, ma regalandoci già, alla prima botta, fortissime emozioni nate nonostante la bassa spettacolarità di una partita così inaspettatamente generosa nel divario di punteggio. Re Peyton siede ora nella stessa classe di grandi leggende come Sid Luckman, T.Y. Tittle, George Blanda, Adrian Burk e Joe Kapp, gli unici di tutta la storia Nfl a scrivere il settebello.
Ma se bene conosciamo il Manning maggiore, ci pare di intuire che di record come questi non gliene importi un granché.
Come tutti sanno, quest’anno a Denver è Super Bowl or bust.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
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