Il football è quello sport in cui, – si sa – prima o poi, ti trovi i Baltimore Ravens tra i maroni.
Dal 2008, anno in cui John Harbaugh è stato scelto per guidare la franchigia del Maryland, i Ravens si sono sempre qualificati per i playoffs, riuscendo infine nell’impresa di alzare il Vince Lombardi Trophy nell’ultimo Superbowl disputato.
Il suggello di New Orleans ha concluso un ciclo straordinario, infatti nella offseason i Ravens si sono separati (tra gli altri) da due atleti-simbolo quali il linebacker Ray Lewis, ritiratosi dopo 17 anni di successi in maglia viola e vero depositario del segreto dell’invincibile difesa degli ultimi 10 anni dei Ravens, e la safety Ed Reed, trasferitosi agli Houston Texans.
Quest’anno i Ravens sono chiamati ad una difficile riconferma ai vertici della AFC North: è vero che l’abitudine a vincere non stanca mai, ma i mutati equilibri e gli infortuni patiti in estate possono creare più di un patema ai campioni del mondo.
Gli avversari avranno il compito di sovvertire le gerarchie consolidatesi all’interno della division, soprattutto quei Cincinnati Bengals che, da tre anni a questa parte, sono i più accreditati per rappresentare la nuova, tangibile minaccia nella American Football Conference.
Nel nostro pronostico, i Pittsburgh Steelers sono costretti ad accontentarsi del terzo piazzamento, visto e considerata la situazione della squadra di coach Mike Tomlin, imprigionata tra la riconoscenza ai suoi veterani e la necessaria ricostruzione, che peraltro ha già ricevuto un forte impulso dagli ultimi draft.
Infine, ormai abbonati alle retrovie, i Cleveland Browns, che approcciano la nuova stagione con ottimismo, sperando di veder fiorire i talenti di Weeden e Richardson, sebbene debbano fare i conti con l’ennesimo cambio di gestione tecnica, la prima vera svolta impressa dal nuovo proprietario Jimmy Haslam.
BALTIMORE RAVENS
C’è chi sostiene, probabilmente a ragione, che stagione regolare e postseason siano due sport diversi. I sostenitori di questa idea potrebbero portare ad esempio i Ravens della scorsa stagione: poco più che sufficienti durante la regular season (10 vittorie e 6 sconfitte), spietati nei playoffs.
Senza citare addirittura il licenziamento, dopo la sconfitta di Washington, a poche settimane dall’inizio della postseason, dell’offensive coordinator Cam Cameron, sostituito dall’ex head coach degli Indianapolis Colts Jim Caldwell, un cambiamento che avrebbe creato instabilità negli equilibri di qualunque team, ma che coach John Harbaugh ha capito rappresentare la scossa necessaria in quel momento.
Il trionfo del 3 febbraio scorso ha creato i presupposti per chiudere un’era vincente e rilanciarsi nuovamente consegnando agli interpreti più giovani le chiavi della squadra: ecco spiegato gli addii a elementi di spicco dell’ultima, trionfale campagna quali Ed Reed, Bernand Pollard, Anquan Boldin, Paul Kruger, Cary Williams e Daniel Ellerbe, che si sono aggiunti ai ritiri annunciati dell’immenso Ray Lewis e del centro Matt Birk.
Il lifting operato dalla dirigenza ha, dall’altra parte, consacrato, anche economicamente, il nuovo leader indiscusso, Joe Flacco, premiato con un contratto da 120 milioni di dollari per sei anni, dopo i 4 perfetti incontri disputati dal numero 5 nell’ultima postseason (11 mete lanciate a dispetto di nessun intercetto), che hanno definitivamente spalancato le porte del paradiso ai Ravens.
A condividere lo spazio dietro la linea di scrimmage con il quarterback da Delaware University, il solito Ray Rice, arma insostituibile nella Air Coryell offense di coach Harbaugh. Infatti, il prodotto di Rutgers costringe le difese avversarie a “restare oneste”, pagando il giusto tributo ad uno dei migliori portatori di palla della Lega, salvo poi costringere i linebacker avversari a faticosi mis-match, quando esegue in uscita dal backfield, per far valere l’ottica tecnica in ricezione.
Con il draft dello scorso anno i Ravens hanno aggiunto nuova forza d’urto al proprio gioco di corsa, scegliendo da Temple Bernard Pierce, che si è rivelato un giocatore di impatto immediato, soprattutto quando il gioco si è fatto più duro, facendo registrare una straordinaria media di 5.2 yards di media per portata di palla alla sua prima partecipazione ai playoffs.
Nei piani della dirigenza dei Ravens, il vuoto lasciato da Anquan Boldin (passato ai 49ers, quasi un gentile concessione tra fratelli…), sarebbe dovuto essere compensato dalla definitiva consacrazione del tight end Dennis Pitta, ormai la valvola di sfogo più ricercata dai lanci di Joe Flacco nel breve raggio ed in end zone, che purtroppo si è infortunato gravemente all’anca nei primi giorni di training camp.
Nonostante ciò, nell’ambiente si respira un moderato ottimismo dopo la perfetta riuscita dell’operazione a cui è stato sottoposto il giocatore, anzi, trapelano indiscrezioni che vorrebbero i Ravens inserire il 28enne tight end nella neonata “short term injury list”, che darebbe la possibilità di riavere disponibile l’atleta dalla 9° settimana di regular season, francamente un tempo di recupero che avrebbe dell’incredibile, considerati i primi report che davano pacificamente chiuso il 2013 di Pitta.
Quindi? Quindi lo scacchiere offensivo prevede Ed Dickson titolare nel ruolo di tight end, con il veterano Dallas Clark, firmato in extremis, per dare sicurezza e profondità al reparto.
Accanto alla straordinaria macchina da touchdown Torrey Smith, il quale dovrà forse contenere la sua proverbiale efficacia sul profondo per assorbire la mancanza di un ricevitore affidabile nei pressi della linea di scrimmage, i Ravens presentano una coperta troppo corta in ricezione, con nessun ricevitore di sicuro affidamento, tra i vari Jacoby Jones, Deonte Thompson, Brandon Stockley ed i rookie Marlon Brown ed Aaron Mallette.
La linea offensiva presenta la novità Gino Gradkowski, secondo anno deputato a sostituire l’ottimo Birk, che ha passato gran parte del training camp ad oliare i meccanismi con il quarterback Flacco, con cui condivide un passato nel campus di Delaware.
Il veterano è il left tackle Bryant McKinnie, che ha subito una tirata d’orecchio dal suo coaching staff per le condizioni fisiche in cui versava alla riapertura degli allenamenti, al quale si aggiungono la left guard Kelechi Osemele, seconda scelta del 2012, la right guard Marshal Yanda e, ovviamente, Michael “The Blind Side” Oher al tackle di destra. Ad aprire le traiettorie di corsa ai vari Rice e Pierce, il possente fullback Vonta Leach, da tre anni assiduo frequentatore del Pro Bowl e firmato in estate con un contratto di due anni.
E’ però sul versante difensivo che si incontrano il maggior numero di facce nuove.
La 3-4 dei Ravens poggia su una solidissima linea difensiva, guidata dal nose tackle Haloti Ngata e dai defensive lineman Arthur Jones e Chris Canty, che vuole rilanciare la sua carriera dopo l’ultima sfortunata esperienza ai Giants, costellata di infortuni.
I linebacker costituiscono l’ago della bilancia dell’intera difesa: se funziona la pass rush, gli avversari si consegnano ai superlativi placcatori in maglia viola, oppure alla velenosa secondaria.
La stagione da cominciare segna il ritorno a pieno regime dell’immenso Terrell Suggs, il miglior difensore della NFL nel 2011, che riprende il posto sull’esterno dopo il chiacchierato infortunio al ginocchio dell’estate del 2012, comunque ridimensionato da un velocissimo recupero. Le posizioni rimanenti perdono tre colonne del titolo appena vinto, in quanto Ray Lewis, l’anima dello spogliatoio dei Ravens, si è ritirato, mentre Daniel Ellerbe e Paul Kruger hanno monetizzato il loro superlativo 2012 e lo status da free agent, accettando le proposte del miglior offerente.
Il compito di non farli rimpiangere, o, almeno, non farli rimpiangere troppo è affidato ai middle linebacker Jameel McClain e Daryl Smith, che pare essersi assicurato il posto da titolare, nonostante l’arrivo da oggetto misterioso, in seguito alle sole due presenze del 2012 e la provenienza da un ambiente abituato al culto della sconfitta, ovvero i Jaguars. Purtroppo, recentemente è caduta un’altra tegola su un front 7 già ampiamente rivoluzionato: infatti McClain è stato posto nella cosiddetta PUP List e non sarà disponibile per le prime sei uscite stagionali.
La ferita è ancora calda, ma il ballottaggio per la posizione di MIKE dovrebbe essere riservato soltanto a uno tra Josh Bynes e la seconda scelta dell’ultimo draft Arthur Brown, con il primo favorito, se già non per il naturale periodo di adattamento richiesto per l’inserimento dell’ex prospetto di Kansas State nei nuovi schemi di gioco, almeno per la maggiore militanza prestata.
Nonostante la dolorosa separazione da Paul Kruger, definitivamente esploso in contumacia di Suggs e andato a rinforzare una diretta rivale, quest’anno, se possibile, la pass rush dei Ravens si è ulteriormente rafforzata.
Infatti è riuscito il corteggiamento a Elvis Dumervil, 9.5 sacks nel 2012, protagonista quest’estate di uno dei più incredibili malintesi nella storia della free agency, quando fu rilasciato dai Denver Broncos perché il contratto che prevedeva la ristrutturazione del suo stipendio non era stato inviato in tempo utile, in quanto il procuratore…non era riuscito a trovare un qualsiasi mezzo tecnologico per far recapitare il contratto firmato al quartier generale della franchigia del Colorado.
Poco male, diremmo, considerato che il giocatore di origine haitiana ha trovato rifugio tra i detentori del titolo NFL, andando a comporre un uno-due di veri barbari con Terrell Suggs, delle cui razzie faranno le spese i poveri quarterback avversari.
La partenza di Cary Williams, volato a Phila, ridisegna le responsabilità tra i cornerback: come sempre, Lardarius Webb sarà in campo per coprire i ricevitori avversari più pericolosi, mentre Corey Graham e la prima scelta del 2011 Jimmy Smith (descritto in ottima forma) si spartiranno gli snaps dalla parte opposta.
Un dolore da vero appassionato mi attanaglia lo stomaco, non potendo annunciare il solito Ed Reed nell’abituale ruolo di free safety, dopo 11 anni da corvo, sostituito dalla scommessa Michael Huff, motivato a dimostrare di poter emergere anche in un contesto non disastrato come quello dei Raiders; al suo fianco la strong safety James Ihedigbo, l’uomo di esperienza che terrà caldo il posto a Matt Elam, l’ennesima cartuccia difensiva di alto calibro (32esima scelta assoluta) sparata dal front office dei Ravens nell’ultimo draft, per completare un reparto già eccellente così com’è.
Posizioni immutate invece negli special team, decisione che non sorprende affatto, dati gli straordinari risultati conseguiti sul campo.
Scommessa più che vinta per il kicker Justin “Wonder Boy” Tucker, capace di assestarsi, nella sua stagione da rookie, al 90% dei calci completati tra i pali in stagione regolare, confermando poi nei playoffs che la gamba non avrebbe cominciato a tremare, infilando un filotto da grande campione.
Nelle situazioni di punt fiducia rinnovata a Sam Koch, mentre Jacoby Jones è chiamato a ripetere gli straordinari numeri su ritorno, segno anch’esso della magica stagione coronata con il successo finale.
Il nostro sentore è che la capacità di allenare di John Harbaugh colpirà (positivamente) ancora una volta e il biglietto per la postseason verrà, come tradizione, staccato.
Allo stesso modo, saremmo stupiti se le insostituibili defezioni estive (già soltanto sotto il profilo del carisma) e l’infortunio di Pitta, che priva il gioco aereo di Flacco del suo bersaglio più affidabile, non inficiassero un cammino verso la riconferma al vertice, che, oggi come oggi, appare piuttosto improbabile.
CINCINNATI BENGALS
E’ ora.
Mai come quest’anno, a nostro avviso, la strada per i rampanti Bengals è lastricata di successi.
Prima di tutto all’interno della division: i Ravens placati nella fame di vincere dall’ultimo titolo conquistato e alle prese con la fine di un ciclo, gli Steelers anch’essi a metà del guado, mentre i Browns sembrano aver imboccato (finalmente) la strada giusta, ma hanno ancora molto da dimostrare.
Poi ci sono loro, i Bengals: una franchigia rivoltata come un calzino dall’arrivo di Marvin Lewis, una nuova mentalità vincente e draft spettacolari a ripetizione.
La svolta è datata 2011: dal primo giro del draft arriva A.J. Green, mentre al secondo giro viene chiamato il nome di Andy Dalton, con buona pace dell’allora quarterback titolare Carson Palmer.
In molti avevano storto il naso sulla chiamata del pel di carota: pareva un grande azzardo, soprattutto se si tenevano in conto le difese non insormontabili affrontate per gran parte della carriera a TCU, indiziate numero uno delle lusinghiere statistiche con cui si era accomiatato dal college football.
Tra questi, si cosparge il capo di cenere chi vi scrive, divenuto, nel frattempo, estimatore del regista texano.
Certo, i detrattori sentenziano che i Bengals non riusciranno mai a compiere il passo decisivo verso la gloria, finché il numero 14 raccoglierà gli ovali dal centro: braccio limitato, per non parlare degli spostamenti laterali, attitudine poco vincente (whaaaat? Due postseason raggiunte nelle prime due stagioni tra i professionisti).
Ciò che ci convince a scommettere nuovamente sul 25enne texano sono gli intangibles, le qualità che non si vedono, ma si sentono sul campo, come la sua straordinaria volontà di migliorarsi che, siamo sicuri, lo accompagnerà anche per il 2013.
Ma i rinforzi non sono mancati neanche dall’ultimo draft, come il runningback Giovani Bernard, rapidissimo prodotto di North Carolina, che si aggiungerà all’ariete BenJarvus Green-Ellis, regalando un’arma mortifera nelle situazioni di passaggio.
Forse avrebbe maggiormente giovato al sistema Eddie Lacy, il miglior portatore di palla al momento della scelta di Cincinnati, ma dalla war room rosso-nera è stato pigiato il tasto che portava ad un atleta che sapesse completare il gioco molto redditizio, ma monodimensionale, di The Law Firm.
Al ruolo di fullback è stato adattato Orson Charles, tight end di talento, che ha dovuto riciclarsi a causa della concorrenza spietata nelle posizioni adibite alla ricezione, dotando, nel contempo, i Bengals di una soluzione in più nel proprio scacchiere offensivo.
Funambolico è l’unico aggettivo che mi sovviene per A.J. Green, ricevitore che, a 25 anni, è destinato a riscrivere la storia della franchigia dell’Ohio, se non dell’intera NFL. Considerate le speciali attenzioni che i difensori avversari riservano per il fuoriclasse in nuce ex Georgia Bulldogs, particolare importanza riveste la capacità della restante pattuglia di ricevitori di saper far pagare la libertà a loro disposizione.
Il favorito per “vedere” più snap è Mohamed Sanu, giocatore di una raffinata eleganza, ma il reparto è molto profondo e anche Marvin Jones e l’esplosivo Andrew Hawkins (anche se sarà costretto a saltare la prima parte di stagione) si ritaglieranno il loro spazio.
Le risorse per Dalton non sembrano mai esaurirsi: come tight end con la licenza di uccidere, ecco un certo Jermaine Gresham, che ha suggellato una stagione da ricordare con la selezione all’ultimo Pro Bowl.
Ancora un’altra bocca da fuoco è giunta dall’ultimo draft, Tyler Eifert, obbiettivamente una prima scelta ardua da spiegare, vista l’ingombrante presenza di Gresham a coprire già il ruolo, se non con l’intenzione, da parte dell’offensive coordinator Jay Gruden, – fratello di Jon, capoallenatore nell’anno dell’unico titolo dei Tampa Bay Buccaneers – di esplorare più situazioni con la formazione a due tight end.
Formazione che allevierebbe la sofferenza della linea offensiva, soprattutto darebbe man forte nella situazione di bloccaggio (sebbene, né Gresham, né Eifert siano specialisti in detto fondamentale), rendendo meno visibile il reparto che rappresenta il tallone d’Achille della squadra.
Dispiace diffondere questo giudizio per il right tackle Andre Smith e la right guard Kevin Zeitler, eccellenze nei loro rispettivi ruoli; senza infamia e senza lode ricopre lo strategico spot di left tackle Andrew Whitworth, mentre la left guard Clint Boling e il centro Kyle Cook – che presumibilmente sarà affiancato anche da Trevor Robinson – l’altr’anno non sono parsi all’altezza della situazione.
L’estate non è stata stagione di grandi scombussolamenti nel reparto difensivo: il sesto posto complessivo per yards concesse (319.7 yards per partita) consigliava di consolidare l’organico e di aprire il portafogli soltanto qualora si fosse presentata un’opportunità irrinunciabile per far crescere il roster.
Il buon senso ha pertanto animato le azioni del front office, che ha individuato in James Harrison, – linebacker in lieve declino, ma fregiatosi del titolo di miglior difensore dell’anno nel 2008 – quale pedina decisiva per compiere un ulteriore salto di qualità.
Le altre mosse di mercato sono state limitate al rinnovo dei contratti dei talentuosi interpreti della linea difensiva, probabilmente la migliore della NFL per qualità: il nuovo accordo con il defensive end Carlos Dunlap prevede sei nuovi anni, al defensive end Michael Johnson è stata applicata la franchise tag, mentre il miglior defensive tackle della nazione Geno Atkins guadagnerà 55 milioni di dollari per cinque stagioni.
La profondità tra i defensive end è strabiliante e non si esaurisce con i due nomi precedenti che già animerebbero la salivazione di qualunque GM: il veterano Robert Geathers è stato trattenuto per i prossimi tre anni come assicurazione sulla deficitaria attitudine ai giochi di corsa di Dunlap, Wallace Gilberry, pur essendo sepolto dalla depth chart, l’altr’anno ha totalizzato 6 sack e mezzo e infine il rookie estone Margus Hunt, che ha ricevuto molti attestati di stima durante i provini pre draft.
La linea è completata dal defensive tackle Domata Peko, senza dimenticare l’onda d’urto di Devon Still, che dovrà accontentarsi di un nuovo anno da backup, prima di ricevere le stellette da titolare.
Il front seven dei Bengals si affida molto all’aggressività della propria pass rush, capace nell’impresa di ricoprire tutti i 26 fumble forzati del 2012; esuberanza che non crea scompensi, grazie alla solidità dei linebacker.
Tale reparto si arricchisce della presenza del già menzionato James Harrison, chiamato a ricoprire l’inedita posizione di strongside linebacker, accanto ai confermati middle linebacker Rey Maualuga e il weak side linebacker Vontaze Burfict.
Quest’ultimo si è rivelato una scommessa vinta, in un momento (la scorsa estate) in cui le altre franchigie lo schifavano come il pesce che puzza, in quanto portatore di fama da piantagrane, la quale aveva intaccato le sue quotazioni da talento da primo giro del draft, fino all’incredibile epilogo di non sentir nemmeno chiamato il proprio nome nella tre giorni di New York.
La secondaria è molto equilibrata, composta da molti buoni/ottimi giocatori, ma non da superstar: i cornerback titolari rispondono ai nomi di Leon Hall e Terrence Newman, Adam “Pacman” Jones è stato spesso utilizzato, Dre Kirkpatrick sembra essere uscito definitivamente dalle grazie di coach Lewis. Reggie Nelson è il free safety, mentre la posizione di strong safety non ha ancora trovato un padrone incontrastato, anche se dovrebbe essere appannaggio di George Iloka, sebbene il coaching staff potrebbe preferirgli il talento di Taylor Mays o la freschezza di Shawn Williams.
I compiti di kicker e punter rimarranno nei piedi di due autoctoni, cioè rispettivamente Mike Nugent e Kevin Huber, con Brandon Tate e Adam Jones ad accollarsi gli oneri (e gli onori) da ritornatori.
E’ obbligatorio che i Cincinnati Bengals si levino dalle spalle la condiscendente nomea di “squadra di belle speranze” e mettano cinicamente nell’obiettivo la partita del 2 febbraio prossimo.
Suggestione: e se i prossimi a trionfare al Superbowl provenissero nuovamente dalla AFC North?
CLEVELAND BROWNS
E’ indubbiamente anno zero per Cleveland, ma un anno zero un po’ particolare.
Il nuovo head coach Rob Chudzinski si avvarrà per lo più dell’organico del precedente coaching staff, infatti le posizioni fondamentali dello scacchiere sono occupate da atleti che sono stati per lo più selezionati nel ricco draft dell’anno scorso. Questi, dopo un anno di rodaggio, sono pronti a scrollarsi da dosso le incertezze che contraddistinguono i nuovi entrati nella Lega, e ciò è causa di moderato ottimismo nella città infaustamente soprannominata “The mistake on the lake”.
Vero che le annate che portavano timide schiarite nel passato recente sono naufragate in alluvioni che hanno rispedito la franchigia dell’Ohio nei bassifondi della AFC.
I motivi per sorridere, però, ci sono, a partire dal quarterback Brandon Weeden, prima scelta dell’anno scorso, quando aveva approcciato la NFL come insolito rookie 29enne. Dopo una rovinosa partenza contro gli Eagles (4 intercetti e nessuna meta), l’annata è trascorsa nel tentativo di conformarsi al ritmo frenetico del mondo professionistico. Quest’anno Weeden, che ha all’attivo anche una precedente esperienza nel mondo delle MLB, ha aperto il training camp dimostrando una maggiore sicurezza, confermata dai buoni spezzoni giocati in preseason.
Il giocatore più atteso, l’Atlante cui è richiesto di sopportare sulle sue capienti spalle l’intero sistema di gioco offensivo dei Browns, è Trent Richardson, scelto come terza scelta assoluta nel draft di un anno fa, esplosivo running back uscito da Alabama e ritenuto nell’ambiente (ma non solo, aggiungete anche noi) pochi gradini sotto l’inarrivabile Adrian Peterson.
La filosofia di gioco di Chudzinski si baserà su un intenso utilizzo del numero 33, vista e considerata una depth chart nel ruolo piuttosto avara di talento, crisi acuita dagli infortuni a Montario Hardesty e Dion Lewis, e, pertanto, incapace di farlo rifiatare.
Un’altra conferma del prossimo utilizzo massiccio dell’ex Crimson Tide è data dal nuovo offensive coordinator, Norv Turner che, da capoallenatore dei San Diego Chargers, nel triennio 2007-09, ha garantito a LaDainian Tomlinson una media di 336 portate a stagione ed ha già dichiarato che difficilmente Richardson si allontanerà dai 300 tocchi per il 2013.
Il fullback Chris Ogbonnaya è l’elemento su cui dovrebbe ricadere il favore del coaching staff nelle rare portate di palla che gli saranno destinate, altrimenti l’alternativa “pura” nel ruolo è rappresentata da Brandon Jackson, che già in passato ha dimostrato di non possedere le caratteristiche del solista all’interno dell’orchestra.
La giuria è ancora in camera di consiglio per deliberare sul rinnovato parco ricevitori di Cleveland: già si è dovuto operare sul reparto un intenso restyling, praticamente costringendo la dirigenza a recitare il mea culpa sugli atleti selezionati nel ruolo negli ultimi draft. Il gruppo è talentuoso e di belle speranze (ahia!), ma nessun singolo ha allungato sugli altri per produzione complessiva.
Si è fatto certamente apprezzare Josh Gordon, su cui molti analisti concordavano sul ruolo di primo piano che si sarebbe ritagliato nella offense dei Browns, prima di ricascare nella spirale dell’abuso di droga che lo costringerà a guardare i compagni dalla sideline per i prime due episodi della stagione. A questo punto l’indiziato numero uno per ricevere le maggiori attenzioni da Weeden è Greg Little, giocatore tecnico e dotato di un corpaccione disegnato apposta per questo gioco, tranne poi cadere in banali errori di concentrazione che ne hanno minato sicurezza e credibilità agli occhi del(ex) coaching staff.
Da questa vana dispersione di talento, potrebbe emergere il tight end Cameron Jordan, californiano dedito alla pallacanestro prima di scontrarsi con il football ad USC, la cui stazza e atletismo costringerà ad indigesti mis-match linebacker e cornerback avversari. Mal che vada, Cleveland ha fatto bene i compiti a casa ed in estate ha portato a casa l’affidabile Davone Bess, che potrebbe guadagnare minuti e considerazione, man mano che l’ovale cominci a scottare tra le mani. Il credito concesso si sta esaurendo per Travis Benjamin e Josh Cooper: se non si verificherà l’auspicata progressione degli interessanti passi mossi da rookie, si prevede ardua la loro riconferma anche per il prossimo anno.
Un attacco che si abbandonerà in maniera costante alle possenti braccia del proprio runningback avrà bisogno di una linea offensiva con i controfiocchi, circostanza che si verifica con certezza per almeno tre delle cinque posizioni in esame: Joe Thomas è forse il miglior tackle di sinistra della nazione, Alex Mack è un ottimo centro e Mitchell Schwartz si è già costruito una sua credibilità al suo primo anno di attività tra i “grandi”.
Più interessante, per le sorti della stagione, sarà osservare come i Browns assorbiranno gli acciacchi dei titolari nel ruolo di guardia, Jason Pinkston e Shawn Lauvao: alla guardia di sinistra si è già distinto l’anno scorso, in analoga situazione di emergenza, il ravennate (sì, ma quella dell’Ohio…) John Greco, mentre il buon Norv Turner dovrà invece diradare la bagarre creatasi nello spot di destra.
Cambiando l’obiettivo e spostando la lente d’analisi sul reparto difensivo, la principale risposta dalla offseason doveva riguardare la pass rush, incapace di far vacillare le sicurezze dei quarterback avversari per lunghi periodi di tempo e, conseguentemente, allievare la pressione a cui era sottoposta la secondaria, non estranea comunque a colpe.
Sul mercato si è allora individuato il nome dell’outside linebacker Paul Kruger, esploso nella difesa dei Ravens campioni, il quale ha deciso di accettare il progetto tecnico illustrato dal GM Michael Lombardi, che lo proiettava quale star designata del pacchetto difensivo.
La difesa 3-4 dei Browns ripresenta la medesima linea difensiva dello scorso anno con il nose tackle Phil Taylor e i defensive end Athyba Rubin e Desmond Bryant. La linea a 4 dei linebacker è sicuramente quella più intrigante, che vede, oltre al succitato nuovo acquisto Kruger, una coppia di middle linebacker ben affiatata, costituita da D’Qwell Jackson e Craig Robertson, con l’outiside linebacker Jabaal Sheard ad attaccare uno dei due lati.
La necessità di incrementare l’aggressività della difesa sui gestori di palla avversari erano così forte che persino la sesta scelta assoluta dell’ultimo draft ha contribuito in quella direzione: Barkevious Mingo è indubbiamente il cacciatore di teste su cui Cleveland pensa di poter costruire la difesa del proprio futuro, ma per adesso agirà specificatamente in situazioni individuate di gioco.
Il nome di spicco delle secondarie è Joe Haden, il cornerback ormai alla sua quarta stagione di NFL, sebbene la carta d’identità dica 24 anni, giocatore di un atletismo e di un talento irreali, che, come spesso succede, capita che commetta errori per l’eccessiva fiducia nei propri mezzi. Dal lato opposto evoluirà Buster Skrine, che si è meritato la riconferma a titolare con un solido 2012, mentre suscita curiosità la capacità di inserimento del rookie Leon McFadden.
Alla strong safety il terrificante colpitore T.J. Ward, ormai punto fermo del sistema difensivo dei Browns, il quale verrà affiancato dalla free safety Tashaun Gipson, ennesima scommessa per cercare di assestare un ruolo che recentemente non ha mai saputo trovare un degno interprete.
Un mix di esperienza e freschezza caratterizza gli special team: l’ultraveterano Shayne Graham presterà i propri servizi alla causa, dopo un’annata più che discreta in quel di Houston, mentre il secondo anno Spencer Lanning si occuperà di rendere più ardua possibile la risalita avversaria del campo.
Una piccola epoca finisce anche per quanto riguarda la ripartizione dell’onere dei ritorni: finito il regno di Josh Cribbs, saranno Johnson Bademosi e Travis Benjamin ad occuparsi di riportare la palla più vicina possibile alla end zone.
La ricostruzione dei Browns continua e scommettiamo che ci sarà un incremento nella casella delle vittorie rispetto un anno fa, ma, purtroppo, ciò non sarà sufficiente per eliminare il gap dai Ravens e dai Bengals.
PITTSBURGH STEELERS
Il tempo rintocca e passa per tutti, tanto più per la franchigia di Ben “Big Ben” Roethlisberger.
L’inesorabile scorrere del tempo pone coach Mike Tomlin davanti ad una difficile rielaborazione di sincretismo generazionale tra il rischio di incappare nella morsa della gratitudine eterna espressa verso i veterani, cui rischia di rimanere invischiato e la preoccupante incapacità di valorizzare i giovani talenti.
Il punto fermo dell’attacco sarà, per il decimo anno di fila, Ben Roethlisberger, quarterback che ha condotto gli Steelers alla vittoria di due Vince Lombardi Trophy. Il 31enne prodotto di Miami, Ohio è ancora al vertice della Lega, sia per yards lanciate (3.265), sia per la ratio touchdown-intercetti (26 a 8), sebbene tutti i colpi ricevuti in carriera abbiano cominciato a lasciare il segno, dal momento che è dal 2008 che non conclude una stagione, disputando tutte e 16 le sfide di regular season.
Dal backfield si registra il maggior cambiamento, con la sostituzione di Rashard Mendenhall, proveniente da una stagione in cui aveva potuto contribuire solo per sei partite a causa della necessaria riabilitazione in seguito all’operazione per la ricostruzione del legamento crociato, comunque divenuto di peso per esternazioni che avevano probabilmente infastidito più i ferventi patrioti, che le persone di buon senso, con la seconda scelta Le’Veon Bell.
Obiettivamente, al momento della chiamata di Bell, dubitavamo che potesse impadronirsi immediatamente del ruolo di runningback titolare, ma coach Tomlin ha fugato ogni dubbio fin dal primo istante di training camp, definendolo un three-down back, ovvero un portatore di palla capace di sopportare la fatica di tutte le azioni di gioco.
Purtroppo il progetto di schierare l’ex Spartans fin dall’esordio con i Titans ha subito una brusca frenata, in quanto Bell si è infortunato dopo sole quattro azioni della prima partita di preaseason ed ora è costretto ai box (si pensa che possa ritornare abile ed arruolato per la seconda settimana di partite).
Spazio, almeno per il debutto, ad Isaac Redman, giocatore monodimensionale, ma pericoloso quando imbrocca la giornata giusta, e a Felix Jones, giunto poche settimane fa da Dallas per dare profondità ad un reparto che poteva vantare ancora solo sulle prestazioni di LaRod Stephens-Howling, molto più abile come special teamer.
Doloroso, ma in fondo necessario, è stato il sacrifico di Mike Wallace, in un reparto, quello dei ricevitori, che ha sempre goduto di ottima tradizione e continua ad appoggiarsi su ragazzi dall’avvenire assicurato. Il braccione di Roethlisberger non dovrebbe incappare in nessuna difficoltà per connettersi con la velocità di Emmanuel Sanders ed Antonio Brown, entrambi al quarto anno di attività nella Lega, pronti ad esplodere fragorosamente per issarsi nel firmamento dei migliori ricevitori.
I tifosi della Steel City puntano soprattutto su Sanders, considerati i gravosi sforzi economici fatti in estate dalla dirigenza per trattenere il ragazzo, pareggiando l’allettante offerta avanzata dai Patriots.
Dal draft è giunto un altro ragazzo che – scommettiamo – contribuirà alle fortune della franchigia nel prossimo futuro, ovvero Markus Wheaton, uno dei ricevitori più affidabili nella scorsa stagione di college football, adatto a rilevare l’eredità di un certo Hines Ward, affine per stile di gioco e capacità di farsi trovare sempre libero sulle traiettorie corse.
Intanto, si aspetta con ansia notizie positive dall’infermeria, dove è in cabina di carenaggio il tight end Heath Miller, un’altra fetta di anima della squadra campione del mondo nel 2006 e nel 2009, insuperabile bloccatore sulla linea di scrimmage ed educatissimo ricevitore alla bisogna.
Miller ha sofferto lo stesso infortunio di Mendenhall nella partita di chiusura della stagione contro i Cincinnati Bengals e da una parte sta velocizzando la propria rieducazione, dall’altra la cautela insegna che un veterano di 9 anni di battaglie in trincea deve cominciare a fare i conti con il proprio corpo, poiché un’ulteriore ricaduta priverebbe gli Steelers di una pedina fondamentale.
Il coaching staff di Pitt conosce l’antico adagio per cui le vittorie si costruiscono su una linea offensiva di ferro (per l’appunto…) e infatti questo è stato l’indirizzo che ha portato a spendere diverse prime scelte negli ultimi anni per puntellare il reparto.
Purtroppo non sempre queste selezioni hanno pagato i loro dividendi e le evidenti difficoltà si sono protratte anche nei match di preaseason: in particolar modo, spaventano i passaggi a vuoto della guardia di destra David DeCastro, giunto in Pennsylvania quale elemento di spicco della o-line di Stanford, ma mai assestatosi nuovamente su tali livelli.
Il leader della formazione è senz’altro il centro Maurkice Pouncey, che si è guadagnato tre chiamate al Pro Bowl nelle prime tre stagioni di professionismo, al quale sarà demandato di serrare una linea composta verosimilmente dal left tackle Mike Adams, dalla left guard Ramon Foster e dal right tackle Marcus Gilbert.
Con 275.8 yards a partite concesse, la difesa degli Steelers si è dimostrata la migliore della Lega. Frutto di un sistema in cui chiunque porta il proprio contributo, previlegiando il gruppo al singolo. La stessa partenza di James Harrison, elemento storico del fortino, non produrrà effetti devastanti, data la quantità strabordante di talento presente nella depth chart.
Il reparto presenta la forma della 3-4, con la linea difensiva capitanata dal defensive end Brett “The beard” Keisel, elemento essenziale di pressione sulla tasca avversaria. Accanto a lui si sono guadagnati la fiducia del coaching staff il defensive end Ziggy Hood e il nose tackle Steve McLendon, quest’ultimo battendo la concorrenza di Taa’mu Alameda, alla fine tagliato.
La linea a 4 dei linebacker unisce potenza di bloccaggio e aggressività, una gioia per gli occhi di qualsiasi appassionato: Larry Foote e Lawrence Timmons costituiscono un’eccezionale coppia di run stopper, mentre LaMarr Woodley e il neopromosso Jason Worilds hanno licenza di uccidere, ovvero varcare la linea avversaria e costringere al terreno i malcapitati quarterback avversari.
La secondaria è il settore che dovrebbe maggiormente risentire del tempo che avanza. Il simbolo è Troy Polamalu, uno dei più grandi di sempre nell’interpretare il ruolo di strong safety, ma spesso costretto ad osservare un turno di riposo, a causa degli acciacchi, inevitabili come nel caso di Heath Miller.
Gli altri ruoli non registrano particolari variazione, con i soliti Ryan Clark nella posizione di free safety e Ike Taylor cornerback sulle tracce dei più pericolosi levrieri avversari, mentre il principale elemento di novità, fosse anche solo anagrafica, è data dall’altro cornerback Cortez Allen.
I field goal saranno ancora cosa del canadese Shaun Suisham, che non raccoglie molti apprezzamenti all’interno della Lega, nonostante lo scorso anno abbia infilato il 90% dei calci tentati.
Il leit-motiv degli Steelers targati 2013 si ripete anche negli special team, per cui, accanto all’esperienza del 31enne kicker Suisham, ecco il secondo anno punter Drew Butler.
Pittsburgh si trova ad un guado, così come è ben rappresentato dal record di 8 vittorie e 8 sconfitte del 2012: riuscire nell’impresa di legare la gioventù con il carisma dei vari Roethlisberger e Polamalu porterebbe a risultati insperati; il fallimento dell’esperimento farebbe di colpo emergere la stanchezza di una franchigia incapace di emanciparsi da coloro che ne hanno scritto le pagine della storia recente.
Laureato in giurisprudenza. Grande appassionato di football americano, segue con insistenza il mondo del college football da cui è rimasto stregato. @nicolo_bo su twitter.
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