Charles Woodson, silver & black (again)
Era uno dei free agents più eclatanti rimasti sulla piazza nonostante l’età agonisticamente avanzata, e dopo tanto girovagare in cerca di un contratto confacente al suo presunto valore Charles Woodson ha finalmente trovato una nuova casa. O meglio, è tornato nel luogo del delitto, al servizio di quegli Oakland Raiders di cui aveva vestito i valorosi colori nero-argento per sette decorate stagioni, affermandosi come uno dei migliori defensive backs di tutta la Nfl prima di approdare ai Green Bay Packers e vincere finalmente il Vince Lombardi Trophy.
Nel Wisconsin avevano deciso di lasciarlo andare, una mossa prevedibile se considerato il rapporto costo-età del giocatore, rimasto in seguito frustrato dalla mancanza generale di interesse per i suoi servizi. Aveva visitato i San Francisco 49ers – dove avrebbe composto una secondaria da urlo con Nnamdi Asomugha – senza concludere nulla per andare quindi ad ascoltare cosa avesse da dirgli un’altra squadra dal chiaro potenziale da Super Bowl come i Denver Broncos, che aggiungendolo alla loro batteria di defensive backs avrebbero potuto evitare di vedersi beffati un’altra volta da un lancio profondo di Joe Flacco all’ultimo secondo. Ma John Elway aveva deciso di offrire una somma molto vicina al minimo salariale per un veterano con quegli anni di servizio, facendo decidere a Woodson di proseguire il suo tour da free agent in giro per gli Stati Uniti.
Woodson non giocherà per i Denver Broncos, ma li affronterà due volte l’anno. Ha deciso di terminare il suo giro presso la squadra che nel 1998 l’aveva scelto con la posizione numero quattro assoluta in uscita da Michigan, università con cui aveva vinto l’Heisman Trophy, un’impresa titanica per un giocatore difensivo. In quel di Oakland il difensore dell’anno del 2009 percepirà 4.3 milioni di dollari comprendendone 700.000 di signing bonus, una somma molto alta per un contratto annuale firmato da un giocatore forte, ma che ha 36 anni e registrato due rotture della clavicola negli ultimi tre anni di carriera.
Le parti sono sicuramente soddisfatte in egual misura: Woodson percepirà la somma che riteneva di valere mettendo a segno un colpo da maestro per la parte finale della sua carriera dal momento che, visti gli esiti delle precedenti trattative, nessuno gli avrebbe dato quei soldi, mentre i Raiders acquisiscono un giocatore-immagine che ridarà sicuramente vigore ai fans depressi da anni ed anni di sconfitte e stagioni dal bilancio negativo, e che sarà sicuramente importante per fare da collante in uno spogliatoio che deve restare unito per raggiungere gli obbiettivi della nuova dirigenza nero-argento.
A conti fatti, Woodson ha preferito una pensione migliore rispetto alla potenziale aggiunta di un secondo anello di campione Nfl, considerato che dopo questa stagione potrebbe decidere di ritirarsi. A meno che non riesca a stare in salute per un altro anno ancora, valutando magari che di soldi ne ha presi abbastanza e che forse varrebbe la pena di tentare un’ultima a corsa al titolo con Peyton Manning…ma come la prenderebbero nel temibile Black Hole?
Un Pro Bowl…da strada
Si faccia avanti chi, per strada, al campo da calcio o al playground con due cesti scassati non si è mai stato protagonista della mitica selezione delle squadre, facendo pari e dispari tentando di vincere il diritto di scelta dell’amico più forte a giocare ed iniziare una partita che si doveva vincere a tutti i costi. Ed è forse proprio questo tipo di spirito competitivo che sta spingendo il commissioner Roger Goodell a rivedere le modalità di svolgimento di una partita che, di per sé, sta perdendo senso ogni anno sempre più, tanto per lo scarso impegno dei giocatori coinvolti quanto per l’assurda idea di anticipare la partita alla settimana precedente il Super Bowl, decisione che di fatto ha tolto la possibilità di vedere impegnati in campo i vincitori e gli sconfitti della finalissima nella partita delle stelle.
Il Pro Bowl non è mai stato l’evento più competitivo della stagione Nfl per ovvi motivi, ma negli ultimi tempi ha di certo perso la dignità. Da un lato c’è la piena comprensione per gli sforzi di giocatori che per tutta una stagione hanno subito contatti, infortuni, si sono allenati con dedizione in palestra e sul campo di gioco, mettendo in moto un percorso logorante che spesso ne accorcia la carriera (e la vita, purtroppo), quindi ci sta che si dia il 70/80% e non di più, sarebbe futile e dannoso andare in cerca di procurarsi una lesione grave in un evento come questo, destinato allo spettacolo puro, al divertimento, e allo sfruttamento dell’affascinante cornice regalata da Honolulu, luogo dove tradizionalmente si tiene la manifestazione. Dall’altro lato non è tuttavia contemplabile e né sopportabile che tanti giocatori nemmeno rispondano più alle convocazioni – precisando che alcuni hanno interventi cui sottoporsi e sono giustificatissimi – e spesso diano il 30% delle loro possibilità nonostante incassino in ogni caso un cospicuo assegno per le loro (non) prestazioni, tutti fatti che hanno reso il Pro Bowl moribondo, una parata di stelle talvolta di seconda o terza mano con rincalzi chiamati in causa per la rinuncia di alcuni grandi nomi della lega.
L’edizione scorsa, preceduta da grandi polemiche proprio rivolte al sospetto rendimento dei protagonisti, è stata quantomeno accettabile ma per mantenerla in vita e continuare a creare interesse attorno ad essa c’è bisogno di una svolta granitica. Questa starebbe arrivando sotto una delle forme più innocenti che conosciamo proprio perché la praticavamo da ragazzini, si pensa infatti di nominare un capitano per ciascuna squadra lasciando stare la distinzione tra Nfc ed Afc. Ve li immaginate i fratelli Manning che formano ognuno la propria squadra per poi mettere in campo tutta la loro competitività ed offrire di conseguenza uno spettacolo migliore per tutti? Oppure vedere Arian Foster e Calvin Johnson nella stessa formazione offensiva?
Se ne discuterà ancora tanto e non è detto che vada a finire così, ma se questo fosse il destino del Pro Bowl, se non altro, l’interesse per un avvenimento che sta lentamente rendendosi inutile potrebbe essere definitivamente rigenerato.
Bad Seahawks
I bookmakers stanno spingendo i Seattle Seahawks a forza verso il prossimo Super Bowl, fatto sostenuto da quanto fatto vedere sul campo di gioco attraverso i rischi presi dall’audace Pete Carroll nell’allestire il roster e dalla strepitosa ascesa di Russell Wilson, grazie al quale secondo molti esperti la squadra è destinata a vivere numerose stagioni vincenti.
Se l’albo d’oro dei Seahawks risulta ancora vuoto dal punto di vista delle vittorie al Super Bowl, altrettanto non si può certo sostenere per l’albo d’oro dei giocatori squalificati per uso di sostanze non lecite, che troppi appartenenti alla franchigia di Seattle hanno deciso di riempire negli ultimi tempi.
Nel corso del 2012 la squadra si era vista sospendere tre giocatori, l’uomo di linea offensiva Allen Babre, il safety Winston Guy, ed il cornerback Brandon Browner, ricevendo sanzioni per oltre 60.000 dollari per via di un regolamento Nfl che prevede il pagamento di una multa calcolata su determinate percentuali dello stipendio perso dal giocatore durante le quattro partite d’assenza imposte qualora la violazione avvenga per più di una volta da parte di membri della stessa squadra. Le sospensioni sarebbero anche potute essere quattro dal momento che anche l’astro nascente Richard Sherman era stato inizialmente sospeso per le canoniche quattro gare verso il termine della regular season scorsa, ma aveva poi vinto un ricorso per via di alcuni vizi procedurali riguardanti l’efficacia del test, in quanto il campione da lui fornito sarebbe stato contaminato e quindi compromesso.
La prossima stagione deve ancora cominciare, ma i Seahawks sanno già che dovranno fare a meno del defensive end Bruce Irvin, prelevato al primo giro del draft 2012 contro ogni aspettativa che aveva poi reso il favore all’organizzazione collezionando 8 sack in una buonissima annata da rookie, in quanto l’ex West Virginia è l’ultimo giocatore di Seattle in ordine cronologico ad essere stato sanzionato e punito per uso di sostanze non permesse dalla Nfl. Irvin salterà quindi tutto il primo mese di stagione regolare, compresa l’importante partita divisionale contro San Francisco, lasciando semi-sguarnito un reparto che non si sa se potrà contare su Chris Clemons, attualmente in riabilitazione dopo la rottura del crociato anteriore durante la partita di playoffs contro i Redskins, e che vedrà il neo-arrivato Cliff Avril con tutta la pressione del mondo addosso.
Josh Portis è invece stato il più recente a destare scalpore, pur non avendo abusato di alcuna sostanza in grado di migliorarne le prestazioni sul campo. Il terzo (ex) quarterback dei Seahawks si è difatti fatto pizzicare alla guida di un veicolo dopo aver bevuto qualche bicchierino di troppo, è stato di conseguenza arrestato, e prima che la Nfl potesse prendere qualsiasi tipo di provvedimento ha ricevuto la notizia del taglio da parte dei piani alti della franchigia, che ha così mandato un messaggio molto significativo al resto della squadra.
In un momento dove i Seahawks sono sotto le attenzioni di tutti per il loro possibile ruolo di rappresentante della Nfc al Super Bowl di New York/New Jersey, la lente d’ingrandimento si avvicina loro sempre di più, così come l’occhio dello sceriffo Roger Goodell.
Che i rischi presi da Pete Carroll, finora considerato un genio, gli si stiano ritorcendo contro per via di caratteri non esemplari mostrati dai suoi giocatori? Prima di tracciare ai suoi giocatori la strada verso il Super Bowl, Carroll farà meglio ad installare una sana dose di disciplina.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
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