Grazie ai numerosi giochi di parole resi possibili dalle assonanze e consonanze con cui gli americani si divertono a coniare termini tanto bizzarri quanto calzanti, la città di Atlanta è diventato in questo momento uno dei luoghi più torridi di tutta la Nfl. Hotlanta, per l’appunto.

Mike Smith ha trasformato i Falcons in una squadra vincente. Almeno in regular season…

I Falcons sono difatti una delle squadre più calde del momento, ed assieme a Houston, San Francisco e Baltimore rappresentano una delle franchigie più accreditate per la partecipazione al prossimo Super Bowl, considerazioni nate dalla costanza settimanale di una compagine completa sotto tutti i punti di vista, che in questo momento vive la miglior partenza (5-0) nella storia di una franchigia che fino a poco tempo fa non aveva mai raccolto due stagioni vincenti consecutive, la quale deve solamente trovare la forza mentale per non cadere nel baratro quando c’è tutto in palio, come hanno difatti dimostrato le fallimentari partecipazioni ai playoffs delle recenti stagioni.

Non è certo il primo anno che Atlanta viene considerata come un’ottima squadra in grado di fare strada, ma un conto è essere considerati in quel modo, e tutt’altra faccenda è dimostrare di essere capaci di diventare veramente dei campioni. I Falcons sono stati modellati ripartendo quasi da zero dopo il tempestoso periodo immediatamente successivo all’incarcerazione di Michael Vick, all’epoca scommettitore ed omicida del genere canino, un episodio che aveva gravemente minato la credibilità del team, aveva gettato fango su colui che doveva rappresentare la faccia della franchigia eliminando istantaneamente dalla piazza un giocatore che, nonostante avesse ricevuto tante critiche per via dei mancati progressi nel suo gioco di passaggi godeva del talento necessarioper portare lontano quei Falcons che lui medesimo aveva condotto fino alla finale della Nfc del campionato 2004 contro i Philadelphia Eagles, miglior piazzamento di Atlanta dopo il Super Bowl XXXIII, giocato e perso contro i Denver Broncos di John Elway.

Michael Turner in azione a San Diego, contro i vecchi compagni.

Matt Ryan è stato una scelta obbligata in quel draft del 2008, dato che il ruolo di quaerterback era stato improvvisamente svuotato di tutto (giocava Joey Harrington…) ed il ragazzo rappresentava esattamente ciò che Mr. Arthur Blank, il proprietario, e la sua organizzazione, cercavano per poter finalmente rialzare la testa dopo la pessima pubblicità ricevuta. Ryan non ha solo la faccia da bravo ragazzo, è un cittadino modello che dice sempre la cosa giusta al momento giusto, il cui passato non presenta traccia alcuna di turbolenze o disordini vari, e che rappresentava quindi, nello specifico momento, la soluzione ideale su cui fare affidamento per dare una ripulita alla reputazione dei Falcons. Non ultimo, era ed è un quarterback di grande talento, sia fisico che tattico, che poteva contare sulle idee vincenti di un head coach rookie come lui, Mike Smith, ed affidarsi alla voglia di sfondare di un running back di riserva arrivato in squadra assieme a lui, l’ex Chargers Michael Turner.

Se la sua prima partecipazione ai playoff, qualificazione ottenuta al suo primo anno nella Nfl, fu breve per via della sconfitta patita in Arizona contro i medesimi Cardinals che sarebbero andati sorprendentemente al Super Bowl e poteva essere giustificata dall’assenza di sufficiente esperienza sia per lui che per coach Smith, altrettante attenuanti non potevano essere messe in campo per una stagione 2010 chiusa a quota 13-3 e con numeri offensivi fantascientifici ma interrottasi contro Green Bay dopo una sola partita di post-season, nonché per la promettente annata scorsa, quella della potenziale consacrazione, dove la memoria dei due soli punti segnati – dala difesa – contro i Giants nella Wild Card è ancora vivida nelle menti di tutti quanti.

Quest’anno la squadra si sta impegnando al massimo per mettere in campo tutte le sue qualità positive ed ha trovato modi differenti per vincere, tutti giocano molto motivati, per cancellare ad ogni costo la reputazione perdente che la franchigia si è fatta in tre delle ultime quattro edizioni di playoffs. Ryan e Smith, una coppia davvero vicina alla perfezione per intesa tra quarterback ed allenatore, sanno che un’altra uscita prematura dalla corsa al Super Bowl potrebbe essere deleteria per la fama di entrambi, così forti e solidi in stagione regolare, e così apparentemente intimiditi dal clima diverso che si respira quando la palla scotta.

Matt Ryan è partito a razzo, potrebbe essere alla miglior stagione di carriera.

Ryan è un ragazzo più maturo dei suoi 27 anni, è nell’età perfetta per esplodere nel suo ruolo, che richiede anni di studio e di consapevolezza tattica, e quest’anno ha chiaramente mostrato di aver compiuto un altro passo verso la grandezza. Il suo modo di giocare è perfettamente sincronizzato nei confronti di un attacco esplosivo che comprende due superstars come Roddy White e Julio Jones, incubi di qualsiasi secondaria, e che annovera il futuro Hall Of Famer Tony Gonzalez, che per come ha riscritto indissolubilmente il ruolo di tight end meriterebbe pienamente di vincere il suo primo titolo di carriera prima dell’imminente ritiro.

Ryan è freddo – è conosciuto sin dai tempi di Boston College come Matty Ice – preciso nelle sue spirali e rapido nella comprensione dello schieramento della difesa, tutte caratteristiche che, sommate, stanno determinando le ottime cifre che finora è riuscito a raccogliere. La percentuale di completi, se mantenuta attorno all’attuale 68.3% sarà la migliore della sua quinquennale esperienza professionistica, e l’attuale  rapporto di 13 a 3 tra passaggi da TD ed intercetti la dice lunga sulla precisione che sta mettendo nella grande maggioranza dei suoi lanci.

Durante la lunga pausa primaverile l’organizzazione è stata protagonista di una radicale trasformazione riguardante gli assistenti allenatori di Mike Smith. Una volta appurato che Mike Mularkey non possedeva sufficiente creatività per far risaltare le potenzialità del gioco aereo è stata presa la decisione di assumere al suo posto Dirk Koetter, il quale non aveva materiale sufficiente per avere successo a Jacksonville (che curiosamente è stata la nuova meta di Mularkey) e che in Georgia riesce senza dubbio ad applicare meglio i suoi concetti di verticalità. I progressi sono stati immediati ed evidenti, ed il fatto che Smith e Koetter siano riusciti a trasformare un attacco basato principalmente sulla potenza delle gambe di un Turner il cui motore presenta un preoccupante chilometraggio in un reparto che produce in maniera diversa ma ugualmente efficiente, è un segnale dell’estrema validità di questo gruppo di allenatori.

L’altro grande cambiamento è giunto in difesa, precedentemente allenata dall’urlatore Brian VanGorder (ora coordinatore della difesa ad Auburn) ed oggi comandata dal veterano Mike Nolan, bravo a non voler imporre i suoi concetti (è un noto predicatore della 3-4) arrivando a mettersi a completa disposizione del reparto mantenendone lo schieramento di base (Atlanta utilizza la 4-3) ed aggiungendo qualche pacchetto difensivo situazionale che schiera alcuni giocatori in posizioni più ibride. Il cambiamento più grande è arrivato dal punto di vista mentale, in quanto Nolan ha impresso nella mente dei suoi difensori uno stile votato all’istinto puro, alla percezione di ciò che l’attacco sta per fare interpretandone i segnali, lasciando da parte quel tipo di mentalità tattica precedentemente in uso, la quale chiedeva ai giocatori di reagire a ciò che l’avversario stava facendo invece di anticiparne le intenzioni.

William Moore è uno dei playmakers delle secondarie.

La difesa, pur dovendo denotare una certa assenza di pass rush da parte del fronte a quattro ed una sinistra tendenza a concedere valanghe di yards su corsa, sta contribuendo alla causa in maniera tangibile rimediando alle proprie pecche attraverso la riconquista del possesso dell’ovale. I Falcons hanno difatti già messo a segno 9 intercetti in sole 5 partite, possiedono una secondaria da sogno che annovera gli affermati Dunta Robinson ed Asante Samuel, i quali offrono un’invidiabile profondità con cui si è sopperito all’assenza per infortunio di Brent Grimes, inoltre la coppia di safety composta da William Moore e Thomas DeCoud è ottimamente amalgamata e continua a produrre giocate di impatto che cambiano l’andamento delle gare. DeCoud è primo di squadra con 4 intercetti, mentre Moore fa tantissime cose utili, rompe passaggi, porta pressione, propone allineamenti che confondono la lettura del quarterback per poi tornare in un lampo alla posizione originaria. Sean Weatherspoon, lasciato libero dall’ombra di Curtis Lofton, ha ulteriormente dimostrato di essere un linebacker per tutte le situazioni, difende forte contro le corse e indietreggia per coprire i lanci, ed è il miglior produttore di sacks (3) assieme al vecchio John Abraham.

Il record di Atlanta parla da sè. Un successo sonante all’esordio in campionato mettendo a referto 40 punti contro la presunta migliorata difesa di Kansas City. Ryan che vince lo scontro diretto nel Monday Night contro il quarterback di cui potrebbe diventare il successore, Peyton Manning. Un’imposizione netta a San Diego in un campo non facile, contro una squadra che aveva cominciato molto bene il suo cammino. Una vittoria acciuffata per i capelli grazie ad una grande difesa e ad una connessione stellare tra Ryan e White contro i suicidi dei Panthers. Ed infine il successo di Washington, dopo una gara dove i Redskins hanno messo sorprendentemente in difficoltà il gioco aereo dei Falcons ed intercettato un inconsuetamente impreciso Ryan per una meta, ma nella quale la squadra ha trovato comunque il modo di vincere.

Atlanta non avrà problemi a gestire il vantaggio accumulato da qui alla fine della stagione regolare, ha già dimostrato di esserne capace nei campionati scorsi nonostante il livello di esperienza di alcuni giocatori chiave non fosse quello che è oggi. L’importante è tenere alta la concentrazione e non adagiarsi troppo sugli allori vista la complicata situazione dei Saints, che possono far male quando vogliono, e della tangibile differenza di consistenza nei confronti di Tampa Bay e Carolina, quest’ultima alle prese con una preoccupante involuzione.

Per Tony Gonzalez molti auspicano un degno finale di carriera.

La squadra è ansiosa di archiviare la qualificazione ai playoffs nel minor tempo possibile, aspetto più che fattibile mantenendo ritmi di questo tipo, per potersi poi concentrare nella vendetta nei confronti dei media, dei detrattori, di tutte quelle persone che hanno paragonato questa squadra al burro quando si giocano le partite del mese di gennaio, dove Smith e Ryan, la coppia meravigliosa, sono fermi ad un record di 0-3 nonostante il godimento del vantaggio del campo in due di queste situazioni.

Un record immacolato o la miglior partenza nella storia di una franchigia non molto vincente non interessano a nessuno se poi va a finire di nuovo che si esce di scena alla prima occasione utile.

Questi Falcons vogliono essere grandi, il mese di gennaio li misurerà di nuovo, ed allora sapremo di che pasta sono veramente fatti.

One thought on “La grande partenza degli Hotlanta Falcons

  1. premettendo che sono un tifosissimo di atlanta e quindi anche dei falcons,credo che siano un’ottima squadra ben amalgamata con giovani affamati di dimostrare il loro potenziale e una guida in campo come matt ryan che attualmente è la migliore in assoluto tra i qb,ma credo manchi il fattore cluth per i falcons soprattutto per vincere i playoff,forse e dico forse(e spero di sbagliarmi) che nel momento dei playoff la pressione su alcuni giocatori si fara’ notare,io personalmente credo che i giants siano ancora una spanna sopra tutti gli altri e quando arrivera’ il momento (i playoff) lo dimostrera’,hanno una difesa tremendamente ancora la + forte di tutti

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