Eccoci nuovamente a ridosso del più importante evento della off-season NFL, il draft, dove le franchigie si procurano annualmente nuova linfa da immettere nei vecchi ingranaggi per creare (si spera!) la formula alchemica tale da consentire la conquista del titolo.
In questo articolo ci occuperemo dei migliori prospetti tra i ricevitori, memori del recente passato che ha incoronato due giocatori – A.J. Green e Julio Jones – protagonisti della notte delle scelte nel 2011. Il primo, quarta chiamata assoluta dei Bengals, si è rivelato un vero toccasana per il proprio team che, insieme all’altro rookie Andy Dalton, ha ben traghettato al punto da staccare un sorprendente pass per la post-season; il secondo ha invece sfruttato l’onda lunga dei successi dei suoi Alabama Crimson Tide, confermando le previsioni che lo volevano decisivo fin da subito per gli equilibri degli Atlanta Falcons, team che l’ha voluto fortissimamente – tanto da orchestrare una trade che ha svenato non poco la franchigia della Georgia.
Ed ora fari puntati sui migliori prodotti della categoria, in un’annata caratterizzata da un giocatore di spicco e seguito da diversi buoni giocatori che rendono piuttosto profonda la classe del 2012.
JUSTIN BLACKMON, OKLAHOMA STATE COWBOYS, JUNIOR
Il top prospect dell’annata 2012 che, secondo molti, sarebbe già stato il terzo della categoria scelto lo scorso anno. La decisione di vestire i colori dei Cowboys anche quest’anno significava concludere idealmente un tragitto iniziato nel 2011, quando Oklahoma State è prepotentemente tornata sulla mappa del grande football, e conclusosi con la netta affermazione su Stanford nel Fiesta Bowl 2012. Nel frattempo il numero 81 ha aggiunto alla stanza dei trofei il secondo Biletnikoff Award consecutivo, premio consegnato al miglior ricevitore della nazione. Nonostante la minaccia fosse ben (ri)conosciuta, nessun cornerback è riuscito ad impensierire seriamente il buon Justin, persino un frustrante inizio di Fiesta Bowl non è stato sufficiente per arrestare la cavalcata del nativo della California, che alla fine si è portato a casa il trofeo di MVP offensivo del match. Il sistema di coach Mike Gundy dispone in maniera di coinvolgere Blackmon a ripetizione, non disdegnando gli screen laterali con blocchi competenti portati da parte di uomini di linea e da altri ricevitori, che liberano la principale minaccia offensiva dei Cowboys in un duello diretto con il cornerback avversario, quest’ultimo di solito sormontato dalla potenza fisica e dalla progressione di Blackmon. Sarà difficile riprodurre la stessa situazione nella NFL, a causa del maggior atletismo e preparazione dei difensori a situazioni del genere. Anche quando veniva parzialmente interrotta la linea di comunicazione tra Brandon Weeden e lo stesso Blackmon, questi ha dimostrato un buon attaccamento mentale alla partita, il più delle volte marcandola a fuoco con poche, ma decisive ricezioni. Alcuni detrattori prevedono difficoltà a creare separazione con i cornerback del piano superiore a causa di una non eccelsa velocità di base, altri scorgono maggior talento nell’altro ex Cowboys Dez Bryant, ma a mio giudizio sarà un giocatore capace di imprimere subito un’accelerata al sistema offensivo in cui si verrà a trovare, sebbene non lo pronostichi immediatamente ai livelli eccelsi toccati da un A.J. Green quest’anno. Saint Louis dopo la recente fragorosa trade down sembra nella posizione migliore per dotare di una credibile minaccia offensiva lo spuntato attacco Rams visto lo scorso anno; non è escluso che i Buccaneers non facciano rientrare il suo nome nella rosa per spendere la chiamata numero 5 (sebbene la franchigia abbia bisogni più impellenti da soddisfare), altrimenti i Jaguars al numero 7 festeggerebbero Natale, Pasqua e Capodanno assieme se riuscissero ad armare il braccio di Gabbert con un bersaglio finalmente potenzialmente letale.
MICHAEL FLOYD, NOTRE DAME FIGHTING IRISH, SENIOR
Lo scorso anno ero stato piacevolmente sorpreso dalla decisione del nativo del Minnesota, quando aveva deciso di ritornare per la sua stagione finale a South Bend, nonostante gli scouting report sul ragazzo fossero più che lusinghieri già un anno or sono. Quindi gli inaffidabili mock draft di inizio anno proiettavano il prolifico ricevitore dei Fighting Irish tra le top ten pick della primavera seguente. Purtroppo l’annata altalenante del team diretto da coach Brian Kelly, più l’intempestiva scelta da parte di Floyd di mettersi nei guai con la legge, hanno sensibilmente abbassato le sue quotazioni. Pertanto le franchigie a) bisognose di un ricevitore che sappia da subito contribuire alle sorti della squadra e b) titolari di una scelta intorno al primo giro possono fare il “colpaccio” e portare a casa un giocatore molto affidabile (nelle ultime due stagioni sempre sopra le 1000 yards ricevute). Il suo punto di forza è il fisico, con cui si crea lo spazio per ricevere, abbinata ad un’ottima tecnica individuale e a mani molto educate. Non si può proprio definire una minaccia sul profondo, sebbene nelle combine abbia sfoggiato una progressione invidiabile; nelle situazioni più complicate si affida sempre alla prestanza fisica di cui sopra, abbinata ad un’ottima elevazione. La più che discreta vena realizzativa (9 TD nel 2012, 37 totali) è eccezionale se si prende in considerazione il claudicante gioco dei Fighting Irish, del quale Floyd e il TE Eifert costituivano sicuramente le punte di diamante. Come già detto, Floyd è particolarmente appetibile per la sua affidabilità, caratteristica che protegge sempre le franchigie interessate dal pericolo di avere a che fare con un bidone; per esempio, alcuni lo lusingano avvicinandolo a Larry Fitzgerald, a mio avviso paragone piuttosto azzardato se non per la capacità di creare la giocata in un fazzoletto di terreno. Piuttosto preferisco definirlo un Jordy Nelson in divenire: un giocatore dalle buone mani, sicuro ed affidabile, senza grosse pecche tecniche ma neanche uno scherzo della natura, comunque indispensabile nell’ultimo titolo conquistato dai Packers. I New York Jets chiamano con la 16 e l’ex Fighting Irish potrebbe in un colpo solo far dimenticare il partente Burress e regalare un nuovo bersaglio al criticato Sanchez. Gli altri team interessati a investire su un wide receiver a metà del primo giro sono i San Diego Chargers, probabili orfani di Vincent Jackson, e i Chicago Bears, nonostante la recente acquisizione di Brandon Marshall da Miami renda la questione ricevitore un po’ meno prioritaria.
KENDALL WRIGHT, BAYLOR BEARS, SENIOR
Direi il vero beneficiato della favolosa campagna 2011-12 dell’università del Texas. Mentre su Robert Griffin III si può (in teoria) oziosamente argomentare sulla sua capacità o meno di inserirsi con successo nell’universo professionistico, senza del resto mettere in dubbio il talento cristallino, su Kendall Wright la corte è ancora in camera di consiglio in attesa di deliberare. Il tarlo del dubbio si è insinuato lungo tutta l’annata dei Bears e si potrebbe riassumere in due domande: quanto ha avuto a che fare la vicinanza di RGIII con le statistiche messe insieme da Kendall Wright? Quanto ha influito il sistema pass-oriented di Baylor nel plasmare la (ottima) reputazione del senior da parte degli scout NFL? Con certezza il fisico (un po’ sottodimensionato) e la velocità sono da livello superiore, anche se inaspettatamente ha fatto peggio di Floyd nelle 40 yards alle combine di Indianapolis. A differenza però del suo rivale, Wright, in stagione, si è fatto prevalentemente ammirare per le sue acrobatiche ricezioni in campo aperto, rilevato e servito dal laser di Griffin. I suoi 14 TD nell’anno da senior non mentono, come non può non essere citata la produzione offensiva migliorata anno dopo anno. Nel lodare la spettacolarità delle sue ricezioni, capita che si sottovaluti un ottimo trattamento di palla e il superbo controllo del corpo, facilitato anche da un “garrese” non proprio altissimo (è intorno al 1 metro e 80 centimetri…). Nonostante le indubbie capacità fisiche, nuvole scure si addensano per quanto riguarda l’approccio di Wright alla conoscenza dei playbook di un team professionistico, altra cosa rispetto alle traiettorie corse a Waco. In prospettiva lo vedo come il ricevitore a cui affidarsi qualora si voglia tentare di sorprendere le secondarie avversarie dopo ripetuti tentativi di sfondamento tramite giochi di corsa, oppure servendolo sull’incrocio bruciando i difensori con la sua velocità, ma difficilmente si trasformerà nel vostro playmaker di riferimento. Nel prossimo draft si giocherà con Michael Floyd il posto come secondo ricevitore chiamato, pertanto gli stessi team interessati al Fighting Irish possono essere riportati qui. Voci di corridoio sostengono che i Browns, con la loro seconda scelta al numero 22, possano di nuovo essere interessati a rimpolpare il reparto ricevitori, dopo i fallimenti Robiskie e Massaquoi. Io glielo sconsiglierei. Per l’esplosività è paragonato a Mike Wallace, vedremo.
REUBEN RANDLE, LOUISIANA STATE TIGERS, JUNIOR
Di lui si è sempre parlato (troppo) poco, poiché i Tigers poggiavano altrove le assi su cui costruivano i propri successi, così come è senza altro indubbio che la non esaltante situazione quarterback sviluppatasi a Baton Rouge negli ultimi due anni non abbia giovato alle sue statistiche, pertanto comprendo che possa essere una sorpresa ritrovarlo fra i top prospect di questa nidiata. Il peso relativo che Randle sosteneva nell’attacco dei Tigers non ha comunque potuto scalfire l’impressione positiva ricavata dalla sua prontezza nei momenti in cui è stato chiamato in azione; e vi posso garantire che i passaggi di Jefferson o Lee non erano sempre dei confetti, ciononostante Randle si è fatto trovare pronto, garantendo una multidimensionalità altrimenti assente nell’attacco di LSU. Sul numero 19 le franchigie interessate devono costringersi ad uno sforzo di fantasia e provare a moltiplicare il suo apporto in un attacco che lo coinvolga molto di più. Per questo definirei perfetto un suo eventuale approdo a Houston, che potrebbe scommettere con la sua scelta numero 26 e continuare così il suo progetto vincente, dotando l’attacco di un’atleta istintivo e impaziente di sfruttare i varchi aperti da una superstar come André Johnson. Il suo potenziale meriterebbe una chiamata al primo giro senza riserve, ma potrebbe allontanare pretendenti – e quindi farlo scivolare al secondo giro – la paura di puntare forte su un giocatore di straordinario atletismo equipaggiato di lampi di classe vera, ma non suffragati da un suo massiccio coinvolgimento nella manovra della sua squadra, sebbene le sue 917 yards ricevute del 2012 condite con 8 TD testimonino il salto di qualità compiuto dal ragazzo quest’anno.
ALSHON JEFFERY, SOUTH CAROLINA GAMECOCKS, JUNIOR
Uno dei giocatori fisicamente più dominanti dai tempi di Calvin Johnson, ma con una tecnica individuale ed un’attitudine che potrebbero in breve tempo spararlo nell’olimpo dei più grandi bidoni di questo draft. Intanto il numero 1 dei Gamecocks ha dimezzato la propria produzione rispetto all’incredibile annata 2010/11 (1517 yards in 88 ricezioni), tranne che per i TD (9 contro 8 di quest’anno), che si tramuta spesso in un discreto campanello d’allarme per un team che deve spendere una chiamata alta. A parziale giustificazione del crollo delle statistiche il difficile (eufemisticamente parlando) rapporto tra l’head coach Spurrier e il QB titolare Garcia, con l’allontanamento a stagione in corso del senior e l’avvicendamento con Connor Shaw, ottimo sophomore nella seconda parte di stagione. A dire il vero il problema principale di Jeffery è che il suo scouting report è rimasto identico a quello di un anno fa: mostruosa forza fisica che lo vede predominante nella contesa dell’ovale, letale nella red zone (dove ogni pallone scucchiaiato nella sua zona è un devastante mis-match favorevole), ma anche un giocatore che non sgobba per limare i propri limiti, incapace di correre delle traiettorie pulite e giudicato in base alla sua velocità “monolithic” (anche se poi nei primi test di velocità alle combine si è difeso piuttosto bene). Ha un range di ricezione molto ampio grazie ad ottimo utilizzo coordinato occhi-mani; la sua struttura fisica (circa 2 metri per 100 kg) e una buona tecnica del braccio d’aiuto (stiff arm) lo rendono un difficile cliente durante la progressione con l’ovale in mano. Il suo enorme potenziale farà brillare gli occhi a molti, soprattutto all’inizio del secondo giro (Indianapolis? Jacksonville?), quando quasi sicuramente troverà qualche estimatore convinto a chiamare il suo nome, ma i difetti elencati ed una più che discutibile etica lavorativa potrebbero creargli dei grossi ostacoli nel suo primo ambientamento al livello superiore.
SHORTY’S ALERT: Stephen Hill è cresciuto in un sistema in cui dominava la option offense, ma la sua spaventosa velocità era spesso utilizzata per far pagare le difese che si abbandonavano a troppi blitz; uomo da big play, proprio come l’altro Georgia Tech Demaryius Thomas. Mohamed Sanu avrebbe fatto la cosa giusta concludendo la sua maturazione con il quarto anno di college football, ma rimane ugualmente un prospetto molto interessante: ha doti da vero playmaker, proprio come l’ex Rutgers Kenny Britt, da cui però si distingue per una costituzione fisica meno potente. Chris Givens da Wake Forest mi ha favorevolmente impressionato, così come la stagione del suo college: mi sembra pronto per sfruttare da subito le occasioni che gli si presenteranno tra i professionisti e mi ricorda Deion Branch.
Laureato in giurisprudenza. Grande appassionato di football americano, segue con insistenza il mondo del college football da cui è rimasto stregato. @nicolo_bo su twitter.
articolo perfetto,complimenti
Hill meritava di essere nei 5….WR sottovalutatissimo…
Blackmon ha possibilità di essere un playmaker di primo livello…Sam Bradford direbbe grazie ma bisogna vedere se Minnesota lo fa passare