Nel mondo sportivo statunitense, tipicamente organizzato secondo la disputa di una stagione regolare seguita da playoffs ad eliminazione, il metro di valutazione di squadre allenatori e giocatori non può che essere dato dalle vittorie che contano maggiormente, ovvero quelle che fanno giungere la franchigia a risultati di prestigio ottenendo successi nei momenti dove non tutti riescono a rendere.
Spesso si vedono ottime compagini da stagione regolare crollare con disarmante puntualità nella partita di playoffs, rivoltando in maniera negativa i trend e le statistiche registrate fino a quel momento non valgono più nulla, oltre al fatto che i colpevoli del flop, specie se la cosa si ripete troppo, cominciano a farsi una reputazione non esattamente buona.
Abbinare le parole Atlanta Falcons e disastro così com’è stato fatto nel titolo del presente articolo potrebbe essere troppo pesante od eccessivamente ingiusto nei confronti di una squadra che ha dimostrato di valere la postseason e che ha fatto vedere di aver compiuto importanti progressi rispetto alle sue tradizioni perdenti del passato, ivi compresa la prima qualificazione playoffs in anni consecutivi (2010 e 2011) nella storia franchigia.
Tuttavia, epiteti ed aggettivi negativi non possono che venire alla mente quando oramai non si gode più del beneficio del dubbio, perchè il percorso playoffs dei Falcons nell’era di Mike Smith e Matt Ryan vede ancora lo zero nella casella delle vittorie ottenute quando si gioca senza domani, ed è pure appesantito dalla terza uscita prematura in altrettanti tentativi. La costanza con cui Smith ha trasformato la cultura di questa franchigia è ammirevole, ma il puntuale fallimento nel mese di gennaio comincia a far insospettire. Passi una volta, passino due. Alla terza non possono che piovere critiche.
La storia recente di Atlanta dimostra che la squadra, in un certo senso, è stata senza dubbio costruita con intelligenza e logica, e che il personale scelto per la rifondazione dell’era post Michael Vick era quello corretto.
Si pensi ad una situazione a dir poco grottesca, con Vick invischiato nei noti guai con la giustizia ed i Falcons all’improvviso messi allo sbando, senza il leader dell’attacco e costretti a mezzucci per sopravvivere ad una stagione per la quale i programmi erano stati stilati senza tenere conto di quell’incredibile ed inatteso imprevisto.
Per rifare la faccia alla franchigia si era pensato a Mike Smith, coordinatore difensivo dei Jacksonville Jaguars, e ad un nuovo quarterback, il rookie Matt Ryan, il migliore a disposizione in quel 2008 e tipo di ragazzo, posato ma tosto, ideale per rappresentare il team e cancellare le malefatte del suo predecessore. In quell’anno che doveva essere di ripartenza la filosofia scelta parve essere vincente, in quanto i Falcons fecero i playoffs e vennero eliminati dagli Arizona Cardinals di Kurt Warner, ma Smith e Ryan furono ampiamente scusati per essere ambedue al primo anno nei rispettivi ruoli, e per aver comunque ottenuto ben di più di quanto preventivato senza avere l’esperienza per farlo.
Al punto che, dopo una stagione transitoria senza postseason, il 2010 era davvero sembrato l’annata della consacrazione, Smith era riuscito a fare ciò che desiderava mettendo in campo un’ottima difesa ed un gioco di corse capace di gestire il cronometro sfruttando i progressi di Ryan, concetti che erano sfociati in un 13-3 che aveva sottratto il dominio divisionale ai Saints, contro i quali Atlanta aveva dimostrato di essere matura per essere una grande franchigia. La sfida al Divisional contro i Green Bay Packers avrebbe purtroppo dimostrato il contrario, sommersi come furono i Falcons da 48 punti al passivo anche causati da turnovers direttamente commessi dal quarterback da Boston College. Pareva quasi che nel momento della verità, tutte le armi a disposizione della squadra riuscissero ad essere individuate ed ingabbiate con una facilità incomprensibile, tanto bene usavano funzionare durante il campionato regolare.
L’anno scorso si diceva che i Falcons non erano abbastanza esplosivi, e che avrebbero quindi dovuto seguire il trend tracciato da chi aveva vinto il Super Bowl recentemente, con Saints e Packers a dettare il ritmo con attacchi potenti e quasi impossibili da fermare. Da questo pensiero veniva generato quello che tutti oggi considerano un azzardo bello e buono, eseguito dal GM Thomas Dimitroff il giorno dello scorso Draft per tentare di appaiare un altro playmaker a Roddy White e rendere il reparto offensivo ancora più possente.
Atlanta è salita di 21 posizioni e ceduto 5 scelte ai Cleveland Browns per assicurarsi i servigi dell’ex Alabama Julio Jones, un costo altissimo al quale sarebbe dovuto corrispondere molto di più di quanto prodotto dal ragazzo in questa annata, pur avendo come parziale scusante alcuni infortuni veramente fastidiosi. Jones ha prodotto grandi giocate quest’anno, ma non ha avuto il tipo d’impatto necessario per giustificare un sacrificio del genere.
E veniamo ai New York Giants. E’ qui che il concetto di disastro prende definitivamente forma. Il potenziamento offensivo orchestrato per far salire la squadra di un gradino tra le contendenti al Super Bowl viene tradotto in 2 miseri punti, peraltro segnati dalla difesa. Null’altro.
Mike Smith si conferma un capo allenatore non in grado di prendere decisioni lucide in momenti di grande tensione, fatto avvalorato dalle mancate trasformazioni di quarto e cortissimo uno dei quali falliti tenendo Michael Turner, un bestione sostanzialmente impossibile da fermare in una situazione del genere, in panchina a guardare. Uno dei grandi metri di giudizio degli allenatori è il livello di decisioni prese, ed il momento della partita, con New York ancora raggiungibile dopo aver arrancato per tutto il primo tempo, dimostra che due field goal comodi sostituiti dall’ansia di entrare forzatamente in endzone avrebbero tolto tanta pressione dalle spalle dei Falcons, e chissà, magari cambiato l’andamento della gara.
Atlanta è andata sotto, sempre più, fino a crollare sotto i colpi di Manning, Nicks e Manningham. E proprio i Giants hanno simbolicamente insegnato agli avversari che non è necessario fare pazzie al Draft per ottenere miglioramenti significativi, dal momento che il giocatore in grado di salvare la stagione può giungere dalla lista di free agents non scelti, come la bellissima storia di Victor Cruz ha dimostrato. La difesa ha concesso 172 yards su corsa al peggior rushing game della Nfl, e l’ottavo attacco sui passaggi della lega non ha segnato alcun punto contro una difesa aerea classificatasi terz’ultima. Un Matt Ryan che aveva fatto segnalare buonissime statistiche nella seconda parte del campionato è tornato inefficace, Turner è stato limitato a sole 2.7 yards per portata, White e Gonzalez (pure lui senza vittorie in carriera ai playoffs) sono spariti ancora nel momento del bisogno. La linea offensiva è stata mangiata viva da Tuck e compagni.
Una storia purtroppo già sentita troppe volte dalle parti del Georgia Dome.
Dopo aver liberato malinconicamente gli armadietti, i primi cambiamenti sono già in essere. Mike Mularkey, l’offensive coordinator accusato di essere troppo poco creativo con un attacco di grandi potenzialità, è appena stato nominato capo allenatore a Jacksonville. Brian VanGorder, sotto il quale la difesa ha registrato progressi evidenti, ha accettato il ruolo di defensive coordinator presso l’università di Auburn.
L’obbiettivo è trovare dei coordinatori capaci di far esplodere definitivamente Ryan, che deve dimostrare a tutti i costi di essere un quarterback d’elite, e di tornare a far rendere una difesa che non riesce a mettere pressione agli avversari, che ha pagato a suo tempo la scelta errata di Jamaal Anderson (oggi altrove) e la firma di Ray Edwards nella scorsa offseason, che ha prodotto la miseria di 3.5 sacks ed una serie infinita di problemi fisici. La soluzione potrebbe essere il passaggio alla 3-4, per sfruttare la pressione che potrebbero portare i linebackers esterni (Weatherspoon su tutti), peraltro schema che John Abraham, a patto che venga rifirmato, ha già praticato nella sua esperienza ai Jets. Ma è un’ipotesi, ed al momento è destinata a rimanere tale.
Nel frattempo resta da risolvere l’inghippo più grosso, ovvero trascorrere un’altra offseason tentando di capire il perchè di questa metamorfosi in negativo. I progressi giungeranno solo quando i Falcons dimostreranno di non sciogliersi dinanzi all’importanza della postseason, quando Smith non si farà prendere dall’ansia e Ryan mostrerà di vere il fuoco che brucia dentro come fa in regular season.
Solo allora potranno essere considerati seriamente per la corsa al Super Bowl.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Ottimo articolo Dave, as usual!! Concordo praticamente su tutto, forse solo con toni meno foschi (ho evidentemente metabolizzato la sconfitta con la partenza di Mularkey).
La verità è alle porte, vedremo se con un gioco offensivo meno assurdamente conservativo e più attento nello sfruttare tutte le armi (molte) a disposizione i risultati cambieranno.
Da tifoso mi sento di dare ancora fiducia al duo Dimi/Smitty anche se ovviamente la pazienza è agli sgoccioli:la parola d’ordine sarà no excuses…no more.
se se vedremo se jones non ha reso come ci si aspettava…i falcons hanno un potenziale tra le mani nei prossimi anni,non facciamo cavolate e manteniamo la linea seguita fino ad ora,affidandoci (quello si) ad un coordinatore offensivo con + versatilita’