Eli Manning sta dirigendo il suo attacco in maniera egregia.

Era da poco terminato il famigerato lockout, ed i giornali di New York parlavano solo di un aspetto che secondo loro sarebbe stato determinante per lo svolgimento della stagione dei Giants.

Erano difatti piovute feroci critiche – New York non ne è mai avara – nei confronti del general manager Jerry Reese, reo di essersi pacificamente addormentato mentre gli altri, in special modo qualche concorrente divisionale, si dava da fare per firmare i migliori free agents disponibili sul mercato.

Reese all’epoca si difese rimanendo fermo immobile sulle sue convinzioni, la squadra era buona già così com’era e secondo la sua opinione era in grado di qualificarsi per i playoffs nonostante gli apparenti miglioramenti eseguiti sulla carta  in particolare dai rivali divisionali di Philadelphia, che parevano già indicare gli Eagles come sicuri padroni della Nfc East.

I New York Giants negli anni devono oramai essersi abituati a convivere con lo scetticismo tipico di chi non dà mai loro credito, pur non nascondendosi dietro il fatto di aver inutilmente illuso a stagioni alterne, dando ragione a quella linea di pensiero che li vedeva promettere tanto e mantenere poco.

La critica non è mai stata convinta delle potenzialità della squadra, nemmeno dopo averla vista magicamente trionfare quattro anni fa nel Super Bowl XLII, una vittoria ottenuta mantenendo un profilo sempre basso, ma con una convinzione nei propri mezzi fondamentale per sgambettare la perfect season dei New England Patriots.

Stessa sorte per Eli Manning, vittima di considerazioni oramai prive di fondamento che lo vedevano solamente come il fratello sfigato di Peyton, che insistevano sulla sua figura di ragazzo così caratterialmente chiuso che era francamente impossibile pensare di farlo diventare il leader dello spogliatoio.

Ma lui, che sotto l’apparenza nasconde abbondanti dosi di carattere pur continuando a non farsi sentire attraverso la voce, ha lentamente smontato ogni tesi a riguardo, ha vinto un titolo da protagonista, e si è rivelato essere il franchise quarterback per il quale i Giants si assunsero il rischio di scambiare Philip Rivers nei primi istanti del Draft del 2004, giorno nel quale Eli mise in chiaro che a San Diego non avrebbe messo piede.

Jake Ballard ha catturato il touchdown della vittoria contro i Patriots.

I Giants hanno vissuto debacle improvvise, eliminazioni precoci dai playoffs, perduto tutto il vantaggio accumulato nella seconda parte di più di qualche regular season senza riuscire a qualificarsi per continuare a giocare nel mese di gennaio, ne hanno spesso combinate di tutti i colori (si prenda da simbolico esempio quanto accaduto contro Philadelphia l’anno scorso), ma la squadra ha sempre offerto un livello medio alto di prestazioni ed è stata continuamente resa competitiva anche dalle non-mosse di free agency del suo general manager, che ha sfruttato il Draft come metodo primario per costruire il roster con una profondità tale da non far risentire in alcun modo dei numerosi infortuni occorsi ai Giants in questa stagione.

I Big Blue erano già stati dati per spacciati: nel giro di poche ore erano difatti arrivate due tegole non da poco, ovvero gli infortuni che avrebbero tenuto fuori per tutto l’anno Terrell Thomas, uno dei defensive backs emergenti della lega, di Clint Sintim. linebacker, e di Marvin Austin, defensive tackle da North Carolina che avrebbe dovuto nel suo anno da matricola colmare il vuoto nel mezzo della linea difensiva, la quale aveva appena perso Barry Cofield da free agent per via dei rivali di Washington.

Quindi lo stop forzato per almeno sei settimane di Prince Amukamara, che sarebbe dovuto diventare il nickel corner di riferimento, e che proprio nelle prossime ore dovrebbe essere attivato dalla PUP list. Infine, alla prima di campionato, Jonathan Goff, altro linebacker, che lasciava un reparto già sospetto di suo in balìa di rookie inesperti.

Motivi per giudicare i Giants perdenti ce n’erano: la grande linea offensiva, tra le migliori della Nfl fino a due anni fa, era stata smantellata dagli infortuni (il centro Shaun O’Hara su tutti) e doveva quindi essere collaudata per la prima volta dopo tanto tempo; Osi Umenyora aveva ingaggiato una pericolosa battaglia contrattuale cercando di forzare una trade pur consapevole di non essere fisicamente a posto; Eli Manning, sempre sotto l’occhio del ciclone, veniva da una stagione dove aveva forzato molto più del dovuto, nella quale aveva raccolto ben 25 intercetti, frutto del complicato sistema offensivo impostato da Kevin Gilbride, che chiede ai suoi ricevitori di correre delle option routes che per i più giovani sono davvero complicate da ricordare.

Victor Cruz, a sorpresa, è al momento il miglior ricevitore dei Giants.

Oggi, a conti fatti, New York ha sbagliato solamente due partite, ovvero l’esordio contro i Redskins (ma la prima di campionato non dà mai indicazioni definitive) e contro i Seahawks, in una rocambolesca gara buttata via da Manning e Cruz, co-responsabili di un intercetto poi riportato in endzone proprio nel momento in cui i Giants si stavano affacciando presso l’area di meta avversaria per completare la rimonta.

A chi rinfacciava alla banda di Tom Coughlin di aver stentato a vincere contro Arizona e St. Louis, avversarie che all’epoca avevano totalizzato una sola vittoria combinata, New York ha risposto con una convincente affermazione proprio contro la Philadelphia che i giornali tanto decantavano e che grazie anche a quella sconfitta contro i Giants scendeva sempre più nei suoi inferi personali; alla vittoria di soli tre punti contro la derelitta Miami il team ha controbattuto con la gara più consistente dell’anno, fermando una striscia vincente casalinga dei Patriots che durava dal 2008 e beffandoli negli ultimi secondi di gioco, proprio come accadde nel già citato Super Bowl nel quale le due compagini si scontrarono.

Il peso determinante delle prestazioni di Eli Manning è calcolabile da alcuni aspetti statistici di fondamentale rilevanza. Anzitutto il numero di intercetti, sul quale gli era stato chiesto di lavorare in offseason e sceso dai 25 dell’intero campionato scorso ai 6 delle 8 partite sinora disputate, conm il 62% di completi ed un qb rating di 98.8.

Quindi c’è da tenere sicuramente in considerazione il fatto che Manning sta praticamente sostenendo l’attacco da solo, in quanto il gioco di corse dei Giants è uno dei peggiori della Nfl, la coppia formata da Ahmad Bradshaw e Brandon Jacobs è lontanissima dalla produttività che l’aveva contraddistinta in passato, e la logica conseguenza è che New York lancia parecchio e quindi è maggiormente esposta ai turnovers.

Il fatto che i palloni persi siano pochi, depone a vantaggio del quarterback. Manning sta infine facendo girare il reparto offensivo senza mai poter contare costantemente sugli stessi ricevitori, visti gli infortuni che hanno tolto definitivamente di mezzo Domenik Hixon, quelli che hanno afflitto in momenti diversi Manningham e Nicks, e data l’assenza di Steve Smith – il principale bersaglio sui terzi down – e Kevin Boss, che durante la breve offseason hanno trovato casa altrove.

Se la qualità dell’attacco è rimasta inalterata lo si deve anche a dei perfetti sconosciuti: Victor Cruz era l’eroe delle partite di preseason ma non aveva fatto vedere nulla di più, ma ora è statisticamente il miglior wide receiver a disposizione; Jake Ballard è un tight end proveniente dalla practice squad, che nemmeno gli allenatori di reparto – per loro stessa ammissione – conoscevano bene, dato che erano loro sconosciute le doti in ricezione di un ragazzo che pareva fosse lì solo per bloccare occasionalmente. Ballard ha scritto numeri molto vicini (395 yards, 3 mete) a quelli registrati da Boss nel 2010, ed è stato l’autore della presa decisiva a Foxboro nella clamorosa vittoria contro i Patriots.

La difesa, che tende a concedere molto, sta facendo del suo meglio per sopperire alle assenze. Il gruppo di linebackers è stato completamente improvvisato con la sola eccezione del veterano Michael Boley, fino ad ora l’Mvp difensivo di squadra, e la linea sta rispondendo molto bene grazie alla prepotente emergenza del secondo anno Jason Pierre-Paul, 9.5 sacks in 8 gare, il quale non ha certo fatto sentire la mancanza nè di Umenyora nè di Tuck. Mathias Kiwanuka, finalmente lontano da acciacchi fisici, sta giocando il miglior football di carriera, e le secondarie possono contare sull’apporto di Antrell Rolle, Corey Webster e Kenny Philips, con quest’ultimo capace di dimostrare il suo valore dopo aver patito infortuni molto gravi in passato.

Quella di Jason Pierre-Paul è stata una scelta molto azzeccata nel Draft 2010.

I Giants devono restare molto concentrati, perchè ora comincia la parte difficile del calendario. La squadra ha trovato la sua dimensione nel momento giusto, e deve dimostrare di saper portare a casa gare molto difficili, su tutte quella contro i Packers del prossimo 4 dicembre, che sarà anticipata da sfide contro Saints, Eagles e 49ers, mentre la vigilia di natale sarà dedicata alla sfida contro l’altra sponda di New York, ovvero quei Jets che stanno entrando in forma proprio in questo momento.

Difficilmente, nonostante quanto fatto vedere sinora, i Giants potranno essere considerati una delle squadre più pericolose per la corsa al Super Bowl, ma loro continuano per la loro strada, sicuri di essere una franchigia con un alto potenziale che senza costosi errori può arrivare lontano.

Avranno tanti limiti, ma se vincono partite importanti come quella di Foxboro, significa che sotto lo strato apparentemente morbido di Eli Manning deve per forza esserci qualcosa di più grande.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.